Difensori dell’ambiente: chi protegge la terra rischia di più con il lockdown

Dall’Asia all’Africa fino all’America Latina, le misure di contenimento del coronavirus espongono attivisti e contadini a minacce, violenze e omicidi. A questo si aggiunge l'atteggiamento dei media: l’attenzione sulla pandemia ha spento i riflettori sui difensori dell'ambiente, che diventano così bersagli più facili

«Facili bersagli». Così il relatore speciale delle Nazioni Unite Michel Forst e il direttore dell’International Land Coalition (Ilc) hanno definito la condizione dei difensori della terra e dell’ambiente, durante questo periodo di lockdown. Con la diffusione della pandemia, infatti, la situazione dei difensori dei diritti umani, in generale, e dei difensori della terra e dell’ambiente, in particolare, è peggiorata.

«Accaparratori di terre e investitori hanno cercato di trarre vantaggio dalla situazione», hanno dichiarato i due rappresentati in occasione della Giornata mondiale della Terra, il 22 aprile scorso.

Secondo Michel Forst e Michael Taylor (Ilc), coloro che difendono le risorse naturali come terra, acqua ed ecosistema, sono costantemente minacciati da chi vuole sfruttare i territori e accaparrare le terre. I due esperti sottolineano come l’attenzione dei media si sia spostata sul coronavirus, abbandonando al buio contadini e attivisti. I meccanismi di protezione sono venuti meno e aggiungono: «Il lockdown è stata sfruttato da imprese irresponsabili per mettere sotto silenzio i difensori».

La Defending Land and Environmental Defenders Coalition, che riunisce più di 50 organizzazioni nazionali, regionali e internazionali, nel suo programma di tutela dei difensori della terra sta raccogliendo le segnalazioni legate al Covid-19. Le denunce vengono registrate dal Global Land Governance Index per garantire, anche durante la pandemia, la sorveglianza su violenze e minacce ai danni di contadini e attivisti.

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Foto: Pixabay

Minacce contro i difensori dell’ambiente

All’allarme lanciato dai due rappresentanti istituzionali si aggiunge anche la voce dell’ong internazionale Global Witness, che monitora costantemente la situazione dei difensori dei diritti umani nel mondo. Secondo l’organizzazione, la crisi del Coronavirus non ha fermato gli attacchi e le minacce contro coloro che difendono la terra e l’ambiente.

L’essere confinati in casa, in località note, ha reso i difensori più vulnerabili e facili da individuare da parte dello Stato e delle milizie informali. La sospensione dei processi ha allungato di molto i periodi di detenzione, senza accesso al sostegno legale. Le misure di confinamento sono state spesso accompagnate dalla limitazione del diritto di dissenso, con conseguenti arresti. Le regole di distanziamento hanno, di fatto, impedito la manifestazione della propria opinione. L’emergenza, secondo Global Witness, è stata utilizzata come scusa per un controllo stringente sugli attivisti.

A mettere in difficoltà coloro che si battono per la difesa del loro territorio dallo sfruttamento sono problemi molto concreti. Da un lato temono per la loro sicurezza, dall’altro devono poter garantire la sopravvivenza alla loro famiglia. Molti sono costretti ad abbandonare le proteste per concentrarsi sul lavoro e per assicurarsi l’accesso al cibo.

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Isolamento e scarsa protezione: il coronavirus complica tutto

Le zone più rischiose per i difensori della terra sono quelle rurali, in cui coloro che dovrebbero essere protetti sono, invece, abbandonati. Nelle campagne le abitazioni sono più isolate, ci sono meno testimoni e i controlli per tutelare la sicurezza sono meno frequenti. A questi elementi si aggiungono servizi più scarsi: l’accesso all’acqua potabile e alle cure non sempre è garantito. Le aree rurali sono mediamente più povere e tra coloro che lavorano la terra l’insicurezza alimentare è molto diffusa.

Confinamento o rischio sanitario? La International Land Coalition, alleanza globale tra società civile, organizzazioni contadine, Nazioni Unite ed enti di ricerca, sottolinea come molti difensori siano intrappolati in un dilemma: muoversi dalla loro abitazione e rischiare di contrarre la malattia o rimanere confinati ed essere facilmente identificati e perseguitati.

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Difensori dell’ambiente in pericolo in America Latina

Dall’11 marzo, data in cui l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato ufficialmente la pandemia, è l’America Latina l’area in cui si sono registrati più omicidi di attivisti per la terra e l’ambiente. L’ultimo, in ordine di tempo, è Eugui Roy, 21 anni, ucciso il 7 maggio, in Messico. Il giovane studiava biologia e collaborava con centri studi universitari per la difesa del territorio. È stato ucciso nella regione di Oaxaca, nella fattoria dove stava trascorrendo la quarantena.

Attivisti uccisi e rappresentanti delle comunità indigene minacciati. Anche in Colombia il coronavirus non ha fermato gli attacchi dei gruppi paramilitari. Il lockdown, raccontano i leader locali interpellati dalla Ilc, avrebbe favorito il ritorno di milizie intenzionate a prendere il controllo del territorio. Alcune comunità hanno denunciato l’aumento delle attività estrattive, avallate dal governo. Il coronavirus ha catalizzato l’attenzione lasciando senza la protezione dei media i leader comunitari.

La violazione dei diritti passa anche attraverso pratiche che ignorano la situazione di accesso ai servizi. L’International Land Coalition sottolinea come alcune consultazioni delle comunità siano state realizzate virtualmente, durante la pandemia. Modalità che avrebbe ignorato lo scarso accesso a Internet delle popolazioni coinvolte e quindi l’effettiva limitazione della partecipazione.

In Perù le minacce hanno colpito la famiglia di Màxima Acuña de Chaupe, la contadina simbolo della lotta contro la miniera d’oro Yanacocha, controllata dalla compagnia statunitense Newmont. I primi giorni di maggio un rappresentante dell’impresa, accompagnato dalla polizia, ha accusato la famiglia contadina di aver occupato illegalmente terre appartenenti alla miniera.

EarthRights International, una ong che si occupa di dare sostegno legale e politico ai difensori dei diritti per la terra, ha definito «persecutorio» il comportamento della compagnia. Avrebbe approfittato dell’emergenza sanitaria per tornare a minacciare la famiglia di Màxima Acuña de Chaupe, vincitrice del Goldman Environmental Prize nel 2016.

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L’olio di palma non ferma gli sfratti in Indonesia

Alla fine del mese di marzo due contadini sono stati uccisi nel distretto di Lahat, Sud Sumatra, in Indonesia. L’aggressione è avvenuta durante una contestazione che contrapponeva la comunità di un villaggio indonesiano e gli agenti di sicurezza privati di una compagnia di coltivazione della palma da olio.

La protesta, secondo le ricostruzioni, è scattata dopo l’arrivo in forze del personale della sicurezza, accompagnato dalla polizia, per sfrattare alcuni contadini dai campi. Diverse organizzazioni locali hanno denunciato la modalità “business as usal” delle compagnie private nel Paese. Avrebbero allargato e intensificato le loro attività, approfittando della pandemia.

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Difensori dell’ambiente nelle Filippine: minacce di Stato

Nelle Filippine, uno dei Paesi più pericolosi al mondo per i difensori della terra, il coronavirus ha aggravato i rischi. «Sparate per uccidere», sono state le parole del presidente Rodrigo Duterte, riferite a chi veniva sorpreso a violare la quarantena.

Nei confronti delle imprese, riporta Global Witness, non è stata utilizzata la stessa politica di repressione. Il governo ha lasciato che le attività estrattive proseguissero.

Contadini e attivisti africani in pericolo

Anche i Paesi africani non sono stati risparmiati dalle persecuzioni nei confronti dei difensori della terra. Non si sono fermate le attività nelle piantagioni e nemmeno gli sfratti nei confronti dei contadini.

In un villaggio del Kenya la popolazione ha accusato una compagnia di coltivazione della canna da zucchero di aver accaparrato terre necessarie alla sussistenza dei contadini.

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Arresti arbitrari e violenze sono state registrate anche in Uganda, nei confronti di attivisti e contadini che contestavano lo sfratto dalle terre che stavano coltivando.

In Repubblica Democratica del Congo un difensore dei diritti dei popoli indigeni è stato minacciato dalle autorità locali e la sua casa è stata bruciata.

Come denuncia l’International Land Coalition, inoltre, in molti Paesi africani la pandemia e le misure per fermarla hanno bloccato processi di protezione e riconoscimento dei titoli fondiari per i piccoli contadini e per le popolazioni indigene.

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