Difensori dei diritti umani: allarme “epidemia globale” di omicidi
Sono stati 321 i difensori dei diritti umani uccisi nel 2018. Nove in più rispetto all'anno precedente. La denuncia arriva da Front Line Defenders, che nel rapporto annuale traccia il quadro di una situazione sempre più critica per le persone che si battono per i diritti umani, a partire da quelli ambientali
Il 2018 sarà ricordato anche per l’omicidio di Marielle Franco. L’attivista e consigliera comunale di Rio de Janeiro, in Brasile, è stata giustiziata a marzo con cinque colpi di pistola alla testa per aver denunciato la violenza della polizia contro gli abitanti delle favelas. La sua morte ha avuto un forte riverbero mediatico ma, come lei, nello stesso anno, sono stati uccisi altri 320 difensori dei diritti umani. E i loro nomi compaiono nelle prime due pagine del rapporto annuale di Front Line Defenders. Una sorta di monumento ai caduti per non perdere la memoria né la bussola delle violazioni.
Difensori dei diritti umani, il movimento è sotto attacco
Più il movimento si espande e acquista forza e consapevolezza, maggiore è la repressione nei confronti di chi, in maniera non violenta, lotta per una società più equa e inclusiva. Solo nella prima settimana del 2019 ne sono già stati ammazzati sei.
Questa dinamica era già stata evidenziata durante il secondo summit mondiale dei difensori dei diritti umani, che si è svolto in ottobre a Parigi per celebrare il 20esimo anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani. Una logica che trova conferma anche nei dati diffusi dalla ong irlandese.
«Si tratta di un’epidemia globlale, che ha portato, nel 2018, all’uccisione, in 27 stati, di 321 persone, nove in più rispetto al 2017».
La maggior parte degli omicidi è stata registrata in America Latina, il 54% dei quali solo tra Messico e Colombia. Ma secondo Front Line Defenders, anche in Africa e in Asia le uccisioni sono in aumento, solo che molte volte non se ne ha notizia, per cui diventa difficile tracciare un quadro realistico della situazione.
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Nel mirino chi si è battuto per i diritti ambientali
I più esposti continuano ad essere gli uomini e le donne che si battono in difesa della terra, dell’ambiente e dei popoli indigeni. Il 77% dei difensori dei diritti uccisi rientra in questa categoria, il 10% in più rispetto al 2017.
«Coloro che tentano di salvaguardare modi di vivere equi e sostenibili e che si oppongono alla devastazione e all’inquinamento su grande scala di foreste, terra e acqua, sono sempre più sotto attacco».
Anziché essere considerati dalla politica degli alleati strategici contro il cambiamento climatico, gli attivisti ambientali vengono minacciati di morte, subiscono intimidazioni e attacchi violenti, contro se stessi e le proprie famiglie. Jair Bolsonaro, neoeletto presidente del Brasile, per esempio, non ha nascosto che tra i suoi obiettivi c’è quello di aumentare la deforestazione in Amazzonia. «Un’operazione che – sottolinea l’ong – andrà sicuramente ad incrementare le violenze nei confronti dei difensori dell’ambiente».
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Razzismo, misoginia e xenofobia
Ma il 2018 sarà ricordato anche come l’anno in cui i discorsi xenofobi, misogeni e razzisti sono riapparsi grazie allo sdoganamento da parte di certi uomini del primo e del secondo potere.
Si pensi ancora una volta a Bolsonaro, che durante la sua campagna elettorale ha puntato il dito contro la comunità Lgbt, non facendo altro che fomentare l’odio nei confronti di chi ne fa parte. Lo stesso vale per Donald Trump negli Stati Uniti, che, tra le altre cose, sta spingendo affinché il linguaggio inclusivo di genere venga eliminato dai documenti ufficiali sui diritti umani. Il risultato di queste prese di posizione è stato quello di minare, non solo l’azione dei singoli difensori, ma l’architettura stessa delle istituzioni che ne tutelano l’operato.
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Diritti umani: come la politica boicotta le istituzioni
In giugno, proprio gli Stati Uniti sono usciti dal Consiglio dei diritti umani in segno di protesta rispetto «all’atteggiamento dell’organizzazione nei confronti di Israele». In marzo, il governo delle Filippine ha accusato formalmente alcuni difensori e difensore indigeni – tra cui la Relatrice speciale dell’Onu per i Diritti dei popoli indigeni, Victoria Tauli-Corpuz – di appartenere a organizzazioni terroriste.
Nel frattempo, anche la Russia ha dimostrato la sua intenzione di ritirarsi dal Consiglio d’Europa, la cui ragion d’essere è la promozione dei diritti umani, in seguito alla sospensione del diritto di voto della Russia nell’Assemblea parlamentare dopo l’annessione della Crimea. Mentre in Ungheria, il governo del presidente Viktor Orban, che viaggia sulla stessa linea politica del ministro dell’Intern italiano, Matteo Salvini, ha approvato il Pacchetto Stop-Soros, una raccolta di emendamenti legislativi e costituzionali che criminalizza l’assistenza umanitaria ai migranti.
Vittorie delle persone che hanno lottato per i diritti umani
Eppure, nonostante la soffocante coltre nera che si sta lentamente espandendo nei quattro angoli del Pianeta, Front Line Defenders ha voluto chiudere il rapporto con una nota positiva: un elenco di vittorie. Il ripristino della democrazia alle Maldive, grazie anche al ruolo cruciale dei difensori dei diritti umani. L’annuncio a ottobre del governo malese di voler abolire la pena di morte. La rivoluzione pacifica in Armenia, che ha permesso di porre fine alla “politica cleptocratica” dell’ex presidente della Repubblica Serzh Sargsyan. La legalizzazione dell’aborto in Irlanda dopo anni di battaglie.
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E ancora, la firma, da parte di 24 paesi dell’America Latina, dell’Escazu Agreement, un trattato fondamentale per la difesa dell’ambiente e dei diritti umani. La vittoria legale, in Sud Africa, contro una compagnia di estrazione mineraria australiana. Il riconoscimento, in Kenya, della tribù Mau Ogiek come popolazione indigena. Nella Repubblica Democratica del Congo, la Coalition of Women Leaders for the Environment and Sustainable Development ha ottenuto, da parte del governo della provincia dell’Equatore, la protezione dei diritti delle donne e delle foreste. E, per finire, sempre a ottobre, la promulgazione in Tunisia di una legge che punisce la discriminazione razziale.