Guerra in Libia: il vero ago della bilancia è la Turchia
Dopo la conferenza di Berlino, Haftar sembrava essere destinato all'avanzata senza ostacoli nella guerra in Libia. Ma la Turchia non ci sta. Ankara è il vero nemico del generale, che oggi ha perso credibilità sul piano internazionale. Tanto da rischiare l'incriminazione alla Corte penale internazionale
Il Governo di unità nazionale (Gna) della Libia guidato da Fayez al Serraj dall’aprile del 2019 è stato più volte dato per sconfitto. L’eterna guerra per il dominio del Paese a seguito della caduta di Muhammar Gheddafi sembrava destinata ad essere di Khalifa Haftar, il generale alla guida dell’Esercito nazionale libico.
Invece nelle ultime settimane a prevalere sono state le milizie del Gna: diversi media internazionali riportano la conquista da parte del Gna della base militare di Al-Watiya, vicino al confine tunisino, in mano ad Haftar dal 2014, il 18 maggio. Haftar però potrebbe avere un’arma segreta: il Gna è riuscito con dei droni militari a individuare dei caccia Mig dell’aviazione della Siria parcheggiati nella base di Jufra, nel centro del Paese.
Stephanie Williams, inviata ad interim del segretario delle Nazioni Unite in Libia, ha scritto che con la riconquista dell’aeroporto il conflitto libico si potrebbe trasformare «in una totale guerra per procura» in una lettera inviata ai membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 19 maggio. Un timore tardivo: almeno da quando Haftar ha cominciato la sua offensiva, con il supporto principalmente di Russia ed Emirati Arabi Uniti, a Tripoli è in corso un conflitto di una portata che va molto al di là dei confini nazionali.
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Guerra in Libia: l’alleato turco di Tripoli
Il governo di Tripoli ha guadagnato terreno grazie all’intervento del suo principale alleato militare: la Turchia. Da gennaio Ankara ha spedito droni e forze armate in quella che è la più importante offensiva in Nord Africa dai tempi dell’impero Ottomano.
La situazione sul campo di battaglia è paradossale: nonostante l’embargo Onu, la Libia è costantemente destinazione di armi delle principali potenze che si contendono il suo controllo. E a violarlo in modo plateale non è solo il nemico delle Nazioni Unite, ma lo stesso governo tripolino sostenuto dalla comunità internazionale (leggi Guerra in Libia: violato l’embargo sulle armi).
L’investimento militare del presidente turco Recep Tayyip Erdogan segue un’agenda precisa. L’obiettivo è consolidare il ruolo della Turchia come potenza regionale, in particolare nel bacino orientale del Mediterraneo. Per questo a novembre 2019 Erdogan e Serraj hanno siglato un Memorandum of understanding che in sostanza ridisegna i confini delle acque territoriali libiche, creando zona economica speciale marittima tra Libia e Turchia.
L’accordo è stato criticato dalla comunità internazionale perché è un chiaro segnale di sfida, in particolare verso la Grecia: questo accordo, infatti, viola i principi della sovranità marittima greca nelle acque intorno a Creta. Per Erdogan però significa assumere una posizione di vantaggio sullo sfruttamento delle risorse petrolifere e di gas libiche e su future esplorazioni in quel tratto di Mediterraneo.
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Guerra in Libia 2020: oggi Haftar è di nuovo un nemico per tutti
Al ribaltamento del fronte militare è corrisposto un cambio di percezione della caratura internazionale di Khalifa Haftar, a conferma di quanto il conflitto libico sia il risultato dello scontro di forze esterne. A gennaio, la conferenza di Berlino, come ricorda l’analista Tarek Mergisi, avrebbe dovuto servire alla Germania per disinnescare l’intervento a sostegno di Haftar degli Emirati Arabi Uniti e scongiurare una soluzione militare al conflitto.
In realtà la trattativa è stata fallimentare: il cessate-il-fuoco stabilito è durato ben poco, Haftar appariva sempre più il possibile leader della Libia futura, stabilizzata, con Vladimir Putin suo garante sul piano internazionale. L’immobilismo europeo ha incentivato la Turchia a fare qualche passo in avanti e offrire il proprio appoggio a Serraj, che ormai era di fatto stato abbandonato dai suoi vecchi alleati, pronti a farsi andare bene anche una nuova Libia guidata da Haftar.
La legittimità politica oggi sembra in declino. Haftar rischia, infatti, di finire incriminato dalla Corte penale internazionale: «Di particolare preoccupazione per il mio ufficio – ha dichiarato la procuratrice generale della Corte de l’Aja Fatou Bensouda il 6 maggio – è l’alto numero di vittime civili, che in gran parte è il risultato di bombardamenti aerei e di operazioni di scudo umano».
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A inizio maggio un report delle Nazioni Unite ha confermato la presenza dei mercenari russi di Wagner Group, milizia privata controllata da Yevgeny Prigozhin, molto vicino a Vladimir Putin, in Libia.
Un paio di settimane dopo, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Usa e Gran Bretagna hanno ribadito l’accusa, che ha provocato lo sdegno del rappresentante russo alle Nazioni Unite. I segnali indicano che l’interventismo russo non è più accettato.
US is directly responsible for #Libya crisis. In 2011, in violation of #UNSC Res.1973, US & #NATO allies launched an armed aggression against the country, destroying state institutions, security agencies, unbalancing interregional relations. MFA comment: https://t.co/uRAvDgGJVC pic.twitter.com/6wAoKA2vDe
— Russian Embassy, UK (@RussianEmbassy) May 16, 2020
Pattugliamento acque: polemiche intorno alla missione Irini
In questo quadro fa ancora più scalpore l’incapacità di agire dell’Unione europea. Il 31 marzo, dopo diverse polemiche, è partita Irini, l’operazione europea di pattugliamento delle acque antistanti le acque libiche avente l’obiettivo di fermare il traffico di armi. Austria e Italia avevano già sollevato dubbi rispetto a un possibile eccessivo coinvolgimento di Irini in operazioni di salvataggio, come accaduto – sostengono i due Paesi – con la precedente operazione Sophia. La circostanza avrebbe potuto portare una nuova crescita delle partenze, è la tesi dei due Paesi.
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Questo negoziato per l’Italia si è tradotto nel comando della missione, mentre Malta si è sfilata. Per altro il governo dell’isola è stato accusato a fine 2019 di aver firmato un accordo segreto con la Libia per respingere i migranti e ad aprile di avere a disposizione una flotta di pescherecci per condurre le operazioni di respingimento.
La scelta di Malta compiace il governo di Tripoli. Serraj infatti ha dichiarato fin da aprile che l’operazione europea avrebbe finito con il favorire Haftar. Il motivo è che Irini, missioni navale, non impedirebbe ad Haftar di rifornirsi via terra dall’Egitto. Anche questa scelta sembra una scossa di assestamento del terremoto politico scatenato dall’intervento turco nel conflitto. Il vero ago della bilancia in Libia, con buona pace delle istituzioni internazionali, oggi è Ankara.