Palma da olio: diritti in pericolo nelle piantagioni in Indonesia
L’ong Rainforest Action Network denuncia lavoratori sottopagati e senza contratto nelle piantagioni di palma da olio anche dopo un anno dai primi rilevamenti. E punta il dito contro chi certifica la sostenibilità dell’olio di palma
Stesse piantagioni, stesse violazioni dei diritti dei lavoratori. A distanza di un anno il team di ricercatori della Rainforest Action Network (Ran), un’organizzazione ambientalista con sede negli Stati Uniti, è tornato a visitare due piantagioni dell’azienda agricola Pt Pp London Sumatra, sull’isola di Sumatra, in Indonesia. Si tratta di due concessioni finite sotto la lente della stessa ong già nel 2016.
Nel report The human cost of conflict palm oil. Revisited (Il costo umano dell’olio di palma. Rivisto), uscito alla fine del 2017, la Ran denuncia l’assenza di cambiamenti nella politica aziendale e il permanere delle violazioni di diritti. La seconda spedizione ha compreso anche la visita a una terza piantagione gestita da London Sumatra, esclusa dalla prima analisi sul terreno.
L’azienda agricola opera per conto di una delle maggiori compagnie che si occupano della trasformazione del frutto della palma: Indofood. Il gruppo indonesiano, leader nell’industria alimentare, è partner strategico di grandi marchi internazionali, tra cui Nestlé e PepsiCo.
Lavoro malpagato e sicurezza: accuse a piantagioni
Salari sotto il minimo previsto dalla legge indonesiana, ritardi nei pagamenti e assenza di compensi per gli straordinari. Secondo l’ong Rainforest Action Network l’azienda avrebbe utilizzato nelle piantagioni anche lavoratori giornalieri senza contratto e avrebbe impiegato le mogli di alcuni braccianti per mansioni non retribuite.
Tra la prima e la seconda visita, secondo la Ran, London Sumatra non avrebbe preso i provvedimenti necessari a garantire la sicurezza dei lavoratori agricoli esposti ai pesticidi e ai fertilizzanti chimici. Già nel primo rapporto, inoltre, l’ong statunitense aveva sottolineato la mancanza di cure mediche adeguate per i lavoratori e la difficoltà di ottenere, dalla clinica della compagnia, permessi per problemi di salute.
La situazione non sarebbe migliorata nemmeno in relazione alla libertà di associazione per i lavoratori. Secondo le testimonianze raccolte dalla Ran, la compagnia continuerebbe ad utilizzare forme di intimidazione per impedire la diffusione di unioni indipendenti di lavoratori, favorendo invece la formazione di organizzazioni sindacali vicine al datore di lavoro.
Sostenibilità e diritti a rischio: «Rspo ha fallito»
L’ong statunitense, oltre ad accusare la compagnia di non aver modificato la sua condotta dopo la prima denuncia, punta il dito contro la Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (Rspo).
L’organizzazione internazionale si propone di trasformare in ottica di sostenibilità l’intero settore della materia prima oleosa, come racconta in un’intervista pubblicata oggi da Osservatorio Diritti Stefano Savi, responsabile della politica di coinvolgimento degli attori della filiera per la Tavola rotonda per l’olio di palma. London Sumatra, sussidiaria di Indofood, risulta, infatti, tra i membri certificati sostenibili dalla Rspo.
L’organizzazione contro l’olio di palma London Sumatra
La Ran sottolinea nel suo rapporto la debolezza nel sistema dei controlli e la mancanza di misure drastiche come la revoca del certificato di sostenibilità, in caso di violazione dei diritti dei lavoratori. La mancanza di azione da parte di Indofood e della sua controllata, secondo la Ran rappresentano un fallimento della funzione di Rspo. L’ong chiede, infatti, la sospensione immediata della certificazione rilasciata a London Sumatra. Alla compagnia indonesiana è stato permesso di continuare a vendere olio certificato, violando gli standard stabiliti dalla stessa Rspo, denuncia la Ran.
Raccolta dei frutti della palma. Foto: Craig Morey (via Flickr)
Le critiche della ong statunitense si sono concentrate in particolare sull’ente certificatore accreditato, l’italiana Sai Global che avrebbe svolto le indagini sul terreno in modo poco accurato. Avrebbe consultato solo un piccolo campione di lavoratori e avrebbe intervistato soprattutto persone associate alle unioni autorizzate dal datore di lavoro.
Sospensione temporanea dell’ente certificatore
Nel mese di dicembre del 2016, dopo le verifiche sul campo, l’Accreditation Services International (Asi) che accredita gli enti certificatori ha sospeso l’ente certificatore Sai Global, che si è occupato di controllare l’operato di London Sumatra.
La performance di Sai sarebbe stata lacunosa e, durante la verifica sul terreno disposta dal sistema di controllo di Rspo, sono state individuate: violazioni della legge indonesiana sul lavoro, pratiche insicure nell’uso dei pesticidi e la mancanza di contratti, in particolare per i lavoratori occasionali.
Lo stesso servizio di accreditamento (Asi) ha disposto il prolungamento del periodo di sospensione dell’ente certificatore fino al 6 luglio 2017, data in cui la misura è decaduta. Una decisione, quella di regolarizzare Sai Global dopo il periodo di sospensione, contestata dalla Ran che ha sottolineato la mancanza di una spiegazione pubblica da parte dell’ente di accreditamento.
«Controlli su produttori olio di palma andranno a fondo»
La Rspo, dal canto suo, punta sul processo di mediazione in corso tra le parti, che viene costantemente aggiornato sul sito dell’organizzazione. «Ci sono state delle verifiche sul posto e dei controlli dell’ente preposto all’accreditamento (Asi) che hanno portato alla sospensione dell’ente certificatore» spiega Stefano Savi, responsabile per Rspo di ampliare e migliorare il coinvolgimento del settore.
«In questo caso il problema è legato anche alla mancanza di informazioni riguardanti il luogo specifico in cui sarebbero avvenute le violazioni»
«La società sotto accusa (London Sumatra) possiede 6 mulini certificati e 20 piantagioni sostenibili». Sul sito della compagnia indonesiana si legge che circa la metà della produzione di olio di palma ha ottenuto la certificazione di sostenibilità.
«Capire esattamente dove sia avvenuta la violazione è molto complesso e rende difficile il processo di verifica», sostiene Savi. Alla fine del 2017 sembra esserci stata una prima svolta nel processo di mediazione perché, come conferma il responsabile Rspo, alcuni lavoratori hanno acconsentito alla divulgazione della location precisa, previa alcune assicurazioni di protezione personale e anonimato, per paura di ritorsioni. «Una volta ottenute queste informazioni», afferma Stefano Savi, «ci sarà un controllo sul campo che verrà effettuato da un ente terzo indipendente, pagato Rspo».
Secondo il responsabile engagement della Tavola rotonda, per combattere le violazioni dei diritti dei lavoratori ci vuole uno sforzo corale. «Dal punto di vista ambientale è più semplice individuare la problematica e la violazione: la deforestazione quando è fatta è fatta», dice Stefano Savi. «Quando si parla di violazioni dei diritti dei lavoratori è necessario uno sforzo di tutti gli attori della filiera e della società».