Investimenti insostenibili: le banche finanziano la palma da olio
Quattro istituti australiani sono accusati di finanziare land grabbing, deforestazione e violazioni dei diritti in Asia e Africa. Il rapporto di Friends of the Earth Australia punta il dito sui soldi concessi a sei colossi della produzione di olio di palma
Land grabbing, deforestazione e violazioni dei diritti dei lavoratori. Quattro grandi banche australiane sono finite nell’ultimo rapporto dell’ong Friends of the Earth Australia (Foe). Sono accusate di aver finanziato, direttamente o indirettamente, compagnie della palma da olio in Asia e Africa.
Il documento “Draw the line” si concentra sull’operato di quattro istituti di credito: Anz (Australia and New Zeland Banking Group), Westpac, Commonwealth Bank of Australia e National Australian Bank. Avrebbero favorito la diffusione delle piantagioni di palma da olio, senza tenere conto delle conseguenze ambientali e sociali degli investimenti.
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Secondo la ricostruzione dell’organizzazione non governativa, tra il 2010 e il 2018 le banche australiane si sarebbero impegnate finanziariamente per circa 6,5 miliardi di dollari con le sei principali aziende attive nella filiera dell’olio di palma.
Gli istituti australiani hanno sostenuto direttamente le compagnie attraverso prestiti o grazie ad investimenti in azioni o obbligazioni. Le sovvenzioni sono arrivate anche a progetti specifici, dedicati alla coltivazione e lavorazione del frutto tropicale.
Oltre alle relazioni che è possibile tracciare, pare esistano anche rapporti confidenziali che non sono stati resi pubblici. Secondo Friends of the Earth, infatti, i finanziamenti individuati rappresentato solo la punta dell’iceberg rispetto alla totalità delle relazioni tra banche australiane e settore della palma.
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Piantagioni di palma da olio: diritti solo sulla carta
Le quattro banche sono venute meno agli impegni presi sulla carta, all’interno delle loro linee guida per una gestione sostenibile. Westpac, infatti, nel suo rapporto 2014 annunciava di voler sovvenzionare solo compagnie in grado di assicurare il rispetto del consenso libero, previo e informato delle comunità.
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La banca Anz, nonostante non faccia riferimento diretto a policy riguardanti terra e agricoltura, sottolinea il rispetto dei diritti umani, la riduzione dell’impatto ambientale e delle emissioni. Nel rapporto sulla sostenibilità 2018, Anz annuncia di aver rivisto le proprie politiche e cita esplicitamente il finanziamento al settore della palma da olio. Nel testo vengono indicati come requisiti fondamentali: l’assenza di deforestazione e la certificazione della tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (Rspo).
La National Australian Bank, dal canto suo, prevede una policy specifica per la tutela dei diritti fondiari. Il rispetto dei diritti umani in tutti i settori di intervento viene ribadito anche dalla Commonwealth Bank of Australia.
Delle quattro grandi banche che finanziano la palma da olio, però, solo una, la Anz, è membro Rspo, l’organismo che riunisce tutti gli attori della filiera e punta alla sostenibilità sociale e ambientale del settore.
«Le banche non stanno facendo abbastanza per assicurarsi che i diritti delle popolazioni interessate dai progetti vengano rispettati», scrive Foe nel rapporto, sottolineando come gli impegni siano rimasti sulla carta.
Deforestazione e problemi coi diritti per sei compagnie
Sono sei i grandi gruppi presi in esame nel rapporto per aver ricevuto finanziamenti negli ultimi 8 anni, da almeno una delle quattro banche sotto accusa. Si tratta di compagnie, sottolinea Foe, che hanno passato i criteri di selezione posti dagli istituti di finanziamento.
Le aziende prese in esame sono: Astra International, sussidiaria di Jardin Matherson Holding, Goodhope Asia controllata dalla Carson Cumberbatch, Noble Plantation Pte Ltd parte del gruppo Noble, Olam International Limited del gruppo Olam, Triputa Agro Persada e Wilmar International Limited.
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Alcune delle compagnie che controllano direttamente, o di cui possiedono partecipazioni, sono accusate di numerose violazioni. Non avrebbero rispettato i diritti dei lavoratori, negando il minimo salariale e impiegando bambini nelle piantagioni. Altre sono accusate di aver appiccato incendi o tagliato alberi, per eliminare la foresta.
Le compagnie in esame sono state oggetto di rapporti di ong e associazioni per aver sfrattato la popolazione locale dalla terra che coltivava da generazioni, per aver criminalizzato gli oppositori, per aver generato conflitti inter-comunitari e aver impedito o evaso i controlli ambientali.
Wilmar nella black list della palma da olio
Tutti gli istituti esaminati da Foe Australia hanno finanziato il gruppo Wilmar, principale protagonista asiatico del settore agroalimentare. Tra il 2010 e il 2017 avrebbe ricevuto 2 miliardi di dollari. Wilmar controlla quasi 240.000 ettari di piantagioni di palma da olio in Indonesia, Malesia e in diversi paesi africani come Ghana, Costa d’Avorio, Nigeria e Uganda. Oltre alla coltivazione, si occupa anche della trasformazione della materia prima, con oltre 500 centri di lavorazione in giro per il mondo.
La compagnia sul suo sito dichiara di operare responsabilmente sia in ambito sociale sia ambientale ed è membro dell’Rspo. Alcune controllate della compagnia risultano certificate Rspo, ma non l’intera filiera. Nella black list realizzata da Foe ci sono 26 tra controllate e partecipate della Wilmar che non hanno rispettato gli standard di sostenibilità previsti nelle policy aziendali del gruppo. Le accuse, raccolte grazie a indagini e rapporti di ong e associazioni, vanno dall’incendio alla deforestazione, dall’accaparramento delle terre all’inasprimento dei conflitti.