Messico: record di giornalisti uccisi e minacciati sotto la presidenza Nieto
Il Messico è tra i paesi più pericolosi al mondo per chi si occupa di informazione. Durante i sei anni di presidenza Nieto, 47 giornalisti sono stati uccisi e il numero di aggressioni ha raggiunto quota 2.500. Lo rivela l'ultimo rapporto dell'organizzazione Articulo 19
Dopo sei anni di presidenza del Messico, Peña Nieto ha lasciato un paese che viene classificato tra i più pericolosi al mondo per i giornalisti: 47 uccisi, 4 scomparsi e un totale di 2.502 aggrediti nel corso del suo mandato.
«I numeri, sebbene siano sufficienti a causare indignazione, non rispecchiano da soli il terrore affrontato dalla stampa in questo paese», si legge nel nuovo rapporto Ante el silencio, ni borrón ni cuenta nueva (Davanti al silenzio, non si volta pagina) di Articulo 19, organizzazione Internazionale di diritti umani per la protezione dei giornalisti.
«Hanno tolto loro la parola e la voce. I fogli sono rimasti in bianco e il rumore è diventato silenzio».
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Messico: minacce e violenze per far tacere i giornalisti
«La paura provocata dalla violenza ha portato il silenzio»: inizia così il rapporto di Articulo 19 sulla violenza nei confronti giornalisti in Messico. La violenza e le intimidazioni possono mettere a tacere chi cerca la verità, generando paura e autocensura. Mettere in silenzio un giornalista e chiudergli la bocca equivale a non fargli fare il proprio mestiere, significa negare il diritto di tutti al sapere e alla verità.
Questi continui attacchi alla libertà di espressione hanno tolto la parola a centinaia di giornalisti. Molti hanno iniziato a firmare in “anonimo”, hanno rinunciato ai loro nomi per continuare a fare informazione. Alcuni media, invece, hanno smesso di raccontare cosa accade.
Secondo il rapporto, anni di paura e violenza nel paese messicano hanno generato intere zone di silenzio a causa della penetrazione delle organizzazioni criminali. In alcuni Stati, come a Tamaulipas, nella parte nord-orientale del Messico, il silenzio è diventato uno stile di vita per i giornalisti.
Veracruz resta invece lo Stato più pericoloso al mondo per fare giornalismo: la maggior parte dei cronisti hanno dovuto andare via per salvaguardare la propria vita.
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La criminalizzazione dei giornalisti in Messico
Esemplare è il caso della giornalista Lidya Cacho, che nel luglio del 2005 venne denunciata da un uomo d’affari, Kamel Nacif, per diffamazione e calunnia. Una atto, ricostruisce sempre il report di Articulo 19, legato alla pubblicazione del libro I demoni dell’Eden: il potere che protegge la pornografia infantile, dove erano citati uomini e donne d’affari e autorità coinvolte nello sfruttamento sessuale dei bambini.
Lydia fu vittima di detenzione, torture, intimidazioni per aver svolto il proprio mestiere di giornalista e per aver portato avanti la sua inchiesta. Sono proprio queste, sottolinea l’organizzazione, le condizioni nelle quali si trovano i giornalisti messicani e in cui molti altri vengono scoraggiati dall’intraprendere certe inchieste.
La criminalizzazione di un giornalista, si legge nel rapporto, «è un elemento sufficiente a garantire che l’informazione non raggiunga l’obiettivo dell’indagine, a nascondere la verità, a far sì che il giornalista smetta di svolgere il proprio lavoro a fronte del rischio di persecuzione, oppure della necessità di doversi difendere legalmente».
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Uccisione dei giornalisti in Messico e impunità diffusa
Il messaggio di violenza contro un giornalista diventa un messaggio di silenzio per tutti gli altri giornalisti che spesso decidono di auto censurarsi.
«Si configura il doppio omicidio: da un lato si uccide il giornalista e dall’altro si uccide la sua verità, si seppellisce, nessun altro saprà più nulla di lei. La mancanza di indagini, l’impunità nelle aggressioni contro la stampa, sono un modo per garantire l’oblio», scrive Articulo19.
Durante il periodo di presidenza di Peña Nieto (2012-2018), sostituito nelle ultime elezioni di luglio 2018 da Andrés Manuel López Obrador, si è registrato un forte aumento di aggressioni contro ai giornalisti, con livelli di impunità pari al 99% dei casi. Gli uomini del governo e le autorità sono stati identificati come la più grande minaccia per la stampa.
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Digital divide: l’informazione non raggiunge i messicani
Una parte della popolazione messicana non ha accesso all’informazione. Infatti nel rapporto si legge che solo il 65% dei messicani ha la possibilità di accedere a internet. A ottobre 2018 i luoghi pubblici con accesso a internet sono solo 101.000, mentre l’obiettivo del programma Messico Connesso, lanciato nel 2013, era di raggiungere 250.000 luoghi pubblici con internet gratuito.
«L’impossibilità per le popolazioni più remote e vulnerabili di avere accesso alle informazioni su internet – spiega il rapporto – attraverso fonti diverse da quelle tradizionali, come ad esempio la stampa, la radio e la televisione, limita il modo in cui le persone possono partecipare ed esigere responsabilità». Internet è spesso servito e può servire come megafono delle voci ai margini della società, può permettere di accedere a diverse versioni dei fatti e contribuire alla partecipazione e alla costruzione della verità degli stessi. «Il divario digitale – secondo Articulo 19 – è un elemento di esclusione e discriminazione».
Quando le istituzioni sono parte del problema
Secondo Articulo 19 una delle «procedure primarie per il controllo dell’informazione e l’occultamento della verità è quello di creare istituzioni che garantiscono la libertà di espressione e di informazione che finiscono per essere “amministratori dell’informazione” o “amministratori della paura”»
In quest’ottica il governo messicano ha creato una serie di istituzioni: “Il Meccanismo di protezione per i giornalisti e difensori dei diritti umani“, la “Procura speciale per i reati contro la libertà di espressione“, il “Programma di denunce di giornalisti e difensori civili della comissione nazionale dei diritti umani” e “L’Istituto nazionale di accesso alle informazioni e alla protezione dei dati personali”.
Secondo Articulo 19 queste istituzioni statali non sono efficaci proprio perché troppo legate allo Stato, al governo che in alcuni casi è legato alle stesse organizzazioni criminali locali.
«Le istituzioni inefficienti e politicizzate sono un elemento importante per limitare la possibilità dei cittadini ad avere degli strumenti necessari per contrastare gli impatti del controllo delle informazioni e dell’occultamento della verità».
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La mattanza del 2 ottobre
Il rapporto tiene a ricordare una giornata del 1968, la “mattanza del 2 ottobre”, quando una manifestazione di studenti venne repressa dagli agenti nella Plaza de las tres culturas a Tlatelolco. A Città del Messico quel giorno centinaia di persone vennero uccise. Una giornata, diventata simbolo della violazione dei diritti umani, la più conosciuta e condannata nel Paese. Cinquant’anni dopo il Messico aspetta ancora giustizia: non si sa quello che è successo, chi ha dato l’ordine di attaccare i civili e chi ha obbedito a questi ordini.
«Le violazioni dei diritti umani commesse quel giorno sono state commesse di nuovo, in modi diversi, ma con la stessa impunità, più e più volte nel nostro Paese: l’impunità del passato è garanzia di impunità del presente»
«Sparizioni, torture, esecuzioni extragiudiziali, massacri, sono fatti che riguardano la società in generale, il suo insieme. Queste violazioni dei diritti umani significano una rottura del tessuto sociale, incidono sul modo in cui vivono le persone, le comunità e la società in generale».
Vittime, familiari e società civile per arrivare alla verità
Il rapporto evidenzia come sia sempre di più necessario rendere visibile il lavoro dei giornalisti uccisi e le loro inchieste. Così come sottolineare il ruolo importante che hanno i familiari delle vittime e i movimenti della società civile che negli ultimi anni hanno contribuito alla costruzione della verità.
Nel caso delle persone scomparse il diritto alla verità implica sapere dove sta ciascuna di esse.
«Il diritto alla verità appartiene alle vittime, ai suoi familiari e anche a tutta la società in generale», dice la Commissione interamericana dei diritti umani.
«Il governo e le sue istituzioni sono quelli che ostacolano il diritto alla verità, ma non solo loro. A questo proposito, ricorda Guadalupe Pérez Rodríguez, figlia di Tomás
Pérez Francisco, arrestato e scomparso dal 1˚maggio 1990: una parte importante di responsabilità è anche della società che non vede e non ascolta, che ha preferito guardare dall’altra parte per non vedere una realtà che fa male, o certe persone che si rallegrano delle lotte, ma che non partecipano per non compromettersi».