Libia: migranti e cittadini locali vittime di torture e uccisioni illegali

581 uccisioni illegali avvenute nel paese dal 2020 a marzo 2022 sono state documentate da un nuovo report del Libyan Anti-torture Network. Le vittime sono sia migranti, sia cittadini libici

In Libia chiunque può essere fatto sparire, torturato, maltrattato e anche giustiziato per le sue simpatie politiche, per la sua appartenenza tribale, per razzismo, per la sua attività sui social media, così come per altre misteriose ragioni. La guerra continua dal 2011 e la situazione umanitaria è drammatica, con una crisi politica irrisolta e diritti umani violati. E la vita di tanta gente è a rischio.

Lo denuncia il nuovo report del Libyan Anti-torture Network (Lan), rete di diverse organizzazioni della società civile libica supportata dalla World Organisation Against Torture (Omct). Appena pubblicato con il titolo That was the last time I saw my brother (Quella fu l’ultima volta che vidi mio fratello), il documento parla di 581 uccisioni illegali avvenute sul territorio libico dal gennaio 2020 a marzo 2022: crimini che hanno avuto come vittime i civili e che sono avvenuti al di fuori di qualunque cornice legale.

A essere presi di mira sono stati sia cittadini libici sia migranti stranieri, tanto all’interno quanto fuori dai centri di detenzione gestiti dalle autorità libiche, dove a volte sono loro negati diritti basilari come l’accesso all’acqua potabile, a pasti adeguati, alle toilette e all’assistenza medica.

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Foto: Moayad Zaghdani (via Unsplash)

Essere migranti in Libia oggi: la storia di Ahmed

In questi centri si può anche morire, come si legge nella testimonianza del trentenne originario della Siria, Ahmed (nome di fantasia), inserita nel report dell’organizzazione della società civile libica.

«Eravamo soliti vedere veicoli entrare di sera (nel centro di detenzione, ndr). Uomini armati si univano alle guardie e a volte venivano e prendevano qualcuno di noi per i lavori forzati. […] Quando abbiamo sentito colpi di arma da fuoco ci siamo buttati a terra, impauriti dai proiettili. Una delle guardie aveva una pistola che agitava istericamente, sparando a casaccio. Due sudanesi sono stati feriti alle gambe dai suoi colpi di pistola. Quando i migranti hanno visto queste ferite, si sono preoccupati e hanno provato a scappare dal cortile, ma gli uomini armati li hanno presi di mira e hanno ucciso un vecchio uomo siriano, prima di colpirlo alla testa con un tubo di metallo».

Centri di detenzione per migranti in Libia

Scene come queste si ripetono nei centri di detenzione libici a Tripoli e nella regione occidentale della Libia, dove vengono rinchiusi i migranti in attesa di prendere il mare per raggiungere l’Europa, oppure dove vengono detenuti una volta riportati indietro dalle motovedette della cosiddetta Guardia costiera libica.

Proprio questo è il caso di Ahmed che, arrivato in aereo all’aeroporto di Bengasi insieme a due amici, avrebbe dovuto raggiungere l’ovest del paese con un taxi prima di prendere il mare e tentare di raggiungere l’Europa.

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Bandiera della Libia – Foto: via Wikimedia Commons

Il respingimento e le violenze subite in Libia

«Improvvisamente ci ha detto di dover cambiare la destinazione e andare verso la Libia del sud perché “la strada era troppo pericolosa”. Mi ricordo che siamo arrivati in una zona dove la nostra auto è stata fermata e noi siamo stati perquisiti. Al checkpoint ci hanno preso i nostri cellulari, chiedendoci dei soldi. Abbiamo passato lì la notte e solo la mattina dopo ci hanno detto di muoverci e il resto del viaggio sono stati solo due giorni attraverso il deserto prima di raggiungere Zuwara. Lì siamo rimasti tre giorni fino a quando è arrivata l’ora della nostra partenza. Dopo aver pagato ciascuno 2.000 dollari, ci hanno portato alla spiaggia a notte inoltrata».

La gioia della partenza è stata, però, effimera, e dopo solo sei ore di viaggio la barca su cui stava viaggiando Ahmed è stata intercettata dalla cosiddetta Guardia costiera libica. Lui e gli altri sono stati riportati indietro e condotti fino al Shohada Al-Nasr Detention Centre. «Abbiamo trascorso giorni davvero brutti perché il centro era sovraffollato, il trattamento inumano e non c’era abbastanza cibo». E dove si poteva diventare bersagli dei colpi sparati dalle guardie all’interno del centro come sarebbe accaduto, di fronte agli occhi di Ahmed, al suo compagno di detenzione di origine siriane.

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Guardia costiera libica – Foto: European External Action Service (via Flickr)

La guerra fa vittime anche tra i cittadini libici

L’assenza di diritti e le uccisioni illegali non riguardano solo i migranti chiusi all’interno di centri come quello di Shohada Al-Nasr, che era stato definito un «centro di tortura» da Medici per i diritti umani (Medu), ma sono pane quotidiano anche per le strade delle città libiche, dove le milizie, legittimate dai decreti dei governi di Tobruk e di Tripoli, fanno da padroni.

A farne le spese sono oppositori politici, giornalisti, difensori dei diritti umani, politici, blogger.  Tra i casi ricordati nel report del Lan c’è quello di Hanan Al-Barasi, avvocata 46enne, uccisa per le strade di Bengasi due giorni dopo aver condiviso un video sulla sua pagina Facebook, molto seguita, in cui criticava le autorità dell’est della Libia per la corruzione, gli abusi di potere e le violazioni dei diritti umani.

Le richieste ad autorità locali e comunità internazionale in difesa dei migranti in Libia

A chiudere il report ci sono alcune raccomandazioni per le autorità libiche chiamate a rispettare e a applicare le leggi e le norme previste dai trattati internazionali, a cui la Libia aderisce, per mettere fine all’impunità di quanti si macchiano di crimini nel paese. Oltre che alle traballanti autorità nazionali, il documento richiama anche la comunità internazionale ai suoi doveri: «Ogni stato con influenza sui diversi attori in campo dovrebbe utilizzarla per assicurare il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale».

Per quanto riguarda i migranti, lo studio si rivolge direttamente all’Unione europea, chiedendo la «fine dei respingimenti» e la revisione della cooperazione con «ogni attore» coinvolto nell’uccisione e nelle torture dei migranti. In particolare, chiede lo stop alla collaborazione con la cosiddetta Guardia costiera libica. Il Parlamento italiano l’ha rinnovata a fine luglio.

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