Migranti: Corte di Milano conferma atrocità compiute in Libia

La sentenza di un tribunale italiano riconosce le atrocità commesse in Libia contro i migranti. E condanna in primo grado un cittadino somalo per aver sequestrato centinaia di connazionali. I reati contestati all'uomo sono omicidio, sequestro di persona in concorso e continuato a scopo estorsivo e violenza sessuale aggravata

Matammud Osman e i suoi uomini, con frequenza quotidiana, si recavano all’interno del capannone, dove picchiavano con calci e pugni, con bastoni e spranghe di ferro, i cittadini somali lì presenti, provocando la frattura degli arti, e, in alcuni casi, la morte.

Matammud e i suoi collaboratori, ogni giorno, prelevavano cittadini somali dallo stesso capannone per portarli in una vera e propria stanza delle torture. Dove erano sottoposti a scariche elettriche, frustate, colpi di bastone, per poi essere lasciati per terra disidrati sotto il sole. Diverse cittadine somale, invece, anche minorenni, erano portate di frequente in un appartamento e sottoposte a gravi violenze sessuali.

A sostenerlo è la sentenza di primo grado pronunciata il 10 ottobre dalla Corte d’Assise di Milano, che ha condannato l’uomo all’ergastolo e all’isolamento diurno per tre anni per i reati di omicidio, sequestro di persona in concorso e continuato a scopo estorsivo e violenza sessuale aggravata. Trattandosi di una sentenza di primo grado, naturalmente, l’uomo ha ora la possibilità di contestare la decisione dei giudici in appello.

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Misurata, Libia (Foto: IOM/Nicole Tung)

Secondo questa prima sentenza, l’uomo avrebbe sequestrato alcune centinaia di cittadini somali, suoi connazionali. E Matammud sarebbe stato il componente di un’organizzazione transnazionale che gestiva un campo di raccolta in Libia, nella città di Beni Walid.

Profughi sequestrati e torturati in Libia per il riscatto

Questi fatti si sarebbero svolti dall’inizio del 2015 fino all’arresto dell’uomo, avvenuto nel settembre del 2016. Stando alla ricostruzione fatta dalla Corte d’Assise di Milano, diversi cittadini somali sarebbero stati sequestrati e torturati (quattro uomini sono morti) senza poter essere liberati fino al pagamento di un riscatto di 7 mila euro.

Ma il piano criminale dell’organizzazione prevedeva una terza fase di “gestione” della popolazione somala. Sulla costa libica, nella città di Sabrata, i migranti sarebbero stati imbarcati verso l’Italia dietro il pagamento di altre somme.

Le aggravanti: sevizie, crudeltà, violenze su minori

Il verdetto della Corte di Milano è duro e non lascia spazio ad attenuanti. Anzi. Il giudizio è pieno di aggravanti: «Per avere adoperato sevizie e crudeltà sulle persone per lungo tempo; con l’aggravante della transnazionalità, poiché i reati sono stati commessi da un gruppo criminale operante, contemporaneamente, in più di uno Stato. Per avere commesso violenze su persone comunque già sottoposte a violazione della libertà personale; e su minori di età, avendo anche la disponibilità di armi».

Condannato a pagare quasi un milione di euro

Dal dispositivo della sentenza di primo grado si apprende, inoltre, che l’imputato è stato condannato al pagamento di 100.000 euro per ognuna delle nove parti civili, di 50.000 euro in favore di un altro uomo, e di 10.000 euro, da destinare all’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), anch’essa costituitasi in giudizio.

Campi di prigionia in Libia riconosciuti come lager

L’avvocato del foro di Milano che ha rappresentato l’Asgi, Piergiorgio Weiss, dice che «questo è un procedimento che è stato possibile svolgere in Italia grazie al contributo del ministero della Giustizia». Infatti, spiega Weiss, «l’articolo 10 del codice penale prevede che alcuni delitti molto gravi commessi da un cittadino straniero all’estero possono avere un processo in Italia solo e soltanto se, richiesto dalla Procura, il ministro della Giustizia dà il suo nulla osta. Ed è proprio ciò che è avvenuto».

E ancora: «Si tratta di una sentenza molto importante perché in tal modo è come se lo Stato italiano riconoscesse ufficialmente che i campi di prigionia libici sono dei veri e propri lager e, dunque, i migranti vittime di torture in Libia meritano tutela e giustizia. Anche in Italia».

Bocassini: «In 40 anni mai sentito racconti così atroci»

I reati contestati erano così gravi che il caso è stato giudicato di competenza dell’Antimafia. Il magistrato Ilda Boccasini, che è a capo della procura antimafia milanese, nella conferenza stampa che seguì agli arresti dichiarò: «In quarant’anni di carriera non ho mai ascoltato dei racconti così atroci».

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Palazzo di giustizia di Milano – Foto: Caccamo (via Flickr)

E il pm che ha rappresentato l’accusa al processo, Marcello Tatangelo, nella requisitoria davanti alla Corte d’Assise che ha preceduto la sentenza, ha detto: «Matammud Osman è un sadico, uno che si diverte a torturare e a uccidere. È un ragazzo di 22 anni che ha avuto nelle sue mani il destino di centinaia di persone».

Non solo. Il pubblico ministero ha detto: «L’uomo va condannato all’ergastolo e non merita le attenuanti generiche perché la giovane età e il suo essere incensurato vanno comparate con la straordinaria gravità ed efferatezza dei crimini commessi». Poi, ha aggiunto:

«L’unico paragone che mi viene da fare per questi luoghi è quello con i campi di concentramento nazista».

Sentenza di Milano conferma atrocità su migranti

In una nota stampa diffusa dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, l’Asgi aveva espresso soddisfazione per l’esito del processo perché «per la prima volta nelle aule di un Tribunale italiano una sentenza ha chiaramente affermato quanto efferate siano le condizioni a cui sono sottoposti decine di esseri umani in Libia, giudicando attendibili le testimonianze dei richiedenti asilo».

Non soltanto. I legali di Asgi avevano ribadito anche che «alla luce di questa condanna appaiono ancora più gravi le conseguenze delle scelte politiche attuate dall’Italia e dall’Unione europea volte al respingimento dei migranti in Libia attraverso accordi con le autorità locali». In questo senso, secondo gli avvocati «la mancanza delle condizioni minime di accesso ai diritti fondamentali non può essere sconosciuta al ministro dell’Interno».

Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa

Più o meno le stesse rimostranze nei confronti della politica adottata dal Viminale erano state espresse dal Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, in una lettera al ministro degli Interni, Marco Minniti. Nella missiva missiva, che risale al 28 settembre ma che è stata resa nota solo qualche giorno fa, il Commissario europeo chiede conto del recente accordo per bloccare le partenze stipulato con i sindaci libici.

«Le sarei grato se potesse chiarire che tipo di sostegno operativo il suo governo prevede di fornire alle autorità libiche nelle loro acque territoriali, e quali strumenti l’Italia intende mettere in atto per garantire che le persone salvate o intercettate non rischino trattamenti e pene inumane e la tortura», aveva chiesto Muiznieks a Minniti.

Il ministro italiano aveva risposto cosi: «Mai navi italiane o che collaborano con la Guardia costiera italiana hanno riportato in Libia migranti tratti in salvo». E ancora: «L’obiettivo dell’azione italiana è duplice: prevenire traversate che pongano a rischio le vite e garantire il rispetto degli standard internazionali di accoglienza in Libia, mediante il rafforzamento della presenza e delle attività di Unhcr e Oim (l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ndr)».

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