Andrea Rocchelli: Vitaly Markiv assolto per l’omicidio del giornalista
La Corte d'Assise d'appello assolve il soldato italo-ucraino Vitaly Markiv, condannato in primo grado per la morte del giornalista e fotografo Andrea Rocchelli, ucciso a 30 anni nell’Ucraina dell’Est mentre documentava il conflitto in Donbass. Continua la ricerca della verità
Si è chiuso ieri sera, 3 novembre, il processo d’appello per la morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, ucciso all’età di 30 anni da alcuni colpi di mortaio il 24 maggio 2014 in un villaggio vicino a Slaviansk, nell’Ucraina dell’Est, mentre stava documentando sul campo le condizioni dei civili nel conflitto del Donbass armato di macchina fotografica.
Vitaly Markiv, soldato della Guardia nazionale ucraina con passaporto italo-ucraino, accusato in relazione all’omicidio del fotografo e giornalista di Pavia nel corso di un’operazione militare, il 12 luglio 2019 era stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione. Ieri, però, la Corte d’Assise d’appello di Milano lo ha assolto per «non aver commesso il fatto», ordinando l’immediata scarcerazione.
«Vedremo le motivazioni della sentenza e vedremo il da farsi. Continuiamo a ritenere corretta la ricostruzione emersa dalle indagini degli inquirenti di Pavia e della procura generale di Milano: a loro e ai nostri avvocati va la nostra riconoscenza», ha dichiarato Elisa Signori, la madre di Andrea Rocchelli subito dopo la sentenza.
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Chi era Andrea Rocchelli, giornalista di Pavia
Andrea Rocchelli, pavese, trent’anni, colonna portante del collettivo fotografico Cesura fondato nel 2008, era già stato in Ucraina per immortalare la rivolta di piazza Maidan. Nel suo ultimo reportage, dove ha trovato la morte, invece, aveva deciso di essere in prima linea per documentare il fronte caldo dell’Est separatista, dove i combattimenti tra i miliziani filorussi e i soldati di Kiev erano più infuocati. Insieme a lui, in quel maledetto giorno di maggio nelle vicinanze di Slaviansk, rimase ucciso anche il giornalista e attivista per i diritti umani Andrey Mironov.
Il giovane reporter italiano non era certo uno sprovveduto. Aveva alle spalle diversi lavori in zone di guerra pubblicati nelle maggiori testate internazionali e nazionali, come Newsweek, Le Monde, The Wall Street Journal, Foreign Policy, Panorama e L’Espresso.
Il suo volume fotografico “Russian Interiors”, pubblicato postumo a fine 2014, dove fa un intimo ritratto dell’universo femminile nei paesi ex-sovietici, è stato citato da Martin Parr sul British Journal of Photography come uno dei migliori 10 libri di fotografia dell’anno.
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La guerra che ha ucciso il fotoreporter Andrea Rocchelli
La crisi in Ucraina scoppiò nel novembre 2013, quando l’allora presidente Viktor Yanukovych interruppe i preparativi per un accordo di associazione dell’Ucraina all’Europa in favore di un’altra intesa che avrebbe legato ancor più il Paese alla Russia. Iniziarono così le proteste di piazza conosciute come Euromaidan, quelle che Andrea Rocchelli aveva documentato.
Il cambiamento della linea politica interna scatenò poi le reazioni delle aree del Paese a maggioranza russa. E dopo l’annessione della Crimea a Mosca nel 2014, i ribelli filorussi imbracciarono le armi in diverse parti dell’est dell’Ucraina.
I combattimenti proseguono da allora, in quello che viene considerato il conflitto più sanguinoso della storia recente in Europa dopo le guerre dei primi anni Novanta nella ex Jugoslavia. Secondo le stime rilasciate dalla Nazioni Unite, questa guerra ha causato circa due milioni di sfollati, più di 30 mila feriti e oltre 10 mila morti. Tra le vittime, appunto, anche il reporter italiano.
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La ricerca della verità per il giornalista Andrea Rocchelli
La morte di Andrea Rocchelli è avvenuta in un contesto bellico complesso, dove i combattimenti non avevano una linea di fuoco ben definita. I colpevoli per l’omicidio del giovane fotografo, però, hanno un nome. E quella «verità» chiesta a gran voce sin dall’inizio di questa tragedia dai genitori del fotografo, va ancora cercata. Anche perchè sono già troppe le storie di fotoreporter italiani uccisi da «colpevoli ignoti» in prima linea nel fronte dell’informazione.
Uno di questi è Raffaele Ciriello, morto il 13 marzo del 2002 da una raffica di proiettili israeliani a Ramallah, in Palestina, mentre documentava per il Corriere della Sera l’avanzata dell’esercito. Anche lui non era uno sprovveduto e aveva realizzato reportage in Libano, Afghanistan, Ruanda, Kosovo ed Eritrea. L’inchiesta sulla sua morte è stata aperta dalla Procura di Milano lo stesso anno, ma è stata battuta dal silenzio del governo di Tel Aviv che si è rifiutato di identificare i soldati che hanno fatto partire quella raffica di proiettili calibro 7,62 Nato.
Oppure la storia di Fabio Polenghi, rimasto colpito a morte da un proiettile in dotazione alle forze armate della Thailandia nel maggio 2010 mentre stava coprendo le manifestazioni di protesta a Bangkok. Anche in questa occasione, manca il nome di un colpevole.
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Cara Grace, sinceramente credo che il mio articolo sia il più imparziale possibile. Tutti hanno visto le immagini di Odessa, purtroppo. Il pezzo, comunque, voleva ricordare Andy Rocchelli e non entrare nelle cause – se non per far capire il contesto – della guerra. Guerra che ho visto con i miei occhi nelle trincee dei miliziani filorussi e che mi ha regalato un posto nella lista nera del governo ucraino e un divieto di entrare nel Paese.
I separatisti presero le armi proprio dopo l’accaduto del 2 maggio a Odessa e non dopo l’annessione di Crimea, ci sono video dei soldati ucraini che sparano ai civili prima della formazione dei gruppi separatisti. Classico giornalismo “all’italiana”, invece della verità si scrive in base al proprio punto di vista.