Ilaria Alpi: in ricordo di mamma Luciana, sempre in lotta per la verità
È morta Luciana Alpi, la mamma della giornalista Ilaria Alpi. Insieme al marito, Giorgio Alpi, ha lottato per la verità sulla morte della figlia, arrivando a scoprire nuove piste di indagine. Ecco il ricordo di chi l'ha conosciuta. E un riassunto della storia e della biografia della vicenda di Ilaria, uccisa in Somalia con l'operatore Miran Hrovatin nel '94
Una tesi, una lettera e poi un libro. Dalla mia tesi sono passati dieci anni. Era maggio del 2008, quando nella cassetta della posta ho trovato la vostra lettera. L’emozione era quanto la vostra stima e gratitudine per il mio lavoro su vostra figlia, Ilaria Alpi, l’inviata del Tg3 uccisa a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994, insieme all’operatore Miran Hrovatin.
Una lettera che conteneva il vostro abbraccio e la speranza di incontrarci un giorno a Roma. Quel giorno, purtroppo, cara Luciana e Giorgio non è mai arrivato. Il tempo ha remato contro. E io non sono partita da Palermo per Roma. Il desiderio di incontrarvi è rimasto uguale, come l’affetto reciproco.
Lunghe conversazioni telefoniche con Luciana Alpi, dopo l’invio del mio libro sul caso di sua figlia Ilaria. Era come se la conoscessi da sempre. La vita è beffarda: ti fa entrare in quella degli altri, ti nutre di affetti e poi te li toglie. Così un giorno, all’improvviso. Durante le nostre conversazioni, non ho mai osato chiederle nulla. Tutto tra noi era spontaneo. Non ho mai voluto essere invadente, ma forse lo sono adesso, mentre scrivo queste parole.
Luciana Alpi, biografia di una donna coraggiosa
Luciana Alpi aveva 84 anni. Era nata a Brescia il 3 agosto del 1933 e viveva con la sua famiglia a Roma. Era una signora elegante nell’animo e nell’aspetto. Una persona pura e sensibile. Si preoccupava delle persone, di chiedere «come stai?». Una donna forte e coraggiosa, proprio come lo era sua figlia Ilaria. Una donna che ha continuato la sua battaglia sino alla fine per avere verità e giustizia. Adesso non c’è più. È morta martedì 12 giugno alle 20.30, a distanza di cinque giorni dall’udienza sulla richiesta di archiviazione.
Processo Ilaria Alpi: nuova richiesta di archiviazione
Nell’ultima udienza la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del caso, di nuovo. Il 17 aprile, infatti, c’era stata l’udienza preliminare. La procura aveva preso del tempo per decidere alla luce di nuovi documenti, che risalirebbero al 2012. Si tratterebbe di intercettazioni tra cittadini somali che parlavano dell’omicidio della giornalista, trasmesse dalla procura di Firenze a quella di Roma.
Ma venerdì scorso è stata chiesta di nuovo l’archiviazione perché questi documenti sono stati ritenuti irrilevanti. Adesso toccherà nei prossimi giorni al giudice per le indigini preliminari decidere se continuare ad indagare. Intanto Luciana non c’è più. Né c’è più Giorgio, morto il 12 luglio del 2010.
Tentativi di depistaggio sulla morte di Ilaria Alpi
In questi 24 anni di depistaggi è solo grazie alla forza di questi due genitori che il caso è andato avanti. Si sono sostituiti agli inquirenti, hanno fatto ricerche, prodotto documenti. Documenti che sono stati consegnati dai signori Alpi alla Commissione bicamerale d’inchiesta sulla Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
La Commissione non è arrivata alla stesura di una relazione a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, ma aveva il compito di verificare l’uso dei fondi della Cooperazione. Ed erano emersi dei problemi di malaffare.
Tra i Paesi su cui sviluppare questa inchiesta c’era anche la Somalia, dove erano stati realizzati dei progetti: la strada Garoe-Bosaso, i pozzi e le navi della Shifco (società di navigazione il cui titolare era Mugne).
Proprio tra gli appunti di Ilaria era stata trovata una frase:
«Shifco/Mugne/1400 miliardi/ dove è finita questa ingente mole di denaro?»
Da qui la Commissione bicamerale d’inchiesta sulla Cooperazione si è occupata anche dell’omicidio di Ilaria e Miran.
L’ultima intervista di Ilaria Alpi al sultano di Bosaso
Nel corso dell’audizione dei signori Alpi, è stata visionata anche la cassetta dell’ultima intervista fatta da Ilaria al sultano di Bosaso, Bogor. Si tratta di un “girato” di circa 20 minuti, ma si sa, come confermato dallo stesso sultano sentito successivamente dalla Commissione parlamentare d’inchiesta Alpi-Hrovatin, che l’intervista è durata tre ore.
Nel corso dell’intervista la giornalista chiede al sultano della nave sequestrata, di Mugne, degli scandali della Cooperazione. È il pomeriggio del 15 marzo 1994 quando viene realizzata. Prima di allora, come si può dedurre dalle videocassette, Ilaria e Miran erano stati lungo la strada Garoe-Bosaso, dove presumibilmente sono stati seppelliti rifiuti tossici.
Luciana e Giorgio Alpi si sono sostituiti agli inquirenti
Dicevo che da subito i genitori di Ilaria si sono sostituiti agli inquirenti. Sin dal giorno del funerale della loro figlia. Quando non è stata disposta l’autopsia, ma solo un esame esterno del corpo.
Il giorno dell’udienza di Luciana e Giorgio Alpi, avvenuta il 4 marzo 1999, nel corso del processo di primo grado, la signora Alpi aveva dichiarato:
«Il funzionario cimiteriale ci disse che Ilaria non poteva essere tumulata perché non era stato riconosciuto il suo corpo. Ci chiesero se volevamo andare a fare il riconoscimento, ma noi preferimmo non andare […] ci avevano detto che il corpo era martoriato e allora io e mio marito abbiamo pensato che volevamo ricordarla come il giorno in cui è uscita da casa nostra. Andarono mio fratello e mio cognato a riconoscere il corpo. Quando tornarono, ci dissero che il corpo di Ilaria era integro e aveva solamente la testa fasciata».
Il satellite: la morte di Ilaria potrebbe essere registrata
È il momento in cui i coniugi Alpi iniziano a diffidare delle istituzioni e decidono di indagare da soli. Scoprono, per esempio, che mancano dei documenti medici e degli oggetti della figlia. E non solo: nel 1996, a due anni dal duplice omicidio, hanno l’intuizione che l’agguato potrebbe essere stato registrato dal satellite dei militari statunitensi.
Ilaria Alpi
Dopo oltre un anno e un copioso scambio di lettere tra il ministero degli Esteri e i genitori di Ilaria, finalmente i signori Alpi riescono ad appurare la presenza del satellite. Tuttavia, l’immagine non è mai arrivata in Italia.
La telefonata del cappellano: «Ilaria era ancora viva»
«Il 20 luglio del ’98 il dottor Gianni Minà fece uno speciale su nostra figlia – continua in aula Luciana – Tre giorni dopo la trasmissione, mi telefona il cappellano (padre Giovanni Montano, ndr) della nave Garibaldi (dove erano stati trasportati i corpi della giornalista e dell’operatore, ndr). Durante la trasmissione, sente dire a me che il giorno in cui Ilaria e Miran sono stati uccisi i militari praticavano gare di pesca sulla nave Garibaldi. Queste notizie le ho dedotte dai registri di bordo. Lui mi disse: “Sì, è vero… ma lei deve capire che erano militari che stavano da 4 mesi a Mogadiscio, erano stanchi e avevano bisogno di rilassarsi”. Io risposi che non avevo niente in contrario e che non ce l’avevo con i militari. Lui si scusò per non essere venuto prima da noi e gli risposi che ormai erano passati 4 anni e mezzo e non era più neppure il caso di scusarsi […] gli chiesi se lui aveva dato una benedizione a Ilaria e lui mi disse: “No, signora. Io ho dato l’estrema unzione a sua figlia”. L’estrema unzione è un sacramento che si dà alle persone ancora in vita».
Somalia, il trasferimento dei corpi di Ilaria e Miran
Miran e Ilaria sono stati trasferiti dall’auto su cui viaggiavano al momento dell’agguato – avvenuto nei pressi dell’hotel Amana a Mogadiscio nord – su quella di Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore che da 10 anni viveva a Mogadiscio e che era il punto di riferimento di tutti, anche delle autorità italiane e di alcuni giornalisti.
Marocchino è il primo ad arrivare sul luogo dell’agguato e a soccorrere Ilaria e Miran e a seguire poi le direttive via radio delle autorità per trasferire i corpi al Porto vecchio sulla nave Garibaldi. Da cui poi sarebbe partito l’aereo per Roma con le salme.
Tentativi d’archiviazione: storia del caso giudiziario
Quanto alla richiesta d’archiviazione dei giorni scorsi, va detto che non si tratta del primo tentativo di chiudere il caso senza i colpevoli. Prima la Commissione parlamentare d’inchiesta, a febbraio del 2006, secondo la quale Ilaria e Miran sono stati uccisi per un tentativo di rapina finito male. Tesi che non è stata condivisa da tutti i membri della commissione, tanto che nel 2006, al momento della conclusione dei lavori, sono state presentate tre relazioni differenti.
E poi nell’estate del 2007 la procura di Roma che ha chiesto l’archiviazione, respinta dal gip. Il giudice ha infatti accolto la richiesta dei genitori di Ilaria, rappresentati dall’avvocato Domenico D’Amati, di proseguire con le indagini.
E non solo: ha ristretto il campo d’azione sulla più probabile pista da seguire, quella dell’omicidio su commissione, per impedire che Ilaria e Miran portassero a conoscenza dell’opinione pubblica le loro inchieste in terra somala sul traffico d’armi e di rifiuti tossici avvenuti tra Italia e Somalia.
Il gip:«Probabile omicidio su commissione»
«Da un’analisi complessiva degli elementi indiziari raccolti dagli inquirenti – si legge nell’ordinanza di rigetto del gip, che ribaltava le conclusioni raggiunte fino ad allora dalla magistratura – la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dell’omicidio su commissione, attuato per impedire che le notizie raccolte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in ordine ai traffici di armi e rifiuti tossici avvenuti tra l’Italia e la Somalia venissero portate a conoscenza dell’opinione pubblica italiana».
Il capro espiatorio: riassunto dell’ultima vicenda
Prima di allora si erano svolti i processi che avevano portato all’arresto di Hashi Omar Hassan, detenuto in carcere ingiustamente, da innocente, per quasi 17 anni. Era stato condannato a 26 anni di reclusione per concorso nell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma alla fine il testimone chiave ha ritrattato tutto e il processo per calunnia nei confronti di Ahmed Ali Rage, detto Gelle, si è chiuso per prescrizione il 10 ottobre 2012.
Da subito Luciana e Giorgio non avevano creduto alla sua colpevolezza. Lo dimostra anche il fatto che Hashi chiamava la signora Alpi “Mamma Luciana”. Anche Luciana, durante alcune interviste, aveva detto che Hashi era innocente. Volevano dare alla famiglia un colpevole, ma ancora oggi si conosce il movente, ma restano impuniti i mandanti e gli esecutori.