Libertà di stampa: giornalisti minacciati in Italia, in Europa e nel mondo
La libertà di stampa è sotto attacco: 445 aggressioni fisiche nell'Ue dal 2014 al 2018, con l'Italia in testa alla classifica. E poi, secondo il report Demonishing The Media, ci sono gli omicidi e le molestie online. E nel mondo spesso i più in pericolo sono i cronisti locali
Anche le democrazie europee cercano di far tacere i giornalisti. A dimostrarlo è l’ultimo rapporto Demonishing The Media realizzato da Index on Censorship all’interno del progetto di indagine Mapping Freedom Media, che cerca di tenere traccia di limitazioni, minacce e violazioni che colpiscono i professionisti dei media nello svolgimento del loro lavoro.
Il periodo preso in considerazione va dal 2014 al 2018 e sono stati monitorati 43 Paesi: gli Stati membri dell’Unione europea, i candidati e potenziali candidati all’adesione, gli Stati non-Ue ma inseriti nell’Area economica europea e quattro paesi dell’ex blocco sovietico.
Libertà di stampa: classifica 2018 su aggressioni fisiche
In tutto sono 445 le aggressioni fisiche registrate nell’Ue e l’Italia, con 83 segnalazioni, registra il numero più alto. Seguono Spagna (38), Francia (36) e Germania (25).
Eppure l’articolo 21 della nostra Costituzione sancisce proprio la libertà di pensiero, di espressione e di informazione:
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».
La libertà di stampa nella Repubblica francese
Le “interferenze politiche” vedono il coinvolgimento di diversi paesi europei. In Francia, ad esempio, il presidente Emmanuelle Macron, dalla sua elezione – secondo il Rapporto – pare abbia cercato di controllare la copertura mediatica chiamando le redazioni, chiedendo ai giornalisti di non criticare il governo, o addirittura minacciando azioni legali quando sono trapelate informazioni imbarazzanti per il governo.
«1 febbraio 2017 – Tre giornalisti che lavorano per il quotidiano Quotidien sono stati violentemente cacciati da una conferenza al Palais des Congrès da due guardie di sicurezza dopo aver tentato di porre una domanda a Marine Le Pen», ha riferito il quotidiano Libération.
La Francia, comunque, non è l’unico Paese ad aver registrato una situazione del genere.
«2 maggio 2017 – Tre giornalisti di Cornwall Live sono stati chiusi in una stanza, gli è stato impedito di filmare e sono stati severamente limitati sulle domande da porre durante la visita del primo ministro britannico Theresa May a una fabbrica in Cornovaglia chiamata AP Diving», ha riferito The Telegraph.
E così una serie di violazioni registrate dalla Turchia fino ai più democratici paesi del Nord, come Finlandia e Paesi Bassi.
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Libertà di stampa nel mondo limitata da leggi sicurezza
«Mentre la sicurezza – piuttosto che la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali – diventa la priorità numero uno dei governi di tutto il mondo, le leggi sulla sicurezza ampiamente scritte sono state stravolte per mettere a tacere i giornalisti», si legge.
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Nell’ottobre 2017, un giornalista del Wall Street Journal è stato accusato per aver prodotto propaganda terroristica in Turchia e condannato a più di due anni di prigione. Ayla Albayrak è stata accusata per un articolo dell’agosto 2015, dove descriveva nei dettagli gli sforzi del governo per sedare il Pkk, il Partito del lavoratori del Kurdistan.
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Trentacinque giornalisti uccisi in 19 Paesi
Sempre secondo Demonishing The Media, le vittime giornalisti sono state 35 in 19 Paesi coinvolti tra gli Stati membri dell’Ue, Paesi candidati (Albania, Macedonia, Montenegro, Serbia, Turchia) e potenziali Paesi candidati (Bosnia Herzegovina e Kosovo).
Slovacchia: il giornalista investigativo Ján Kuciak e la sua compagna sono stati uccisi in casa loro nel febbraio 2018. Kuciak stava indagando sul rapporto tra le organizzazioni criminali e i funzionari governativi. Da allora le autorità hanno effettuato una serie di arresti.
Malta: la giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia è stata uccisa in un attentato quando l’auto che stava guidando è esplosa con una bomba nell’ottobre 2017. Caruana Galizia, prima di essere uccisa, era stata oggetto di intimidazioni e minacce riconducibili alle sue inchieste giornalistiche relative all’evasione fiscale internazionale.
Danimarca: la giornalista freelance svedese Kim Wall è stata uccisa durante un viaggio su un sottomarino sperimentale nell’agosto 2017. L’inventore Peter Madsen, che ha creato il sottomarino di cui Wall stava scrivendo, è stato poi giudicato colpevole del crimine. Il regista danese Finn Nørgaard e la guardia di sicurezza Dan Uzan, inoltre, sono stati uccisi nel febbraio 2015, quando un individuo armato ha attaccato due seminari nel tentativo di assassinare Lars Vilks, un controverso fumettista svedese, che doveva comparire.
Olanda: il giornalista Martin Kok è stato ucciso con un colpo di pistola nel dicembre 2016. Kok, che era il fondatore di un blog sulla malavita criminale olandese, era stato già preso di mira con un’ autobomba nel luglio 2016.
Polonia: il giornalista Łukasz Masiak è stato picchiato a morte a Mława nel giugno 2015. Masiak, che gestiva NaszaMlawa.pl, un sito di notizie locali che controllava l’operato dei funzionari locali, aveva ricevuto regolarmente minacce di morte, anche se in seguito le autorità polacche hanno scoperto che la sua professione non ha avuto un ruolo nella sua morte e il presunto autore del reato è stato individuato.
Francia: dodici persone sono state uccise in un attacco terroristico del gennaio 2015 contro la rivista satirica Charlie Hebdo. Dieci delle vittime lavoravano per il settimanale, che aveva pubblicato cartoni animati raffiguranti il Profeta Maometto, mentre due erano agenti di polizia. Sono stati uccisi anche quattro vignettisti.
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Aggressioni fisiche: Italia prima nella classifica completa
Come detto più sopra, sono stati registrati 445 episodi classificati come aggressione fisica. L’Italia è lo Stato membro col maggior numero di segnalazioni, 83 aggressioni fisiche in tutto, seguita da Spagna (38), Francia (36), Germania (25) e Ungheria (18).
Tra gli Stati candidati e potenziali candidati, la Turchia registra il maggior numero di aggressioni (36), seguita da Serbia (26), Bosnia Herzegovina (16), Macedonia (14) e Kosovo (13).
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Libertà di stampa in Europa tra arresti e intimidazioni
Quanto ad arresti e detenzioni, nel periodo considerato ci sono state 437 segnalazioni, di cui 324 solo in Turchia (80 limitazioni della libertà risalgono al tempo del fallito colpo di stato del luglio 2016). Casi che sottolineano come in Turchia sia ancora in corso una escalation di repressione sulla libertà di stampa.
Altri 697 episodi, invece, sono stati classificati come intimidazioni. Anche in questa circostanza l’Italia fa da capofila, con 133 casi.
«i giornalisti italiani sono più spesso minacciati da privati cittadini, che ricorrono spesso alla violenza fisica. Inoltre subiscono forti pressioni da parte di persone legate alla criminalità organizzata»
Seguono Romania (47), Croazia (41), Francia (39) e Ungheria (36). Nei paesi candidati e potenziali candidati, la Bosnia-Erzegovina ha registrato 47 incidenti. Sono seguiti da Serbia (40), Macedonia (31), Turchia (31) e Montenegro (19).
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Accessi bloccati agli operatori dell’informazione
«Quando ai giornalisti viene impedito di riportare di un evento – che si tratti dell’apertura di un allevamento di suini, di una conferenza stampa o di una protesta – il diritto all’informazione è danneggiato», si legge nel report.
Liste nere informali, blocco all’accesso alle informazioni pubbliche o restrizioni alle relazioni del Parlamento. Ai giornalisti è proibito porre domande alle conferenze stampa. Questi sono solo alcuni esempi di quello che avviene in Ungheria, ma in tutta l’Ue sono stati registrati 545 casi di accesso negato ai giornalisti.
Social media e informazione: pericolo molestie
I social media permettono ai giornalisti di entrare in contatto con un vasto pubblico, ma spesso vengono esposti in questo modo, sottolinea ancora lo studio, all’insulto e alla derisione. Gli episodi di molestie online segnalati comprendono accuse di morte, stupro e notizie false da parte di cittadini e politici.
In tutto, i casi segnalati sono 117 e il maggior numero tra i paesi Ue proviene dalla Croazia, con 16 casi. Seguono Italia (9), Spagna (9), Regno Unito (8) e Francia (5).
Tra i paesi candidati e potenziali candidati, il maggior numero degli episodi si ha in Bosnia-Erzegovina con 16 casi, a cui seguono Serbia (9), Repubblica di Macedonia (5), Kosovo (4) e Turchia (4).
«Le minacce alla libertà dei media si verificano in tutta l’Ue, non solo nei paesi considerati ai margini della comunità. Demonising the Media illustra in dettaglio le questioni chiave: dalla legislazione sulla sicurezza nazionale che viene utilizzata per mettere a tacere i giornalisti investigativi fino a minare l’indipendenza editoriale delle emittenti pubbliche di tutto il continente. Tutto questo si svolge in un’atmosfera tossica che i giornalisti si trovano ad affrontare su scala globale», ha dichiarato Jodie Ginsberg, amministratore delegato di Index on Censorship.
Libertà d’espressione nella Convenzione europea
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con la legge 4 agosto 1955 n. 848, all’articolo 10 (Libertà di espressione) afferma:
«Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità».
Libertà di stampa In Italia
In Italia i giornalisti che hanno subito minacce, abusi e altri attacchi dal 2006 a oggi sono 3.722. Troppi per ricordarli tutti.
Graziella Di Mambro è stata minacciata di lesioni per le sue inchieste sugli appalti e la corruzione legata alla gestione dei rifiuti nel basso Lazio e a Minturno. Massimiliano Coccia, giornalista di Radio Radicale, dopo l’intervista a Paolo Borrometi ha ricevuto un foglietto anonimo, sgrammaticato, ma chiarissimo: prometteva “piombo”. E ancora gli attacchi a Federico Ruffo, giornalista di Report che alcune settimane fa ha subito un tentativo di incendio della sua casa.
I giornalisti uccisi in Italia sono 28: undici ammazzati in territorio italiano per mano delle mafie o del terrorismo, diciassette all’estero. L’impunità arriva al 90 per cento.
«La libertà di informazione, come attesta la nostra Costituzione, è fondamento di democrazia», ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
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Libertà di informazione nel mondo nel 2018: i dati di Reporters Sans Frontieres
Omicidi, incarcerazioni, presi in ostaggio e sparizioni forzate: la violenza commessa contro i giornalisti nel 2018 in tutto il mondo è aumentata dell’8 per cento. Cifre che riflettono una violenza senza precedenti.
Quest’anno, 80 giornalisti sono stati uccisi, 348 sono attualmente in detenzione e 60 sono ostaggi. A rilevarlo è l’ultima relazione annuale di Reporters Sans Frontieres.
Negli ultimi tre anni, i numeri segnavano una tendenza alla diminuzione, mentre nel 2018 il numero di giornalisti professionisti uccisi è aumentato del 15%: 63 omicidi contro i 55 dello scorso anno. Tra gli ultimi c’è l’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi e del giovane giornalista slovacco Jan Kuciak.
«L’odio nei confronti dei giornalisti è una delle peggiori minacce alla democrazia», ha dichiarato Christophe Deloire, segretario generale di Reporters Sans Frontières.
Giornalisti locali nel mirino e impunità quasi assoluta
Secondo i dati Unesco, nel mondo 1.010 giornalisti stati uccisi dal 2016 al 2017 mentre svolgevano correttamente il loro lavoro.
È in aumento il numero di giornalisti uccisi al di fuori delle zone di conflitto negli ultimi anni. Infatti il 55% di quelli uccisi nel 2017 non erano corrispondenti di guerra con l’elmetto in testa e il giubbotto antiproiettile, ma cronisti locali, fuori dai teatri di guerra. Molti si occupavano di argomenti legati alla tratta di esseri umani e alla corruzione della politica. I giornalisti locali rimangono la stragrande maggioranza delle vittime. Per questi 1.010 giornalisti uccisi l’impunità è quasi assoluta: 9 volte su 10 non è stata fatta giustizia.
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Questa strana classifica tiene conto della sicurezza dei giornalisti, sacrosanta, ma non della loro affidabilità.
Nepotismo e corruzione non risparmiano nessuna categoria professionale, e la credibilità dei giornalisti è praticamente nulla.
Due i principali problemi: il primo è l’esistenza dell’albo professionale, che limita l’accesso alla professione su basi che di meritocratico hanno ben poco, vista la qualità dei nostri giornalisti. L’albo professionale fu voluto da Mussolini per concedere privilegio di esercitare condizionato all’acquiescenza nei confronti del controllo la stampa.
Il secondo problema è la censura europea contro le piattaforme alternative di informazione libera (con la debole scusa di difendere i diritti d’autore).
La evidente tendenza del giornalismo (non solo italiano) è quella di limitarsi a confermare le opinioni dei movimenti politici più influenti al livello sovranazionale. La narrativa multiculturalista e liberista è acriticamente data come verità incontrovertibile e le opinioni confuse con le informazioni. A fare la notizia è l’opinione espressa da un leader politico su un determinato fatto, non il fatto in sé, che sempre più raramente i giornalisti indagano.
I fatti, anzi, sono censurate se non confortano l’ideologia dominante: così, ad esempio, per il patetico tentativo di nascondere la nazionalità degli autori di casi violenza suscettibili di destare particolare allarme sociale, o di mistificare la natura e le conseguenze di fenomeni sociali ed economici globali i cui effetti sono manifesti nella quotidianità della gente.
In breve: i giornalisti usano la libertà di stampa per raccontare favole, lontane dalla realtà vissuta dalla gente. In questa discutibile classifica non si tiene conto che, in tutta evidenza, ci troviamo ai fronte a una informazione manipolata e addomesticata e a una stampa di regime.
Roberto Espa.
Sono d’accordo con Sergio Mattarella. Secondo me la libertà d’informazione è minacciata da più correnti senza un’origine precisa e sensata. La costituzione la prevede come fondamento del nostro secolo come democrazia partecipata e super partes. Non voglio con ciò dire che ci vorrebbe un regolamento attestante l’accordo di tutti i paesi menbri, ma per me, (come persona comune e cittadina) conta molto la parola data, scritta ed orale che sia, molto chiara e breve.