Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: ignorate quattro sentenze su dieci

Il 43% delle principali sentenze definitive della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo degli ultimi 10 anni è ancora in attesa di esecuzione. Complessivamente sono in sospeso oltre 1.200 decisioni giudiziarie. E se le sentenze non vengono rispettate, i diritti sono violati due volte. Lo denuncia la rete europea per l'implementazione

Il rapporto della rete europea per l’implementazione (Ein) denuncia che non è stato applicato ben il 43% delle principali sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo degli ultimi 10 anni, ovvero quelle che identificano problemi strutturali o significativi. In valore assoluto, sono più di 1.200 le sentenze in sospeso. In questo modo, la violazione dei diritti umani continua anche dopo le condannate. La mancata attuazione rappresenta dunque una chiara minaccia per il sistema regionale di diritti umani più rispettato al mondo.

Infatti, anche se il problema dell’implementazione è grave in alcuni paesi più di altri, riguarda comunque, almeno in parte, tutti e 47 gli Stati firmatari della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu).

La Convenzione internazionale, redatta e adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa nel 1950, è considerata il testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali perché è l’unico dotato di un meccanismo che consente a ogni individuo di fare ricorso.

Cos’è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dove ha sede

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è un tribunale internazionale istituito nel 1959 a Strasburgo. Si occupa delle richieste – individuali o da parte degli Stati – in merito alle violazioni del diritto civile e dei diritti politici stabiliti nella Convenzione. Dal 1998 è sede di un tribunale a tempo pieno, che monitora il rispetto dei diritti umani per 800 milioni di europei.

In 50 anni la Corte ha emesso di più di 10.000 sentenze. Ed essendo vincolanti per il paese interessato, le sentenze hanno via via portato i governi a modificare la propria legislazione e la prassi amministrativa in diversi ambiti. Insieme alla Convenzione, forma il più potente strumento per il consolidamento dello stato di diritto e la democrazia in Europa.

corte europea dei diritti dell'uomo per la diffamazione a mezzo stampa
Le sentenze riguardano anche il rifiuto del diritto di asilo ai migranti – Foto: International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies (via Flickr)

Il lavoro dell’Ein

Anch’essa con sede a Strasburgo, la rete europea per l’implementazione collabora con partner di vario tipo – da avvocati a ong, passando per rappresentanti delle comunità locali – in tutta la regione del Consiglio d’Europa «per sostenere l’attuazione piena e tempestiva delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo». Funziona come un punto d’incontro per le organizzazioni della società civile europea.

Fra le altre attività, organizza regolarmente incontri per le ong con il Comitato dei Ministri incaricato di supervisionare l’attuazione delle sentenze sui diritti umani.

«Facciamo formazione, creiamo risorse e forniamo una piattaforma attiva a Strasburgo affinché la società civile possa avere una migliore implementazione delle sentenze», dice a Osservatorio Diritti il co-direttore di Ein, George Stafford.

«Il messaggio principale che vorremmo mandare è che serve prestare attenzione. Le sentenze della Corte di Strasburgo possono essere uno strumento utile per il cambiamento, perché legalmente vincolanti e perché identificano oggettivamente un problema dei diritti umani e conducono a un processo di riforma monitorato», dice Stafford. «Tuttavia, il cambiamento può avvenire soltanto se le persone prestano attenzione all’implementazione. Per la società civile ciò significa seguire come procede l’attuazione della sentenza nel paese, fare pressione sulle autorità e monitorare i singoli casi per assicurarsi che le riforme giuste siano davvero in corso».

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Le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

L’argomento delle sentenze è ogni volta diverso, ma spesso quelle in attesa di implementazione riguardano: l’impunità per gli autori di torture (in Grecia), attacchi a giornalisti e organizzazioni mediatiche (che vanno da leggi draconiane sulla diffamazione come in Polonia, alla detenzione di giornalisti in Turchia e al loro assassinio in Ucraina), assalti all’indipendenza della magistratura (in Ungheria), la detenzione di prigionieri politici (in Azerbaijan), il rifiuto del diritto di asilo ai migranti (in Italia), la tratta di esseri umani (in Grecia), processi iniqui (in molti paesi), divieti arbitrari di pacifiche proteste pubbliche (in Russia).

«Per coloro che hanno familiarità con il sistema Cedu, è noto che il problema dell’implementazione riguarda soprattutto la Russia, l’Azerbaigian e la Turchia», dice ancora Stafford. «Ciò che è stato sorprendente per me è la mancata attuazione in altri Stati, come Bulgaria, Ungheria, Romania, Croazia, Grecia e Italia. Questo dimostra che non possiamo incolpare alcuni paesi particolarmente meno virtuosi di altri».

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Pride omosessuale a San Pietroburgo, Russia – Foto: Maria Komarova (via Flickr)

Stafford spiega che, nonostante alcuni rapporti ufficiali sostengano che la situazione stia migliorando salvo in quelle chiamate «sacche di resistenza», in realtà è vero il contrario: il problema è così diffuso che richiede un maggiore sforzo internazionale.

Anche i motivi della mancata implementazione variano. «Alcuni paesi non hanno un meccanismo politico strutturale che sia efficace nel trasformare le sentenze in riforme. Alcuni sono ideologicamente contrari alle sentenze, o addirittura al sistema Cedu nel suo insieme. Alcuni governi considerano le sentenze una minaccia al mantenimento del potere. Altri potrebbero non avere le risorse – o l’inclinazione a spendere risorse – per proteggere i diritti umani. A volte tutti questi motivi insieme».

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo: la situazione in Italia

Ein considera l’implementazione da parte dell’Italia «mediocre». Stafford dice che è importante notare due numeri. «Innanzitutto, ci sono 54 sentenze principali in attesa di attuazione: ognuna di queste rappresenta un problema di diritti umani significativo o strutturale. In secondo luogo, quando esaminiamo il record italiano degli ultimi dieci anni, possiamo vedere che il 55% dei giudizi che rappresentano questioni significative o strutturali rimangono inattuati».

Nello specifico, le sentenze includono l’espulsione collettiva dei richiedenti asilo, l’impunità per la violenza della polizia e i fallimenti nel proteggere le vittime della violenza domestica.

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Protesta contro la violenza sulle donne – Foto: European Parlamient (via Flickr)

Sentenze in attesa: come valutare le riforme di un paese

Non è facile presentare i dati in modo chiaro e accessibile. Ein usa le percentuali non perché siano perfette, ma perché sono il metodo migliore a disposizione.

Ogni sentenza rappresenta una questione di diritti umani che deve essere risolta e un problema più ampio che riguarda una società. Valutare la proporzione delle sentenze principali in attesa di implementazione serve a valutare se un paese sta progettando riforme generali oppure no.

Ma queste statistiche non raccontano l’intera storia, perché è necessario esaminare il numero complessivo di casi principali pendenti. I paesi con il più grave problema di mancata attuazione presentano sia un numero elevato di casi ancora pendenti, sia un elevato numero complessivo di casi. Altri paesi potrebbero presentare un’alta percentuale di casi pendenti, eppure non avere un problema significativo poiché negli ultimi anni c’è stata solo una manciata di sentenze (come in Islanda e Irlanda).

Tre passi per un maggiore rispetto dei diritti umani

Per mezzo secolo, il sistema Cedu ha lottato con l’evidenza che i paesi aderenti non rispettano gli standard del trattato. Il problema della non implementazione è andato peggiorando fino a che, nel 2010, è stato avviato un processo decennale, appena concluso, per tentare di cambiare il sistema e dal 2015 si è visto qualche miglioramento.

«La mia opinione personale è che sono necessarie tre modifiche principali», dice Stafford. «In primo luogo, è necessario che le istituzioni internazionali e gli stati membri riconoscano quanto sia grave il problema. È necessario al fine di sostenere politicamente e finanziariamente le riforme, mentre sfortunatamente le istituzioni tendono a minimizzare e questo impedisce che attenzione e risorse sufficienti vengano dedicate alla risoluzione del problema.

«In secondo luogo, dovrebbe esserci una maggiore pressione dall’alto verso il basso da parte del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea». Ad esempio, ciò potrebbe comportare la sospensione dell’adesione del Consiglio d’Europa per quegli Stati che hanno il record più scarso.

«In terzo luogo, è necessario aumentare la pressione dal basso da parte della società civile e dei membri del pubblico. Il cambiamento più efficace deve provenire dalle persone più vicine al problema. Dobbiamo fare di più e a mio avviso l’azione della società civile dovrebbe essere meglio finanziata».

L’organismo responsabile della supervisione dell’esecuzione delle sentenze della Cedu è il Consiglio d’Europa, che non è un organo dell’Unione europea. Ciononostante, l’Ue potrebbe fare molto finanziando le attività della società civile in questo settore e potrebbe anche chiedere conto agli Stati della loro incapacità di attuazione.

L’Ue sta attualmente sviluppando un meccanismo di revisione dello stato di diritto, per valutare la situazione degli stati in questo settore fondamentale. Secondo Stafford, questo meccanismo di revisione potrebbe e dovrebbe tenere conto dei dati di Ein.

«È straordinario pensare che, per diventare uno stato membro dell’Unione Europea un paese debba essere un firmatario della Convenzione europea sui diritti umani, ma che poi non abbia bisogno di applicare correttamente il giudizio per rimanere parte del blocco».

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