Il Sole-24 Ore condannato per aver discriminato giornalista dopo maternità
Lara Ricci lavora per Il Sole-24 Ore dal 2000 e al rientro dal congedo per maternità, nel maggio del 2021, ha scoperto di essere stata demansionata. A fine luglio il tribunale del lavoro di Milano ha ordinato il reintegro nel ruolo e un cospicuo risarcimento. L'azienda ha annunciato che farà ricorso
Il Sole-24 Ore è stato condannato per discriminazione di una giornalista: il tribunale del lavoro di Milano ha stabilito che ha approfittato del congedo di maternità per demansionarla.
Lara Ricci lavora al giornale di Confindustria dal 2000 e dal 2015 è responsabile delle pagine di letteratura di Domenica, l’inserto settimanale del quotidiano dedicato alla cultura. O almeno, lo era.
A maggio 2021 è rientrata in redazione dopo il periodo di assenza per maternità e ha scoperto di non avere più il ruolo e le responsabilità che aveva fino a qualche mese prima.
Il 24 luglio 2023 il tribunale del lavoro di Milano ha emesso il decreto (clicca qui per scaricare il Pdf) con cui ordina al Sole-24 Ore di cessare il comportamento discriminatorio e di riassegnare alla giornalista le sue mansioni.
Il giudice ha inoltre stabilito di pagarle un cospicuo risarcimento (circa 150 mila euro) e la pubblicazione (avvenuta il 29 luglio) di un estratto del decreto di condanna sul quotidiano.
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Il Sole-24 Ore, cosa è successo a Lara Ricci dopo la maternità
Al suo rientro in redazione nel maggio del 2021, Lara Ricci è stata informata dal nuovo caporedattore Marco Carminati di un cambiamento nell’organizzazione del lavoro.
Un cambiamento che, di fatto, riguardava solo l’organizzazione del suo lavoro, «le altre giornaliste che lavorano al Domenicale hanno proseguito a espletare le loro attività senza alcun reale mutamento di quelle modalità», si legge nel decreto.
Da quel momento, Ricci non ha più gestito i collaboratori e non ha più avuto contatti con gli editori, non ha più partecipato a festival, non ha più ricevuto le email interne alla redazione con gli argomenti da trattare nel numero in lavorazione (e che le altre giornaliste hanno continuato a ricevere. Su 51 numeri del 2022 lei non ha ricevuto alcuna mail per 41 di essi a parte quelle con il programma definitivo), non ha più scritto le notizie non firmate nella pagina di letteratura.
In pratica, il suo lavoro era limitato alla correzione delle bozze.
Dopo due diffide al giornale senza risposte, l’intervento del sindacato per chiedere che la situazione fosse ripristinata, vari tentativi di contattare la direzione senza esito e una riunione con il caporedattore e direttore sollecitata dal Comitato di redazione, Ricci ha portato il gruppo editoriale in tribunale.
La replica del quotidiano economico e finanziario di Confindustria
Il Sole-24 Ore ha chiesto il rigetto delle richieste presentate da Lara Ricci sostenendo che «la ricorrente non aveva mai assunto responsabilità maggiori di quelle proprie del vice caposervizio, in quanto si era sempre occupata di cucina redazionale (revisione dei pezzi scritti dai collaboratori e composizione dei titoli degli articoli), proposta di selezione degli articoli dei collaboratori, proposta della selezione degli argomenti da trattare in ogni singola pagina dedicata alla letteratura; la ricorrente non aveva mai svolto attività ideativa e organizzativa delle pagine dedicate al domenicale, avendo ricoperto un ruolo solo propositivo, dovendosi sempre relazionare con il caporedattore; aveva tuttavia più volte provato a non uniformarsi alle direttive del caporedattore», si legge nel decreto.
Il gruppo editoriale ha sottolineato come negli anni 2020 e 2021 ci sia stato un profondo cambiamento nell’organizzazione delle pagine dell’inserto Domenica, con la riduzione degli spazi dedicati agli articoli e la cancellazione di alcune rubriche storiche.
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Per il tribunale le richieste sono fondate: Il Sole-24 Ore condannato in primo grado
Il tribunale del lavoro di Milano ha ritenuto fondate le richieste di Lara Ricci. Nel decreto si fa riferimento alla email con cui, al rientro dal congedo per maternità, Ricci veniva informata della nuova organizzazione del lavoro e da cui, secondo il giudice, emerge un dato evidente: «La ricorrente viene letteralmente espropriata del contenuto centrale delle sue mansioni, vale a dire la gestione dei contatti con i collaboratori, la decisione dei pezzi e il loro contenuto da trascrivere nelle pagine da pubblicare».
In quella mail, Carminati conferma che a Ricci residua il lavoro di impaginazione della rivista, diversamente da quanto avvenuto fino ad allora.
I motivi del cambiamento vengono ricondotti alla riduzione degli spazi e delle righe del giornale, alla non facile gestione della pubblicità, ai continui stop per le ferie forzate e le malattie dovute al Covid.
Ma al di là delle ragioni, il tribunale scrive che «è un fatto oggettivamente riconosciuto dallo stesso Carminati la modificazione profonda da lui decisa e attuata nei sei mesi di assenza della ricorrente, alla quale, la modificazione profonda della sua posizione viene comunicata lo stesso giorno del rientro in azienda».
Nel decreto viene inoltre riportata la trascrizione di un incontro tra il Comitato di redazione (Cdr), la giornalista, il caporedattore e il direttore responsabile da cui emerge che «Carminati ha modificato l’organizzazione del lavoro per quanto attiene alle pagine di letteratura e ai compiti della Ricci, in quanto si è direttamente occupato egli in prima persona degli aspetti di cui si occupava la Ricci (facendo anche un riferimento alla assenza della Ricci quando è in allattamento), mentre non è praticamente cambiato nulla per quanto attiene al resto del Domenicale». Non è cambiato niente per le pagine diverse da quelle di letteratura.
E nonostante i solleciti e le pressioni del Cdr, l’azienda non ha ritenuto in seguito di modificare la linea intrapresa durante il congedo di maternità di Ricci.
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Le motivazioni della sentenza: pari opportunità e discriminazione
«La discriminazione si può realizzare non solo in quanto la maternità ne sia la causa (vale a dire che il datore di lavoro voglia colpirla proprio in quanto la maternità si pone in contrasto con gli interessi dell’impresa) ma anche solo in quanto sia l’occasione per farlo, quindi dal punto di vista temporale, approfittando cioè della sua assenza. E non assume alcun rilievo lo stato psicologico del datore di lavoro, vale a dire che lo faccia volutamente o, semplicemente, per non essere attento al problema in cui la lavoratrice versa: rileva la situazione nella sua oggettività, e cioè se la discriminazione sia stata consumata o meno».
È quanto ha ribadito il giudice del lavoro di Milano nel decreto di condanna de Il Sole-24 Ore, facendo riferimento al decreto legislativo 198/2006 in materia di pari opportunità e, in particolare all’articolo 25 comma 2 bis, secondo cui «costituisce discriminazione ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza» e all’articolo 56 della legge 151/2001 che prevede il diritto al rientro e alla conservazione del posto e in particolare al diritto per lavoratori e lavoratrici che rientrano «di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti».
Una decisione importante che potrebbe aiutare anche altre lavoratrici che vivono o hanno vissuto esperienze simili a quelle di Lara Ricci.
La notizia della condanna pubblicata su Il Sole-24 Ore
Il 28 luglio 2023 su Il Sole-24 Ore è stato pubblicato il comunicato del Comitato di redazione del quotidiano con cui si dava notizia della condanna e in cui vengono citati alcuni passaggi del decreto e si fa riferimento alla Certificazione sulla parità di genere ottenuta dal Gruppo 24 Ore a inizio 2023.
«Questa sentenza dimostra che in questi mesi, oltre a lavorare sulla comunicazione esterna, sarebbe servita, e servirebbe, maggiore attenzione dell’azienda e della direzione a quello che accadeva all’interno della redazione. E sarebbe servito, e servirebbe, maggiore ascolto: gli appelli del Comitato di redazione, su questa e purtroppo su altre vicende, sono rimasti troppo spesso inascoltati. Le relazioni sindacali, negando la nostra storia, sono state ridotte a un flusso unilaterale, nel quale l’azienda parla e i dipendenti recepiscono. E ora tutti ne paghiamo il prezzo».
Sulla stessa pagina è uscita la replica di Mirja Cartia d’Asero, amministratrice delegata del gruppo editoriale, che sottolinea come l’azienda difenda e promuova la parità di genere e i diritti delle donne e delle minoranze, definisce la sentenza «lunare», annuncia «tutte le azioni giudiziali per sovvertirla» e ricorda gli «sforzi che tutti quotidianamente profondiamo per tenere alto il nome del nostro Gruppo in un percorso di confronto e dialogo a tutti i livelli».