«Non starò zitta»: la rivolta per i diritti delle donne in Kuwait decolla su Instagram

Le donne in Kuwait si organizzano su Instagram per lanciare una campagna per reclamare i diritti negati e combattere la discriminazione nei loro confronti. Una battaglia in un Paese che nel 2020 ha introdotto per la prima volta una legge contro la violenza domestica, ma che ha ancora tanta strada da fare

Davanti agli abusi e alle molestie a sfondo sessuale le donne del Kuwait hanno scelto di non restare più zitte. #Lan.asket, in arabo non starò in silenzio”, è l’hashtag su Instagram attraverso il quale moltissime donne nell’emirato del Golfo hanno deciso di sfidare la mentalità e le rigide norme conservatrici che bollano come ayb, vergogna”, la denuncia aperta di violenze, maltrattamenti, abusi, comportamenti maschilisti e sessisti. Un #Metoo (il movimento femminile nato negli Stati Uniti nel 2017) in chiave araba.

Donne in Kuwait: la fashion blogger Ascia al-Faraj dà il via alla campagna contro la discriminazione

La campagna sui social è partita da Ascia Al Faraj, famosa fashion blogger kuwaitiana con 2,6 milioni di followers, che in un video – diffuso sul suo profilo Instagram – ha espresso con chiarezza e molta preoccupazione il problema:

«Ogni volta che esco c’è qualcuno che mi molesta o che molesta un’altra donna per la strada. In questo Paese abbiamo un problema di abusi, ed io ne ho abbastanza».

Il messaggio di Ascia: è giunto il momento che nel Paese del Golfo le donne facciano sentire la loro voce e smettano di sentirsi impaurite, soggiogate, intrappolate in un atteggiamento remissivo. Dopo aver visto il video, una 27enne dottoressa kuwaitiana, Shayma Shamo, rientrata nel suo Paese dopo gli studi all’estero, ha deciso di lanciare la campagna social #Lan.asket.

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discriminazione delle donne

I diritti negati alle donne in Kuwait: su Instagram racconti di violenza e abuso

L’account Instagram ha raggiunto quasi 12 mila followers nel giro di poche settimane (è stato lanciato a fine gennaio 2021). Invita le donne a raccontare e condividere, in forma anonima, le loro storie ed esperienze di molestie verbali, fisiche, psicologiche subìte.

Ragazze spesso giovanissime, minorenni, di 13-14 anni o anche meno; tante donne che finalmente trovano il coraggio di aprirsi e denunciare esperienze traumatiche vissute anche molti anni prima e tenute nascoste fino ad oggi per paura, per senso di impotenza di fronte ai troppi casi in cui la polizia non prende sul serio le denunce, per quel sentimento di vergogna inculcato dalla società, ben conosciuto dalle donne fin da quando sono ragazzine, e che ricade come un’onta sulla famiglia della donna, come se la colpa delle molestie subìte fosse la sua.

Anche gli uomini denunciano la discriminazione contro le donne

Una kuwaitiana scrive in un post: «Avevo circa 17 anni quando ho capito cosa realmente significasse la molestia». Era in coda con sua madre e suo fratello più piccolo in un fast food. «Ho visto un uomo che allungava le mani su tutte le donne che erano davanti a me. Non sono riuscita a trovare la forza di andarmene da quel posto. Quando è arrivato il mio turno di ordinare, l’ho sentito toccarmi sul didietro. Immediatamente ho pestato il suo piede con il tacco dei miei stivali. L’ho sentito lamentarsi, ma ha avuto lo stesso l’audacia di continuare a toccarmi».

Voci femminili, ma non mancano anche testimonianze di uomini che hanno visto con i loro occhi episodi di offesa, sessismo, mancanza di rispetto verso le donne – magari le loro mogli – e che vogliono denunciare.

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Lavoratrici immigrate in Kuwait: chi sono le donne più vulnerabili nel paese del Golfo

La parte della popolazione femminile che in Kuwait è più vulnerabile ed esposta ad abusi è quella di origine straniera, composta da immigrate che risiedono nel Paese del Golfo per lavorare soprattutto come collaboratrici domestiche, spesso in condizioni di sfruttamento. Donne che arrivano da India, Sri Lanka, Filippine, prive di sostegno, che difficilmente trovano ascolto e protezione.

Il movimento “Lan asket” è molto sostenuto sulla rete, trova l’appoggio aperto dell’ambasciata statunitese in Kuwait, ma anche moltissime critiche da parte degli esponenti più conservatori della società kuwaitiana, secondo i quali le donne dovrebbero limitarsi semplicemente a evitare o scoraggiare le occasioni di molestia, a partire dal loro abbigliamento.

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Nel 2020 otto donne giudici alla Corte Suprema del Kuwait: non era mai successo

Il ricco emirato, monarchia costituzionale, è considerato il più avanzato in termini di diritti tra i Paesi del Golfo e la popolazione femminile kuwaitiana appare come (relativamente) più emancipata rispetto a quelle degli emirati vicini. Negli ultimi anni le kuwaitiane hanno raggiunto dei traguardi significativi.

A settembre del 2020 per la prima volta otto donne sono state nominate giudici della Corte suprema, mettendo un piede all’interno di un territorio – quello della magistratura – tradizionalmente appannaggio del potere maschile.

La prima legge per riconoscere i diritti negati alle donne: una norma contro la violenza domestica

Ad agosto dello stesso anno, il Kuwait ha approvato la prima legge sulla protezione dalla violenza domestica, che ha fissato misure di assistenza per le vittime e ha stabilito la creazione di una commissione nazionale su questo problema. Come spiega il rapporto 2021 sui diritti umani nel mondo di Human rights watch, altri provvedimenti importanti contenuti nella legge sono: la creazione di comunità rifugio per l’accoglienza e la protezione delle vittime, che prima erano assenti, e l’attivazione di una linea telefonica dedicata per raccogliere richieste di aiuto e indirizzare le donne verso la consulenza e l’assistenza legale.

Tuttavia, sottolinea l’ong, la legge non definisce esplicitamente la violenza come crimine in se stesso.

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Delitto d’onore e matrimonio riparatore: la lunga strada dei diritti delle donne in Kuwait

La legge è un passo avanti molto significativo, ma non basta fissarla sulla carta, va implementata nella quotidianità. Per le donne che subiscono violenze domestiche è difficile ricevere protezione dalle autorità, in molti casi la polizia addirittura cerca di convincere le vittime a tornare dai loro aguzzini.

Il rapporto dell’organizzazione che si occupa di diritti umani ricorda un caso che a settembre del 2020 – poche settimane dopo l’approvazione della legge – ha suscitato grande indignazione: l’assassinio di Fatima al-Ajmi, incinta, uccisa dal fratello mentre era ricoverata in ospedale perché lui non accettava il suo matrimonio, nonostante l’approvazione paterna.

D’altro canto, alcune norme vigenti incoraggiano questi delitti. L’articolo 153 del codice penale giustifica il delitto donore: un uomo che coglie sua moglie, madre, sorella, figlia in un atto di adulterio e la uccide ha diritto a ricevere una riduzione della pena (in Kuwait è attiva una campagna per l’abolizione di questo articolo, Abolish 153).

L’articolo 182 sancisce il matrimonio riparatore: un uomo che stupra una donna evita di rispondere alla giustizia se accetta di sposare la sua vittima.

Matrimonio, divorzio, custodia dei figli: la discriminazione delle donne kuwaitiane

Come spiega il rapporto di Human rights watch, la legge sullo statuto personale che si applica ai musulmani sunniti – la maggioranza della popolazione kuwaitiana – fa una discriminazione nei confronti delle donne in materia di matrimonio, divorzio e custodia dei figli, stabilisce che la donna ha bisogno del permesso del guardiano (uomo) per sposarsi e deve obbedienza al marito, il quale può impedirle di lavorare, se questo a suo dire pregiudica gli interessi familiari.

Inoltre, le cittadine kuwaitiane che sposano uno straniero non possono trasferire la nazionalità ai loro figli o ai mariti, diritto riservato solo agli uomini, che detengono in modo esclusivo la linea della discendenza.

Una questione che, in tempo di restrizioni per la pandemia, ha creato enormi problemi di ricongiungimento per tante famiglie, perché ai mariti stranieri di cittadine kuwaitiane non veniva concesso il permesso di rientrare nel Paese.

Nessuna donna nel Parlamento eletto nel 2020

Le donne dell’emirato hanno ottenuto il diritto di votare ed essere votate nel 2005. Ma hanno dovuto aspettare il 2009 per vedere le prime quattro cittadine sedute nel Parlamento.

Lo scorso dicembre quasi 5 milioni di persone – compresi poco meno di 3 milioni e mezzo di lavoratori stranieri residenti in Kuwait che hanno diritto di voto – sono state chiamate a rinnovare i cinquanta seggi del Parlamento. Su 326 candidati 29 erano donne: nemmeno una di loro è stata eletta.

Del resto, dopo il 2009 il numero delle parlamentari è progressivamente diminuito: due elette nel 2012, una sola nel 2016, Safa al-Hashem (eletta già quattro anni prima), che nel 2020 ha perso il seggio.

Vasti strati della società nel Paese del Golfo non credono affatto alla leadership femminile e ancora si oppongono alle donne in politica. La mentalità reazionaria e patriarcale dell’emirato è stata smussata, ma è ben lontana dall’essere abbattuta.

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