«Mi hanno picchiato»: l’accusa agli agenti della polizia penitenziaria di Monza
Testimonianze di peso alla nuova udienza del processo che vede imputati cinque agenti penitenziari del carcere di Monza per lesioni aggravate. Il 10 gennaio, infatti, sono stati ascoltati il detenuto picchiato e il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma. Ecco cosa hanno detto
Nell’aula C, al secondo piano del Tribunale di Monza, si è celebrata il 10 gennaio una nuova udienza del processo che vede imputati per lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d’ufficio e omessa denuncia quattro agenti e un’ispettrice della casa di reclusione San Quirico.
Il pubblico ministero Stefania Di Tullio ha chiamato come primo teste Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private di libertà.
«Dopo aver ricevuto una segnalazione di segni di maltrattamento da parte di un familiare del detenuto U.M. presso il carcere di Monza ho contattato direttamente la direttrice chiedendo spiegazioni. Inizialmente ha risposto via telefono che il detenuto aveva aggredito i poliziotti durante un trasferimento di sezione, poi però la stessa direttrice mi ha avvisato di un video interno dove si evidenziava un’altra realtà e da lì abbiamo agito direttamente con la procura di Monza», spiega il Garante, che è stato riconosciuto parte offesa al processo.
Polizia penitenziaria di Monza: la testimonianza del Garante, Mauro Palma
Il Garante, per la prima volta, sottolinea un cambio di atteggiamento dell’allora direttrice del carcere, Maria Pitaniello. Dalla testimonianza emerge come inizialmente la reazione della direttrice sia stata di difesa nei confronti dei suoi agenti.
«Ha parlato di una denuncia dei suoi agenti contro il detenuto, dicendo di aver ricevuto un verbale scritto dopo il fatto che indicava atti penali commessi dal detenuto contro gli agenti. Pochi giorni dopo la prima chiamata avuta con lei, il 13 agosto 2019 la dottoressa ci ha avvisati del video ed è cambiata la sua versione».
Palma spiega di aver quindi visionato il video e confermato la versione dei familiari del detenuto dopo il pestaggio.
«Ci sono quattro punti importanti nel video: si vedono chiaramente i cinque colpi inferti al detenuto disteso sulla barella, si vede come viene scaricato in una cella facendolo scivolare giù con un gesto che reputo degradante e contro l’articolo 3 della Convenzione per i diritti umani, ma sopratutto nel video si vede comparire la direttrice».
Attraverso il video, quindi, emerge una versione diversa dei fatti: la direttrice avrebbe visto un detenuto picchiato e sanguinante riverso in una cella destinata all’isolamento e non avrebbe avvertito nessuno.
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Il detenuto accusa gli agenti della polizia penitenziaria: «Ho avuto paura di morire»
Nella piccola aula del tribunale, affollata da un pubblico rumoroso composto da agenti penitenziari in borghese, si è proseguito con la testimonianza di U.M., il detenuto vittima del pestaggio.
«Da alcuni giorni ero in sciopero della fame per ottenere un trasferimento, visto che non mi sentivo sicuro in quel carcere». A causa della sua posizione di collaboratore di giustizia per un caso di criminalità organizzata, infatti, U.M. aveva chiesto di stare in un carcere ad alta protezione.
«Il trasferimento non arrivava e dopo lo sciopero della fame ho iniziato quello della sete. Ero privo di forze, quando venivo fatto visitare dovevo farmi trasportare in barella e subito dopo una visita sono stato picchiato», racconta.
I fatti risalgono al 3 agosto 2019. Dopo una visita quotidiana per accertare lo stato di salute di U.M., è stato trasportato verso la sezione osservazione. Dal video, proiettato anche durante l’udienza, si vede il suo gesto di voler scendere ma non si sente l’audio.
«Quando ho capito che mi stavano portando verso il binario morto (il settore isolamento, ndr), ho provato a scendere e lì è cominciato il pestaggio. In 15 anni di carcere, passati in diversi istituti, non ho mai avuto così tanta paura di morire».
Il riconoscimento degli aggressori: tensione nel processo in corso a Monza
«Ho ricevuto un primo pugno vicino all’occhio, tirato da un agente mai visto prima, da quello lì in fondo».
Il testimone indica Antonio Antonino, uno dei quattro agenti penitenziari imputati, rimasto per tutte le 7 ore di processo in piedi vicino all’ingresso dell’aula.
«Erano 4 o 5, uno mi teneva e altri mi picchiavano. Sul viso, sul bracco, sul fianco. Poi mi hanno scaricato nudo per terra, come fossi materiale in una carriola. Non riuscivo a muovermi, avevo sangue dappertutto, ma ho visto fermarsi davanti al mio blindo aperto la vicecomandante e la direttrice. Mi hanno guardato e sono ripartite, senza dirmi nulla».
U.M. conferma che la direttrice Maria Pitaniello era presente poco dopo il pestaggio. Con lei Marianna Stendardo, all’epoca dei fatti facente funzione di comandante, che lo stesso 3 agosto scrisse un verbale in cui accusava il detenuto di aver aggredito i suoi colleghi.
«Ero in sciopero della fame da settimane, mi trasportavano in barella perchè non riuscivo a muovermi. Come avrei potuto aggredire da disteso 4 agenti?», domanda il detenuto a uno degli avvocati degli imputati.
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Agenti penitenziari in carriera
Tutti e cinque gli imputati erano presenti al processo, inclusa Marianna Stendardo. L’imputata, che all’epoca dei fatti era vicecomandante e facente funzione di comandante in sostituzione del suo superiore in ferie, è accusata di falso, calunnia, abuso d’ufficio e omessa denuncia per aver redatto un verbale dell’accaduto indicando il detenuto come aggressore.
Stendardo, che si vede nel video comparire davanti alla cella aperta dove giace U.M. sanguinante, durante questi tre anni di processo ha vinto un concorso come direttrice di carcere e attualmente è vicedirettrice del carcere di Reggio Calabria.
L’allora direttrice del carcere, Maria Pitaniello, dopo aver descritto una situazione ben diversa dalla realtà al Garante nazionale, attualmente è direttrice del carcere di Busto Arsizio.
Tutti e quattro i poliziotti penitenziari, accusati di lesioni aggravate, sono tuttora in servizio presso lo stesso carcere dove è stata perpetrata l’aggressione.
La prossima udienza del processo, salvo sorprese, sarà celebrata l’11 settembre 2024, tra nove mesi.
Sistema carcerario italiano: i dati nel nuovo rapporto di Antigone
Il 29 dicembre 2023 è stata pubblicato il diciannovesimo rapporto annuale dell’associazione Antigone (qui il Pdf).
Un intero capitolo è dedicato al processo di Monza, per cui Antigone è parte civile. L’associazione aveva indicato il reato di tortura, introdotto con la legge 110 del 2017, tra quelli da imputare agli agenti, ma questa fattispecie non è stata inclusa.
Con il titolo “È vietata la tortura” il nuovo dossier cerca di porre l’attenzione su questo reato, visti anche i tentativi di emendarlo con una proposta di legge a firma Imma Vietri (Fratelli d’Italia).
Nel rapporto si trovano alcuni dati utili a capire la situazione nelle carceri. A fronte di una capienza ufficiale di 51.249 posti, i presenti al 30 aprile erano 56.674.
Le donne, 2.480, rappresentavano il 4,4% delle presenze.
Gli stranieri, 17.723, il 31,3%.
Le regioni che vestono la maglia nera come sovraffollamento sono Puglia (137,3%), Lombardia (133,3%) e Liguria (126,5%).
L’età media continua a crescere, con la popolazione over 50 che rappresenta il 29% del totale, mentre l’età media degli 85 suicidi del 2022 è tra i 26 e 39 anni.