Azerbaijan: giovane donna in fuga dal paese dei diritti negati
Osservatorio Diritti ha incontrato Mara, una giovane giornalista azera fuggita (due volte) dalle persecuzioni del regime di Ilham Aliyev. La donna è stata pestata, mentre il compagno è stato imprigionato e torturato. La colpa di Mara? Aver osato denunciare brogli nelle ultime elezioni in Azerbaijan
Mara, i suoi due figli e il marito, originari dell’Azerbaijan, abitano da quasi un anno in un centro per richiedenti asilo in una località europea di cui non possiamo svelare il nome. Osservatorio Diritti l’ha incontrata fuori dal cancello d’ingresso, perché ai giornalisti non è concesso entrare senza l’autorizzazione. E l’autorizzazione non è mai arrivata.
Una donna in fuga dall’Azerbaijan
Mara, il nome è di fantasia, è la seconda volta che scappa dall’Azerbaijan. All’inizio aveva creduto nel sistema di rimpatrio volontario, che in alcuni paesi europei consiste in soldi alla mano e la promessa di tutela dei diritti.
«Appena tornati a casa, mio marito è stato arrestato e la mia famiglia minacciata. Io ho ripreso a lavorare come giornalista indipendente e ho seguito le presidenziali della primavera 2018 come osservatrice, denunciando fin dalla mattina delle votazioni gravi brogli».
Il giorno dopo le elezioni, dopo una conferenza stampa in cui Mara ha denunciato le violazioni, è stata aggredita in un parcheggio e pestata. Così ha deciso di ripartire, insieme ai figli, dopo aver fatto i documenti falsi e trovato un passeur che, attraverso la Georgia, li portasse in una località segreta in Europa.
«Restare lì significava temere per la mia vita e quella dei miei familiari. Il regime ha chiuso diverse testate indipendenti, il leader dell’opposizione, Ilgar Mammadov, era ancora in carcere e la mia famiglia era terrorizzata».
Il marito, anche lui giornalista, è uscito di prigione dopo mesi di torture che gli provocano ancora oggi traumi alle dita e alle braccia. Nel settembre 2018 ha raggiunto Mara e, da allora, vivono nascosti, sapendo che le loro famiglie sono minacciate quotidianamente dalla polizia.
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Azerbaijan: dittatura a conduzione familiare
L’Azerbaijan è una repubblica presidenziale, nata nel 1991 dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Il primo presidente, Heydar Aliyev, era un esponente del Kgb a Mosca, eletto dopo due anni di caos e guerra civile. Nel 2003, poco prima di morire in America per problemi cardiaci, ha lasciato il potere al figlio, Ilham Aliyev, vincitore di elezioni fasulle (era l’unico candidato alla presidenza).
Le politiche tenute nell’aprile 2018 lo hanno confermato per il quarto mandato consecutivo. Le votazioni, inizialmente fissate per ottobre, sono stata anticipate per sbaragliare l’opposizione e rieleggere Aliyev. Nel 2016, infatti, il presidente aveva modificato la costituzione allungando il mandato presidenziale da 5 a 7 anni e ampliando i poteri del capo del governo fino a poter sciogliere le camere e farsi rieleggere.
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In Azerbaijan nessuna libertà per giornalisti e studiosi
Eleonora Tafuro, esperta della zona caucasica dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), conferma come la situazione azera sia di repressione indiscriminata.
«Prima e dopo le elezioni del 2018 sono stati imprigionati dieci giornalisti, ma anche il mondo accademico è sotto stretta osservazione del regime. Docenti e ricercatori che si oppongono ad Aliyev scappano all’estero per poter continuare a lavorare. La realtà azera è tra le peggiori delle repubbliche del Caucaso del Sud e non accenna a migliorare».
Freedom House, nella lista dei paesi sotto censura e repressione, dà il voto di 11 su 100 per libertà di stampa e opposizione politica all’Azerbaijan.
Azerbaijan – Europa: la diplomazia del caviale
La longa manus della famiglia Aliyev è arrivata direttamente nel cuore della diplomazia europea nel 2014, quando furono identificati versamenti da parte di società azere a parlamentari europei necessari per evitare ulteriori sanzioni verso il regime repressivo azero.
L’affaire aveva investito anche un politico italiano, Luca Volontè, ex deputato dell’Udc, accusato poi dalla procura di aver preso tangenti per oltre 2 milioni di euro per sostenere il paese nel Consiglio d’Europa (Volonté è stato assolto in primo grado dall’accusa di riciclaggio).
A quanto pare, la strategia di Aliyev è quella di comprare il consenso politico europeo per spegnere i riflettori sulle violenze interne, che tra il 2012 e il 2015 hanno portato in carcere oltre 400 prigionieri politici.
«La macchia nera di quelle tangenti rimane e dimostra anzi come ci sia un totale disinteresse verso le relazioni diplomatiche. La famiglia presidenziale punta solo ad avere ottimi rapporti economici, come quelli prodotti dal metanodotto Tap», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Interessi che sono ulteriormente intensificati dalla grande attività di mecenatismo portata avanti dalla fondazione dedicata al padre del presidente. A Roma – continua Noury – la fondazione ha investito somme ingenti nella sfera culturale. «È un modo per farsi vedere, essere presenti e sicuramente alleggerire la propria immagine dalle accuse di violazioni di diritti umani».
La cartina: mappa dell’Azerbaijan (capitale Baku)
La pressione delle ambasciate azere e i mancati visti per asilianti
Una presenza culturale che l’Azerbaijan unisce a una presenza diplomatica costante, in diversi paesi. «Sono scappata inizialmente in Georgia, ma è un paese legato a doppio filo con il nostro. I servizi segreti georgiani lavorano con la polizia azera per trovare e rimandare indietro chi fugge dal regime di Aliyev», racconta Mara, che chiede di non fare il suo nome, di non menzionare la testata per cui lavorava, né il marito.
Oltre ai servizi segreti, anche le ambasciate azere monitorano i passaggi dei propri concittadini. Una fonte che chiede di restare anonima racconta a Osservatorio Diritti di aver presenziato a un incontro in cui si parlava di Azerbaijan con una ricercatrice fuggita e ospitata alla Sapienza di Roma. «La sala era piena di studenti azeri, abbiamo dovuto chiedere l’intervento della Digos per assicurare alla ricercatrice protezione».
Protezione che la stessa Mara sta cercando di mantenere, facendosi aiutare dal suo avvocato. «Abbiamo presentato un ricorso alla Commissione dei diritti umani di Ginevra per evitare che ci rimandino a casa. L’Azerbaijan è considerato da tutta Europa un paese sicuro e le nostre ambasciate collaborano pienamente per rimpatriarci. Ma per noi il rischio sono la prigione e le torture», conclude.