Tortura, omicidi in divisa, repressione: parla Ilaria Cucchi
Il reato di tortura deve restare. La sicurezza non può essere garantita facendo leva solo sulla repressione. Ed è urgente far passare la legge per istituire i numeri identificativi per riconoscere i singoli agenti. Ecco cosa ha detto Ilaria Cucchi a Osservatorio Diritti
Persone morte durante o subito dopo interventi di carabinieri, vigli, metronotte. Il via libera al porto di armi personali, per appartenenti a forze di polizia. Nuovi reati, più repressione, nessuna leva su prevenzione e mediazione.
Osservatorio Diritti ne parla con Ilaria Cucchi, senatrice eletta con Sinistra Italiana e Europa verde, combattiva sorella di Stefano Cucchi. Per avere giustizia, per l’omicidio del fratello, ha lottato tenacemente per anni. Le battaglie continuano in Parlamento.
Da inizio anno sette persone sono morte o state uccise in operazioni di servizio di forze di polizia. Sono in corso inchieste, per valutare le responsabilità. Ma di questi temi non si discute. E si aumenta il numero di armi in circolazione.
L’Italia è un Paese delicato per quanto riguarda il suo rapporto con la democrazia. Abbiamo conosciuto periodi storici, come gli anni del fascismo, in cui le figure addette alla repressione dei reati hanno avuto un potere eccezionale. Nel dopoguerra questo potere à stato messo sotto controllo e gestito dentro un’intelaiatura di pesi e contrappesi che il sistema democratico ha garantito.
Ma lo sbilanciamento non è mai stato risolto, soprattutto perché per troppi politici per rispondere alla conflittualità sociale degli anni ’60 e ’70 c’era bisogno di dare più potere alle forze di polizia in generale. È come se non si fosse mai usciti da quel clima, il clima di quello scontro.
Con quali conseguenze?
Viviamo in una emergenza permanente alla quale, secondo i tifosi dei metodi autoritari, bisogna reagire con più repressione e più controllo. E, dal momento che gli addetti alla repressione e al controllo sono le forze d polizia, è come se si affermasse: «Se metti limiti democratici al loro agire, lavori per l’insicurezza».
Quante volte abbiamo sentire dire «Se limiti l’uso della forza di polizia e carabinieri, aiuti il crimine», o addirittura «Se introduci il reato di tortura non permetti agli agenti di svolgere il proprio lavoro»? Per fortuna negli apparati di polizia ci sono anticorpi sani che in questi anni hanno aiutato a non far prendere il sopravvento a questi argomenti farneticanti.
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Nelle nostre strade ci sono anche persone con problematiche psichiatriche. Le forze di polizia sono preparate a relazionarsi con loro? Hanno gli strumenti? O dovrebbero attivarsi altri soggetti?
Poliziotti, carabinieri e vigli urbani hanno compiti difficili sul campo, non è sempre facile capire quando si è di fronte a forme di violenza per motivi psichiatrici o di altra natura. Però troppo spesso persone in evidente crisi psicotica o sotto effetto di sostanze che alterano le normali funzioni psichiche sono state trattate con una violenza spropositata e senza la dovuta professionalità.
Ci sono situazioni in cui è evidente la necessità di un intervento da parte di medici e operatori umanitari o mediatori, al posto di agenti che usano la forza. Certo, ci vogliono più formazione e anche maggiori capacità e sensibilità dei singoli.
Che cos’altro manca a suo parere?
Quello che manca è un messaggio chiaro da parte delle istituzioni. Se di fronte a casi come quello che ha portato alla morte di mio fratello – e a quelle Riccardo Magherini e Federico Aldrovandi o alla “macelleria messicana” di Genova – la politica non è unita, ma dà sponda all’arbitrio e alla violenza, si crea un cortocircuito di senso: è come dire che tra le forze di polizia può essere tollerata la violenza brutale, senza controllo. Ci sarà sempre qualcuno che comunque prenderà le tue parti.
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Che lei sappia, per evitare altre storie sbagliate, c’è qualcuno che censisce e analizza i decessi in interventi di servizio? Le risultano circolari o disposizioni, dopo la sequenza di morti di quest’anno?
L’articolo 13 della Costituzione, dopo aver sancito che “la libertà personale è inviolabile”, al quarto comma prescrive: «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Poi ci sono norme che regolano l’uso della forza e delle armi da fuoco, abbiamo codici deontologici e di comportamento, oltre che, ultimo, il reato di tortura oggi messo in discussione dalla destra. Io penso che esistano le disposizioni per regolare e controllare e anche reprimere i comportamenti e le azioni illegali e gli abusi delle forze di polizia. Si devono migliorare, certo.
In che modo?
Un esempio. Bisogna far passare la legge per istituire i numeri identificativi per consentire di riconoscere i singoli poliziotti, carabinieri e finanzieri impegnati in servizi di ordine pubblico, quando hanno i caschi. Le norme buone ci sono, basterebbe applicarle e non creare un clima politico che giustifica certi atti come “necessari per la sicurezza degli agenti”. E soprattutto andrebbero incentivate e premiate le azioni di prevenzione, di mediazione, quando cioè si evita di usare la violenza e si raggiunge il medesimo obiettivo di sicurezza delle persone e della comunità.
Al di là delle responsabilità penali dei singoli ci sono responsabilità di altri e variabili che condizionano chi deve proteggere la collettività?
Penso che bisogna avere un grande rispetto per chi si occupa della nostra sicurezza. Il rispetto passa soprattutto nel mettere gli agenti nelle condizioni di fare il loro mestiere senza pressioni, senza il peso del giudizio collettivo preventivo e pregiudiziale. È come se la sicurezza sociale dipendesse soltanto da loro, mentre si tratta di lavoratori che pagano le incapacità della politica di risolvere i problemi sociali attraverso occupazione, redditi dignitosi, sanità efficiente, carceri che creino possibilità di reinserimento e non persone ancora più arrabbiate con il sistema.
C’è una tendenza a giustificare o tollerare azioni non ortodosse?
Gli agenti devono operare secondo la legge e secondo la loro deontologia professionale. Per la delicatezza delle loro mansioni devono essere attenti al tema dei diritti delle persone, soprattutto quelle più fragili. Non voglio più sentire discorsi come «gli è scappata la mano», «sono stati provocati per questo hanno…».
Se porti una divisa, si presuppone che tu sia un professionista cui non può scappare la mano usando violenza fuori dalla legge, altrimenti non si capisce la distinzione tra poliziotti, carabinieri e finanzieri e persone comuni. Per questo penso che bisogna inserire i numeri identificativi, per la sicurezza di chi manifesta o viene sottoposto a fermo o arresto, ma anche per separare gli agenti violenti che violano la legge dalla maggioranza di quelli che la rispettano».
Ilaria Cucchi, secondo lei cosa dovrebbero fare le istituzioni per evitare altri morti? E noi, mass media e cittadini?
Il recentissimo pacchetto sicurezza crea nuovi reati e ne inasprisce altri. Escono fuori più tutele per gli agenti di polizia oggetto di violenze e nuovi reati che puniscono rivolte nelle carceri e chi le istiga di fuori. E poi ancora altri reati specifici per blocchi stradali, pensati proprio per gli attivisti di Ultima generazione. In generale, per tenersi pronti in caso di aumento delle proteste, gli operatori di pubblica sicurezza potranno dotarsi di una seconda arma, diversa da quella di ordinanza, senza licenza. Ecco, in questo pacchetto c’è quello che non si dovrebbe fare: affrontare ogni problema e ogni contraddizione inventando nuovi crimini.
Bisogna andare alla radice del disagio, risolverlo, dare risposte all’altezza della crisi economica che gli italiani si trovano in bolletta o facendo la spesa. E chiamare le forze di polizia e a questo compito. Noi cittadini mobilitarci, sempre, per i diritti umani, vigilare sull’operato di quella parte delle “divise” che viola la legalità costituzionale.