La Cedu condanna la polizia italiana: morì per un’overdose in questura
I giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo si sono pronunciati in modo diverso dai colleghi italiani, condannando le omissioni della polizia per la morte di Carmelo Calogero. I familiari chiedono la revoca delle sentenze non in linea con il verdetto Cedu, con una procedura inedita resa possibile dalla riforma Cartabia
Da più di 22 anni e mezzo i familiari e gli amici di Carmelo Calogero aspettano risposte certe e definitive, in un’altalena di speranze e delusioni, fiducia e sconforto, ottimismo e amarezza.
Morì a 30 anni mentre era nelle mani dello Stato, arrestato a Milano per spaccio di droga. Overdose di cocaina, stabilirono le analisi, ingerita in questura.
Poteva e doveva essere salvato? Ci sono state sottovalutazioni e omissioni? La giustizia italiana aveva escluso responsabilità passive di operatori in divisa e Viminale, archiviando l’inchiesta penale e poi scagionando il ministero dell’Interno.
La Cedu condanna l’Italia per le omissioni
La Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo più di 11 anni di attesa, si è espressa in modo opposto. Ha ritenuto l’Italia responsabile della fine tragica dell’uomo in custodia, per il mancato impedimento della morte, e ha stabilito un risarcimento.
Secondo i giudici di Strasburgo le autorità di polizia italiane hanno violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il caposaldo che tutela la vita sotto l’aspetto degli obblighi attivi di protezione.
Richiesta di “revocazione” presentata alla Cassazione
L’ultimo verdetto Ue potrebbe rimettere tutto in discussione anche in Italia. Da pochi mesi c’è una procedura applicabile in caso di sentenze civili contrastanti, resa possibile dalla riforma Cartabia: la “revocazione”, cioè la cancellazione dei giudizi impugnati.
I legali della famiglia, Antonio Sgarrella e Crescenzo Rubinetti, hanno chiesto alla Cassazione di annullare le sentenze di Milano e Roma, quelle sfavorevoli alle parti assistite, fuori linea rispetto all’interpretazione data da Strasburgo.
«L’auspicio – dice l’avvocato Sgarella – è che ora anche la giustizia italiana voglia prendere atto delle effettive responsabilità degli organi dello Stato. La Cedu ha dato un tardivo ma doveroso riconoscimento delle istanze dei congiunti, che avevano immediatamente denunciato le carenze nel trattamento dell’arrestato».
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La battaglia sui risarcimenti
L’accoglimento della richiesta di revocazione non è automatico né scontato, i tempi potrebbero non essere brevi, non ci sono precedenti. La madre di Carmelo, Giuseppa, se ne è andata prima di conoscere l’epilogo della battaglia legale. A combattere sono rimaste la figlia e l’ex convivente di Carmelo Calogero, Nancy e Rosalba.
E c’è un’altra questione in sospeso, usata come argomento difensivo nella causa europea. L’Italia aveva pagato a figlia e madre i risarcimenti previsti dal primo processo civile e cancellati in secondo grado, importi consistenti. Attraverso l’Agenzia delle Entrate da anni sta chiedendo la restituzione degli indennizzi, caricati di interessi e sanzioni.
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La figlia sulla condanna Cedu all’Italia: «Abbiamo già vinto»
Quando il padre morì, la notte del 10 maggio 2001, Nancy era una bimba. Le parlarono di angeli custodi e di sguardi dal cielo – ricorda – per provare a spigarle l’assenza di papà. «Io però avevo intuito che era successo qualcosa di grave e che non lo avrei mai più rivisto, con tutte le conseguenze che si possono immaginare».
Ora è una giovane donna, con una figlia di un anno. «La corte di Strasburgo ci ha dato ragione. Noi abbiamo già vinto, ma andremo fino in fondo. I giudici europei hanno riconosciuto che ci fu omissione di soccorso. Spero che la Cassazione cancelli le sentenze italiane e poi autorizzi un nuovo processo, in linea con l’interpretazione della Cedu».
A pesare è pure l’aspetto economico: «Lo Stato – racconta sempre Nancy – ci chiede la restituzione del risarcimento disposto in primo grado e cancellato in secondo grado. Quei soldi li abbiamo spesi per tirare avanti, mangiare, pagare gli studi, le cure, le spese».
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La sentenza delle Corte europea dei diritti dell’uomo
La sentenza integrale in inglese e la sintesi in italiano sono reperibili online in siti istituzionali e portali giuridici e in blog di area antagonista e anarchica.
Blitz antidroga, sequestri e arresti: cosa è successo a Carmelo Calogero
Alle 2.30 della notte del 10 maggio 2001 i poliziotti di una volante controllarono e arrestarono Carmelo Calogero, ritenuto uno spacciatore e un consumatore di droga. Era sulla soglia di casa con tre amici, bloccati anche loro. Saltarono fuori soldi., ecstasy, cocaina.
Il trentenne, per ammissione degli stessi “verbalizzanti”, era in stato di alterazione psicofisica, incline ad attacchi di panico e ad atti autolesionistici. Portato a braccia e caricato in macchina, come un “peso morto”, sbavava, sudava, ansimava. Gi agenti tennero l’auto ferma per un poco e lo fecero stare seduto con le gambe e la testa fuori dall’abitacolo, poi partirono.
Le manette ai polsi, il malore, la fine
Non lo accompagnarono in ospedale, si limitarono a regolare la ventilazione nella volante e a tenere bassa la velocità di guida. Verso le 3.30 lo scaricarono in questura, affidato ai colleghi del corpo di guardia, ancora con le manette ai polsi.
Venne chiuso nella sala dei fermati, sembrava stesse meglio e si addormentò.
Alle 5.30 iniziò a tossire ed avere conati di vomito. Chiese di andare in bagno. Il poliziotto di turno gli liberò una mano e lo scortò fino al modulo con i servizi, lasciando aperto lo sportello. Carmelo Calogero si accasciò sul pavimento.
Aveva di nuovo la bava alla bocca, perdeva sangue dal naso. Rigettava. Solo allora l’unico agente presente chiamò un’ambulanza e altro personale.
Portato al vicino Fatebenefratelli, alle 6.11, fu dichiarato morto cinque minuti dopo.
La procura aprì un’inchiesta e dispose l’autopsia e una consulenza tossicologica. Nel febbraio 2002 il responso: l’arrestato era morto per una intossicazione acuta da cocaina, ingerita in un orario molto vicino al decesso. Non risultavano traumi o patologie trascurate.
Archiviata l’inchiesta penale: «Nessun reato»
Il pm assegnato al caso, non ravvisando responsabilità di terzi, chiese e ottenne l’archiviazione del fascicolo. Nel giugno 2003 i familiari intentarono un’azione civile contro il ministero dell’Interno, una causa per i danni derivanti da una possibile omissione di soccorso e dalla “culpa in vigilando”.
Il Tribunale accertò che il trentenne aveva ingerito cocaina in due momenti diversi. La prima assunzione aveva provocato un evidente malessere fisico, con sintomi da non ignorare. La seconda assunzione, fatale, era avvenuta in questura. Probabilmente Carmelo Calogero portava addosso altra droga, oltre a quella trovata nel portafoglio.
Sentenza civile ribaltata in appello
In primo grado lo Stato uscì perdente. Su ricorso dell’Amministrazione, la Corte d’Appello di Milano rovesciò il verdetto. Non ravvisò responsabilità a carico del Viminale, i risarcimenti decaddero.
Nel 2011 la Cassazione confermò la sentenza.
La Cedu condanna l’Italia: argomentazioni e danni riconosciuti
La Cedu, coinvolta a fine 2011 dalle donne di famiglia, ha tratto conclusioni diverse. Le persone sottoposte ad arresto, ricorda, sono soggetti vulnerabili. I sintomi di intossicazione da droghe, argomenta, avrebbero dovuto mettere in allerta gli agenti e indurli a sorvegliare Carmelo Calogero con particolare rigore, soprattutto perché era stato fermato in un’operazione antidroga, aveva in tasca della cocaina, poteva compiere atti di autolesionismo.
Non solo. Non fu fatto visitare da un medico e non venne perquisito all’arrivo in questura, diversamente dagli altri fermati.
Da qui l’accertamento della violazione dell’articolo 2 della Convenzione Ue e la condanna dell’Italia al risarcimento di 30 mila euro per i danni morali e 10 mila per le spese, importi al di sotto delle richieste e dei primi indennizzi. Uno dei sette giudici del collegio ha espresso un parere dissenziente (leggibile nella sentenza integrale).