A casa loro: lo spettacolo teatrale di Giulio Cavalli e Nello Scavo
Un monologo teatrale che nasce dai reportage di Nello Scavo e racconta il dramma di chi prova a fuggire dall'Africa per arrivare in Italia, restando spesso imprigionato in Libia. Lo spettacolo girerà l'Italia a partire da febbraio. Ecco la recensione di Osservatorio Diritti, che l'ha visto all'anteprima a Casa Emergency
«Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono, anche l’indifferenza uccide. Sì, anche quella. I morti per indifferenza li riconosci: quando muoiono, se gli apri gli occhi con le dita, come due lembi, ci trovi la pupilla di chi l’aveva capito da tempo che sarebbe finita così». E ancora: «Uccide nascere dalla parte sbagliata del mondo, come una mela che casca dalle parte sbagliata del dirupo».
Inizia così lo spettacolo teatrale “A casa loro“, scritto da Giulio Cavalli e Nello Scavo, entrambi giornalisti, che hanno deciso di affidarsi al palcoscenico per denunciare quello che succede in quel mare, il Mediterraneo, che è sempre più – per usare le loro parole – un «cimitero liquido».
Uno spettacolo, che in realtà è un monologo in un atto unico con la voce di Giulio Cavalli, del quale sono stati letti in anteprima alcuni estratti il 24 gennaio, nella nuove sede di Casa Emergency, in via Santa Croce, a Milano.
Lo spettacolo, a partire da febbraio – le date ufficiali devono essere ancora rese note – andrà in tour per l’Italia e sarà accompagnato al pianoforte dallo stesso Cavalli (mentre per l’edizione di Milano ci si è avvalsi della musica di Einaudi) oltre ad avere la testimonianza diretta di alcuni migranti.
Giulio Cavalli, interprete del monologo “A casa loro”
Migrazioni a teatro: il perché dello spettacolo
Una scelta adatta, quella di una sola voce per raccontare migliaia di voci rimaste inascoltate e che purtroppo non avranno mai occasione di esprimersi perché «uccide l’indifferenza di morti di cui non si accorge mai nessuno. Si spengono come lampadine di una strada deserta in cui non passa nessuno».
“A casa loro” è il frutto della collaborazione dei due giornalisti, che, come spiega Cavalli, con il portare le migrazioni a teatro si sono posti questo obiettivo:
«È la scelta di versare sul palco quel pezzo di mondo che ignoriamo per assolverci e invece la storia ce ne renderà conto, perché la solidarietà non sta nei regolamenti e nemmeno negli editoriali. E per questo, forse, anche uno spettacolo teatrale serve: i furbi parlano molto di solidarietà, ma ne parlano troppo con chi avrebbe bisogno di riceverla, piuttosto che parlarne con chi avrebbe bisogno di farla».
Tutto nasce, dunque, dai reportage scritti per Avvenire da Nello Scavo: «Giulio li aveva letti e così mi ha contattato per scrivere un testo a quattro mani. L’obiettivo è che “A casa loro” in un’ora e mezza riesca ad andare oltre, arrivando dritto al cuore delle persone».
Libia: prigione per un milione di persone
Uno spettacolo in cui protagonisti sono anche la Libia e i numeri.
La prima «di cui tutti parlano e nessuno legge e che è diventata la discarica dei nostri errori e dei nostri orrori», come recita Cavalli, e che invece è piena di storie.
Storie di chi ha provato a scappare, come Rhoda, «un essere umano in trappola» che a 15 anni è stata prima aggredita e violentata e che non è mai riuscita a partire, restando imprigionata e in balia degli scafisti a Zuara. Alla fine, non potendone più, si è uccisa con una lama di rasoio usata dai migranti maschi.
O come quella di Karim, che trasporta i migranti, sempre in Libia, e alla clandestinità in Italia ha preferito l’illegalità del suo Paese.
Quella Libia in cui ci sono lager che l’Onu ha potuto visitare solo in parte, che la corte di Milano ha già descritto come un campo di «atrocità» e dove l’Organizzazione internazionale per le migrazioni è tornata a parlare di «tratta degli schiavi». Quella stessa Libia che, per Giolitti, più di un secolo fa, era una scatola di sabbia da conquistare e che adesso è diventato il carcere «di un numero di persone tra gli 800 mila e il milione». Come detto da Cavalli:
«Sdraiati l’uno sopra l’altra sarebbero una montagna alta 250 mila metri che ogni giorno scavalchiamo».
Madame, boga e connection man
Nel monologo si parla anche delle madame, quelle donne ex vittime che decidono, una volta ripagato il loro debito, di «gestire» altre vittime e di diventare a loro volta trafficanti. In Libia, spesso «il confine tra vittima e carnefice si confonde».
C’è anche la versione maschile, il boga, il cosiddetto accompagnatore, colui che preleva la vittima e lo porta alla madame. Per non parlare del connection man: chi organizza il viaggio dalla Nigeria all’Italia passando per la Libia e portando tante persone, comprese minorenni, nelle cosiddette connection house, dove vengono reclusi i migranti prima di imbarcarsi, che di fatto si trasformano in bordelli.
Aiutiamoli a casa loro, monologo su dramma migranti
Il monologo spazia da Lampedusa agli accordi fatti dalla Libia con l’Italia fino ad arrivare al naufragio del 6 novembre scorso, riuscendo a raccontare con tante parole – e nessuna immagine – il dramma di chi fugge da carestie, politiche sbagliate, disuguaglianza di cui non ha colpa.
La Porta d’Europa a Lampedusa (foto di Carlo Alfredo Clerici, via Flickr)
Parole che, in una società in cui le immagini sembrano avere sempre più peso e una foto come quella di Aylan, il bambino di 3 anni trovato morto in Turchia, può fare il giro del mondo, riescono a restare davvero dentro, a sedimentare e a provare a far dire a meno persone possibili: «Sì, aiutiamoli pure, ma a casa loro». Senza sapere che, ogni volta che si dice questa frase, ci si sta scrollando di dosso la responsabilità di morti sicure.
Gino Strada: «Stiamo assistendo a una strage»
La scelta di leggere spezzoni dello spettacolo a Casa Emergency non è stata casuale, come ha precisato il fondatore di Emergency, Gino Strada.
«Credo che sia stato un bene che l’anteprima sia partita da qui perché parla di una delle cose più importanti che stanno capitando nel nostro mondo. Stiamo assistendo a una strage», ha detto intervenendo sul palco dopo le letture di Cavalli.
«Stiamo assistendo all’affondare di tutti i principi, le barriere, di tutto quello su cui avevamo costruito la cultura dell’essere umano. Stiamo vedendo la barbarie che avanza e vorremmo che sempre più Casa Emergency riuscisse a riproporre una cultura che abbia a che fare con l’umanità».