Libia: i migranti raccontano l’inferno
Un grande lager dove si consumano atrocità degne dei peggiori campi di sterminio: è questa oggi la Libia secondo l'associazione Medici per i diritti umani, che ha raccolto in un video le testimonianze dei migranti. E l'accordo Italia-Libia, a quanto pare, ha solo peggiorato la situazione
«Ci sono stata solo 3 mesi, ma durante questi 3 mesi ogni donna ha avuto il suo giorno per essere violentata». Inizia così, con l’inquadratura su due mani che si intrecciano e la voce di una donna che parla in francese, il video pubblicato da Medici per i Diritti Umani (Medu) per raccontare, tramite le testimonianze di chi ci è stato, cosa è davvero diventata la Libia oggi.
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La Libia è un grande lager per i migranti
Lo stato africano, dicono i medici di Medu, «è un grande lager dove si consumano atrocità degne dei peggiori campi di sterminio del XX secolo e gli accordi che l’Italia ha stipulato con la Libia nel febbraio 2017 non hanno affatto migliorato la situazione. «Oggi si conoscono gli effetti di questo accordo, una drastica diminuzione degli sbarchi in Italia e centinaia di migranti intrappolati nel paese nordafricano».
Gente che proviene sia dall’Africa occidentale sia dal Corno d’Africa che, come è stato più volte denunciato da Medu, arriva in Libia dopo essere fuggita da violenze, guerra, persecuzioni e miseria estrema e qui trova una situazione ancora peggiore, dalla quale non è detto che riesca a sfuggire.
Stando ai dati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), infatti, tra luglio e settembre di quest’anno sono sbarcati in Italia via mare poco più di 21 mila migranti, quando nel 2016, nello stesso periodo, erano oltre 61 mila. Numeri che solo apparentemente fotografano una situazione migliore, ma che non danno davvero l’idea di quale inferno ci sia dietro.

Cosa prevede l’accordo Italia-Libia
Ma come si è arrivati a tutto questo? Il testo dell’accordo firmato più di 7 mesi fa tra Italia e Libia ha previsto una soluzione del “problema migranti” basata su una «cooperazione al fine di arginare i flussi di migranti illegali». Di fatto questa cooperazione si è tradotta nella chiusura del confine meridionale della Libia, principale punto di transito per chi viene dall’Africa sub-sahariana.
Ma non solo: il memorandum, firmato dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e da Fayez Mustafa Serraj, presidente del Consiglio presidenziale della Libia, parla anche di «adeguamento al finanziamento dei centri di accoglienza già attivi nel rispetto delle nome pertinenti, usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti da parte dell’Unione europea».
Diritti umani: questi sconosciuti
Inoltre, le parti si impegnano a interpretare e applicare il Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi sono parte.
Questo punto, corrispondente all’articolo 5, è controverso perché Italia e Libia non adottano lo stesso modus operandi nei confronti dei migranti.
La Libia, infatti, non aderisce alla Convenzione di Ginevra per i rifugiati, pertanto non distingue tra le diverse motivazioni che portano alla migrazione e tratta tutti i migranti illegali come criminali senza rispettare il diritto alla protezione internazionale. Inoltre, non seguendo norme come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non garantisce tali diritti ai migranti che vengono imprigionati, torturati, seviziati, violentati.
Come racconta nel video un altro ragazzo, che non avrà più di 25 anni e si esprime in inglese: «Ci davano scosse elettriche, ci picchiavano a sangue e dovevamo sopravvivere. Sono stato molto male, sono quasi morto, Dio mi ha salvato».
Non solo violenze, i migranti vengono privati anche del cibo, racconta la donna che parla francese e che durante il video non si fa mai vedere in volto:
«Siccome non c’era da mangiare, ci obbligavano a mangiare il cibo mescolato agli escrementi dei bambini. Non era vita».
Il dramma, spesso, inizia ancora prima di arrivare in Libia, subito dopo che si è deciso di scappare, anche senza un piano ben preciso. «Io ho lasciato la mia casa per trovare pace e tranquillità, ma non sapevo dove», racconta un altro dei ragazzi che sono stati intervistati da Medu a Roma e in Sicilia nell’ambito dei progetti a supporto delle vittime di tortura (la foto qui sotto è tratta da video). «Durante il viaggio siamo stati rapiti e portati a Kufra (oasi nella Libia Sud- orientale, adesso famosa per essere luogo di prigionia dei migranti, ndr)».
A Kufra è rimasto 4 mesi, finché ha pagato 2.000 dollari. Un periodo in cui è stato percosso e che l’ha portato ad ammalarsi.
«Poi sono stato buttato in mezzo alla strada e mi ha trovato un altro trafficante che mi ha portato in riva al mare».
L’Italia, a differenza di quel che si crede, non è sempre una meta così ambita. «Molta gente non vuole affrontare la traversata per venire in Italia, ma se i trafficanti capiscono che hai del denaro ti prendono e ti costringono alla traversata. La vita in Libia, non è facile e talmente non è facile che preferisci morire in mare», conclude la donna che parla in francese.