Bielorussia: dalle proteste alla dittatura a richiedente asilo a Milano
Il 22 ottobre il parlamento europeo ha annunciato che il prestigioso Premio Sakharov 2020 va all'opposizione democratica in Bielorussia, quella che si oppone allla dittatura di Alexander Lukashenko. Ecco la storia di Stepan, scappato dal paese dopo aver partecipato alle manifestazioni di protesta e ora richiedente asilo a Milano
«È un onore annunciare che le donne e gli uomini dell’opposizione democratica in Bielorussia sono i vincitori del premio Sakharov 2020. Hanno dalla loro parte qualcosa che la forza bruta non potrà mai sconfiggere: la verità. Non rinunciate alla lotta. Siamo al vostro fianco».
Con queste parole David Sassoli, presidente del parlamento europeo, ha annunciato ieri che l’opposizione bielorussa ha vinto il premio del parlamento Ue destinato a chi si è distinto per la difesa della democrazia o dei diritti umani.
Leggi anche:
• Elezioni Bielorussia: il fragile equilibrio di Lukashenko tra brogli, Ue e Russia
• Chernobyl: latte contaminato tre decenni dopo il disastro
In piazza contro la dittatura di Luhashenko e la fuga
Stepan ha 28 anni ed è uno delle migliaia di bielorussi che, dopo le elezioni presidenziali del 9 agosto, ha partecipato alle proteste contro il presidente Alexander Lukashenko, al potere dal 1994. Ferito, minacciato di essere arrestato e di non avere obbedito all’ordine di rientrare a casa impartito dalle forze di polizia, Stepan vive a Milano dal 28 agosto. Città che è riuscito a raggiungere con tante difficoltà e dove ha presentato richiesta di asilo politico, portando con sé le prove di quanto accaduto.
Oggi Stepan non teme per la sua vita, ma ha paura che i servizi segreti bielorussi possano risalire alla sua identità e colpire i familiari che sono rimasti in patria. Per questo motivo, Stepan è un nome di fantasia e non aggiungiamo alcun dettaglio sulla sua situazione familiare né sul lavoro che svolgeva in Bielorussia.
Dopo un periodo di isolamento ha deciso di raccontare la sua esperienza perché è giusto che la gente sappia a cosa va incontro chi si oppone al regime. La comunità bielorussa del Milanese lo ha accolto e lo sta aiutando a trovare quella tranquillità che in patria ha perso.
Leggi anche:
• Rifugiati: ecco chi sono, perché scappano e quali diritti hanno in Italia
• La Dichiarazione universale dei diritti umani dal 1948 ai nostri giorni
Elezioni Bielorussia: le proteste degli abitanti
«Fino al nove agosto, giorno delle elezioni presidenziali, non avevo mai partecipato a nessuna manifestazione politica. Quel giorno lavoravo. C’era tantissima gente in fila ai seggi perché tutti volevano dare il loro contributo. Quando le votazioni sono terminate nessuno voleva andare a casa», racconta.
Stepan afferma che nessuno credeva in quelle elezioni. Il presidente Lukashenko è in carica dal 1994 e ha sempre represso qualsiasi forma di opposizione con la forza. Gli altri candidati erano stati subito messi da parte.
«Questa volta non volevamo accettare il risultato. È vero che non avevo mai fatto politica, ma mi sono subito detto che non potevo stare a guardare. Sono giovane e forte e dovevo fare qualcosa. Ho impedito ai miei familiari di partecipare alle proteste, ben sapendo che sarebbe potuto accadere qualcosa di grave. Ma era un momento decisivo e così mi sono unito ai miei amici».
Subito dopo la proclamazione del presidente, un nutrito gruppo di manifestanti è andato nella piazza centrale di Minsk, dove c’è l’obelisco che ricorda i caduti della seconda guerra mondiale, la resistenza Bielorussa. Le forze speciali erano già pronte a contrastare i manifestanti, che si sono rifugiati su un luogo rialzato dove era difficile arrivare per la polizia.
I manifestanti erano pacifici, nessuno aveva armi. Nessuno stava causando danni, nessuno lanciava pietre. Le uniche cose che urlavano erano «Viva Bielorussia» e «Polizia con il popolo». La folla era formata da persone di tutte le età, perfino bambini. Nessuno voleva andare a casa.
Bielorussia, l’ordine ai medici: non assistete i feriti
Stepan racconta che a un certo punto dagli altoparlanti sono cominciate a diffondersi frasi minacciose. «La polizia urlava di tornare immediatamente a casa, altrimenti avrebbero cominciato a usare la forza. Noi che manifestavamo urlavamo che la polizia doveva stare con il popolo e non doveva picchiare i suoi concittadini. Volevamo raggiungere i loro cuori, questo era il nostro intento».
Qualcuno ha abbassato gli scudi. Ma abbassare gli scudi per un militare vuol dire arrendersi e andare incontro al rischio di essere arrestati. La situazione è precipitata e i manifestanti hanno capito che sarebbe stato impossibile raggiungere un accordo. E così è arrivato il peggio.
I mezzi blindati sono avanzati e alcuni manifestanti sono rimasti schiacciati. E dall’alto è arrivato l’ordine ai medici di non assistere i feriti. Chi si faceva assistere sarebbe stato identificato e, dopo avere ricevuto le cure, arrestato.
La polizia ha aumentato via via l’uso della forza. I manifestanti sono stati raggiunti da granate, dalla carica di bulldozer, cannonate d’acqua e dai proiettili di gomma.
Stepan è rimasto ferito a una gamba, ma non ha cercato di farsi aiutare dalle ambulanze. Sarebbe stato troppo rischioso e lui non era ferito gravemente. E così decide di rientrare a casa.
«Inizialmente non sentivo dolore. Era una situazione indescrivibile. Aria irrespirabile, fumo ovunque. Volevamo scappare, ma non sapevamo dove andare. Il male l’ho sentito quando sono arrivato a casa. Dopo quella notte ho deciso di scendere a manifestare tutti i giorni».
Leggi anche:
• Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria
• Kazakistan: il coronavirus è il nuovo strumento di repressione sociale
Stepan oggi sogna un futuro tranquillo in Italia
A fine agosto Stepan è riuscito a ottenere il visto per un paese vicino alla Bielorussia. Ma era troppo rischioso rimanere in un paese vicino e così ha deciso di puntare sull’Italia.
Oggi studia italiano e vuole rimanere a Milano. «Il mio sogno è di lavorare nell’ambiente dello sport, è la mia passione». Secondo la comunità bielorussa locale, Stepan è il primo connazionale arrivato in città dopo le proteste di agosto.
Manifestanti perseguitati: come si vive in Bielorussia
In Bielorussia la persecuzione di persone per motivi politici sta continuando in maniera inarrestabile. Secondo gli attivisti per i diritti umani di Viasna 102 persone sono state riconosciute come prigionieri politici in Bielorussia.
Il numero totale di cittadini nei confronti dei quali sono stati avviati procedimenti penali durante il periodo elettorale e post-elettorale è di 242 persone. Oltre 6.700 persone sono state le persone arrestate tra il 9 e il 12 settembre e centinaia di loro hanno riferito di torture e altri maltrattamenti nei confronti di detenuti nelle stazioni di polizia e nelle strutture penitenziarie.
Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale, ha detto il 1° settembre: «Ad oggi, le autorità bielorusse hanno rifiutato di impegnarsi in un dialogo con i dimostranti, né hanno, a quanto sembra, intrapreso alcuna azione per svolgere indagini sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse dalla polizia nei primi giorni di proteste in seguito alle elezioni».
L’azione repressiva delle forze speciali della Polizia è stata cruenta, come testimoniato da Stepan. «In base alle informazioni in nostro possesso, non è stato avviato alcun procedimento penale nei confronti della polizia che ha brutalmente torturato centinaia di manifestanti che protestavano in maniera pacifica. Al contrario, sono stati avviati decine di procedimenti penali nei confronti di questi manifestanti, spesso senza alcuna prova attendibile di reati commessi. I bielorussi stanno chiedendo in maniera pacifica che vengano accertate le responsabilità per evitare che permanga questa pericolosa cultura dell’impunità», aveva commentato ancora Marie Struthers a inizio settembre.