Kazakistan: il coronavirus è il nuovo strumento di repressione sociale

Il paese caucasico perseguita i dissidenti, partendo dai medici che denunciano casi di Covid-19 vicino al confine con la Cina. Attivisti e ong parlano di arresti preventivi e sanzioni. E la ong Open Dialogue Foundation ricorda gli oltre 16 mila detenuti politici e la scarsa trasparenza degli aiuti economici europei

Il 15 marzo 2020 il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ha annunciato la (prima) chiusura di tutti gli esercizi commerciali, uffici e spazi comuni per rispondere alla dichiarazione di pandemia mondiale di coronavirus da parte dell’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms). In quei giorni, nel paese grande quanto l’Europa intera ma con appena 16 milioni di abitanti, il ministero della Sanità aveva certificato i primi tre casi di cittadini kazaki contagiati da Covid-19. Tutti provenienti da paesi europei, due dalla Germania e uno dall’Italia.

«Una vera stranezza, visto che il Kazakistan ha un lungo confine con la Cina che a fine gennaio era stato chiuso senza motivo», commenta a Osservatorio Diritti Paola Gaffurini di Open Dialogue Foundation.

Questa ong a luglio ha presentato un documento per analizzare “Il bilancio del Covid-19 sui diritti umani“. Tra i paesi considerati c’è anche il regime del Kazakistan, dove sono in atto gravi violazioni dei diritti civili e dei diritti umani in genere.

«Monitoriamo da anni questo enorme stato per le azioni repressive giustificate come arresti anti-terrorismo. Per affrontare questa pandemia il presidente ha coinvolto il Comitato per la sicurezza nazionale invece di affidare la gestione sanitaria a medici e ospedali. Decine di attivisti sono perseguitati, movimenti pacifici etichettati come estremisti e quindi perseguibili. Negli ultimi tre mesi sono stati incarcerate oltre 1.500 persone aderenti al partito Democratic Choice of Kazakhstan (Dck)», dice Gaffurini.

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Foto tratta dall’account Twitter @NotExtremists

Kazakistan: chi denuncia casi di coronavirus trattato come oppositore

Duman Aitzhanov, medico kazaco che opera nella città di Almaty, verso il confine con la Cina, a gennaio 2020 aveva denunciato per primo 70 casi di Covid-19 tra i suoi pazienti in ospedale. Pochi giorni dopo aver mandato un video su WhatsApp a un collega, il medico era stato portato in commissariato e costretto a smentire la notizia con un secondo video. Immagini nelle quali lo si vede ammanettato a un poliziotto.

«Il Kazakistan ha aumentato le pressioni contro i dissidenti, di tutti i tipi, utilizzando l’epidemia come scusa per reprimere e ostacolare il dissenso al regime oligarchico del presidente Kassym-Jomart Tokayev», racconta ancora Paola Gaffurini.

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Codice penale kazako favorisce la repressione

In questi ultimi anni il paese ha riscritto diversi articoli del codice penale dedicati alla persecuzione di atti contro la nazione. Articoli scritti, però, in maniera molto generica e quindi applicabili anche contro gli oppositori al presidente.

Durante una visita del paese nel maggio 2019, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali in tema di terrorismo, Fionnuala Ní Aoláin, aveva già denunciato una dicitura troppo ambigua degli articoli 174 e 405 del codice penale.

«Durante la pandemia questi articoli sono serviti ad arrestare preventivamente decine di persone, accusate di creare false informazioni negative contro il sistema sanitario nazionale», dice a Osservatorio Diritti l’attivista Dana Zhanay.

Nell’approfondimento redatto dall’attivista sul Kazakistan viene evidenziata la modalità con cui il regime ha incarcerato chi diffondeva notizie indipendenti. «Tutti i medici che prima del lockdown ufficiale del 15 marzo avevano denunciato la presenza di casi di Covid nel paese sono stati rinchiusi, sospesi dal servizio o spinti a smentite pubbliche», dice Zhanay.

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La contestazione al regime corre via Telegram e manifestazioni pacifiche

Nei due report si elencano decine di nomi di oppositori incarcerati per aver ignorato le restrizioni durante il periodo di chiusura. Il partito Democratic Choice of Kazakhstan (Scelta democratica del Kazakistan, Dck), elencato dal regime tra i movimenti estremisti nel 2018, in contrapposizione con il parlamento europeo che lo definisce nel 2019 «pacifico», ha lavorato per mesi sul sistema di comunicazione Telegram per costruire un’opposizione alle scelte politiche della maggioranza. Insieme al movimento Koshe Partiyasy, a inizio giugno ha organizzato dei sit-in per chiedere libertà di espressione e libertà per i detenuti politici.

«Con la fine del lockdown abbiamo stabilito per ogni sabato delle manifestazioni pacifiche in decine di città per far sentire la voce. Molti di noi sono stati incarcerati subito o presi nelle loro abitazioni», spiega ancora Zhanay, portavoce di Qaharman Human Rights Protection Foundation e vittima di diverse detenzioni amministrative e sanzioni pecuniarie.

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Foto tratta dall’account Twitter @NotExtremistsFoto tratta dall’account Twitter @NotExtremists

Kazakistan e nuovo coronavirus: tornano lockdown e proteste

Per rispondere ai sabati in piazza il regime ha imposto di nuovo il lockdown nel finesettimana ed esacerbato le multe contro chi scende in strada per manifestare. Oltre 200 attivisti in pochi giorni sono stati fermati e trattenuti fino al pagamento di cauzioni.

Le proteste nascono anche dalla necessità di tenere alta l’attenzione su tre attivisti morti tra febbraio e maggio. Il 25 febbraio è stato trovato in cella senza vita Dulat Agadil, attivista del Dck arrestato il giorno prima. Un video ha ripreso il corpo in obitorio, segnato da evidenti tumefazioni. Amanbike Khairolla il 28 marzo è stata arrestata e ritrovata morta in cella il giorno dopo. Serik Orazov, attivista di 68 anni, è morto d’infarto il 15 maggio dopo esser stato schiacciato alla schiena da un poliziotto durante il suo arresto.

La mappa del Kazakistan (capitale Astana)

La situazione in Kazakistan e le risposte dell’Europa

Fulvio Martusciello, presidente della delegazione del parlamento europeo per i rapporti tra Ue e Kazakistan, ha più volte espresso solidarietà e riconoscenza al presidente per aver affrontato con rigore e responsabilità la situazione. E sono stati stanziati 3 milioni di euro dal parlamento europeo per aiutare il paese a riemergere dalla pandemia.

«Questi soldi, stanziati da 12 paesi europei, sono aiuti umanitari per un paese che in realtà non è povero, anzi. Siamo produttori di petrolio e ricchezze pari a Dubai, ma i nostri soldi scompaiono nei conti esteri della famiglia del presidente», dice a Osservatorio Diritti Bota Jardemalie, avvocatessa e rifugiata politica in Belgio per il suo ruolo di attivista e sorella del prigioniero politico rilasciato a dicembre Iskander Yerimbetov.

Kazakistan e diritti umani: le richieste degli attivisti

Le azioni che gli attivisti domandano di fare al parlamento europeo, oltre alle condanne, sono di tipo economico. «I paesi europei devono adottare sistemi di congelamento di beni patrimoniali e statali di tutti quei paesi dittatoriali come il Kazakistan per ostacolare le violenze contro dissidenti e oppositori», sostiene Paola Gaffurini.

L’esponente di Open Dialogue nel report sui paesi antidemocratici e il Covid-19 propone l’adozione del Magnitsky Act, uno strumento nato dopo la morte dell’avvocato russo Sergei Magnitsky che denunciò fino alla sua morte nel 2009 in un carcere russo le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni.

«La politica europea deve esportare diritti umani per tutti i paesi, coinvolgendo e assistendo i civili che si spendono per difenderli nei loro paesi. In Kazakistan ho conosciuto donne forti che dobbiamo aiutare e rafforzare con scelte politiche», denuncia con forza Roberto Rampi, parlamentare del Partito Democratico che come membro dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha visitato il paese in una missione a fine 2019.

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