Carbone in Sudafrica: l’Europa finanzia miniere ed esportazione
Le agenzie di credito all’esportazione di Germania, Francia e Svezia hanno appoggiato economicamente l’espansione dell’industria del carbone in Sudafrica, condannando il paese a decenni di dipendenza dal combustibile fossile. E contribuendo così alla crisi climatica
Germania, Francia e Svezia sostengono la crescita del carbone in Sudafrica. Con il risultato di favorire danni all’ambiente e violazioni dei diritti umani: insicurezza alimentare, scarso accesso all’acqua potabile e povertà generalizzata, soprattutto per donne e bambini.
Lo denuncia la ong Swedwatch nel suo ultimo report, Up in Smoke: diritti umani e impatti ambientali dei crediti all’esportazione per il carbone (scarica il pdf).
Il ruolo delle Agenzie di credito all’esportazione
Secondo Swedwatch gli investimenti esteri continuano a sostenere il mantenimento e l’espansione dell’industria del carbone, soprattutto in quei Paesi che ne sono già strettamente dipendenti.
«Questo sostegno è in parte facilitato e garantito dalle agenzie di credito all’esportazione (Eca)», precisa lo studio. Le Eca sono istituzioni statali, o enti semi governativi sostenuti dai vari Stati, che svolgono attività di intermediazione tra i governi nazionali e le imprese esportatrici.
«Dal 2007, le Eca e le banche di esportazione sostenute da Germania, Svezia e Francia sono state importanti attori finanziari nel settore carbonifero sudafricano garantendo i crediti all’esportazione e fornendo macchinari, know-how e attrezzature».
Leggi anche:
• Pfas: in Veneto l’acqua contaminata fa temere per la salute
• Pfas, il veleno nel sangue: cosa sono, acqua contaminata e danni alla salute
Danni del carbone in Sudafrica: miniere e inquinamento
L’analisi si concentra in particolare sul Sudafrica. «Un paese che ha registrato un riscaldamento doppio rispetto alla media globale, dove le centrali elettriche alimentate dal carbone rappresentano circa la metà delle emissioni totali».
Lo studio documenta anche le dure condizioni di lavoro alle quali sono sottoposti i lavoratori del settore carbonifero. Molti di coloro che vivono nelle vicinanze di miniere di carbone e di centrali elettriche vengono, infatti, colpiti più facilmente da fenomeni come insicurezza alimentare e fisica, inquinamento dei terreni agricoli e sfruttamento sessuale, soprattutto per quanto riguarda donne e bambini, oltre a un grave inquinamento atmosferico.
«Si stima che il numero di morti legate al carbone nei distretti carbonieri del Sudafrica sia di oltre 2.000 ogni anno», si legge nel report.
Leggi anche:
• Carbone, in Germania villaggi distrutti per fare spazio alla miniera
• Inquinamento da carbone: +49% mortalità in 12 anni vicino alla centrale di Vado
Economia Sudafrica: il ruolo dell’industria di carbone
Il report esamina il ruolo delle banche controllate dagli stati e delle Eca, le agenzie di credito all’esportazione (Export Credit Agency) nell’industria carboniera del Sudafrica. In particolare, esamina le Eca di Germania, Svezia e Francia, che avrebbero fornito importanti crediti all’esportazione del carbone del Sudafrica, contribuendo così a bloccare il Paese nella dipendenza dal carbone per i decenni a venire.
Stando ai dati contenuti nello studio, oltre il 90% del carbone consumato in Africa proviene dal Sudafrica, paese che ogni anno produce oltre 250 milioni di tonnellate di carbone e si colloca tra i primi cinque esportatori di carbone al mondo. A causa della sua dipendenza dal carbone, il Sud Africa è anche il 14° più grande emettitore di gas serra al mondo.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Centrali a carbone e miniere in Sudafrica
La maggior parte delle 1.600 miniere di carbone e delle centrali elettriche a carbone del Sudafrica si trovano nelle province settentrionali di Limpopo e Mpumalanga e sono gestite dalla società elettrica statale Eskom.
Ed è proprio nel distretto di Mpumalanga, sede di alcune delle centrali elettriche a carbone più inquinanti del mondo, che è stata condotta la ricerca. Durante il 2019 e il 2020, è stata analizzata l’entità dei crediti e delle garanzie fornite da Germania, Svezia e Francia per l’esportazione di attrezzature destinate all’industria carboniera africana tra il 2014 e il 2019. I difensori dei diritti umani e dell’ambiente, i membri della comunità e gli esperti locali intervistati hanno espresso tutti gravi preoccupazioni per gli effetti del settore carbonifero su salute e condizioni di vita. Gli impatti segnalati includevano anche l’insorgenza di importanti malattie respiratorie.
Carbone in Sudafrica: la Germania lo sostiene ancora
La Francia è stato il primo dei Paesi coinvolti in questo studio a introdurre, nel 2015, il divieto per tutti i crediti all’esportazione del carbone. «La decisione è stata importante non solo per il suo potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 ma anche in termini di influenza positiva sulle altre Eca europee», precisa il report. Da allora, anche Svezia e Germania hanno compiuto passi in avanti verso una riduzione del sostegno a questo settore energetico. Nel dicembre 2019, il governo svedese ha dichiarato che terminerà tutti i crediti all’esportazione per i combustibili fossili entro il 31 dicembre 2022. Da quel momento le due Eca nazionali, Ekn e Sek, hanno dichiarato che cesseranno i crediti al carbone già entro la fine del 2020.
«Dei tre sistemi di credito all’esportazione esaminati in questo studio, la Germania è stato, attraverso significativi crediti all’esportazione, il più grande finanziatore dell’industria del carbone tra il 2014 e il 2019 – continua il report – e anche se i crediti all’esportazione dell’Eca Euler Hermes sono diminuiti negli ultimi anni, rimangono consistenti». A differenza di paesi come Francia, Stati Uniti e Regno Unito, la Germania non ha ancora vietato i crediti all’esportazione per l’industria del carbone.
Leggi anche:
• Gasdotto Tap: i rischi per ambiente e popolazione corrono lungo il tracciato
• Canada: l’oleodotto Trans Mountain minaccia i popoli indigeni
Combustibili fossili: come invertire la rotta
Ogni anno i Paesi del G20 destinano in media 77 miliardi di dollari al settore dei combustibili fossili, più del triplo dei finanziamenti destinati alle energie rinnovabili. Dati che emergono chiaramente dal dossier “Still digging: i governi del G20 continuano a finanziare una crisi climatica”, pubblicato a maggio dalle organizzazioni non governative Oil Change International e Friends of the Earth United States. Questi dati dimostrano come gli sforzi globali per eliminare gradualmente il carbone come fonte di energia siano ancora insufficienti.
«La panoramica delle Eca nella presente relazione dimostra una sostanziale mancanza di trasparenza in relazione ai crediti all’esportazione, alle garanzie, alle assicurazioni e adaltri mezzi di supporto all’esportazione. Le ragioni di questa segretezza potrebbero non essere sempre giustificabili».
Attualmente spetta infatti a ogni Corte dei conti europea esaminare gli effetti ambientali e sociali dei rispettivi crediti all’esportazione. Questa procedura impedisce la supervisione da parte di attori esterni e rappresenta, secondo Swedwatch, un ostacolo all’individuazione di responsabilità in un’area altamente rilevante per i diritti umani.