Elezioni Bielorussia: il fragile equilibrio di Lukashenko tra brogli, Ue e Russia
A più di un mese dalle elezioni in Bielorussia l’Unione europea e il governo di Mosca adottano politiche e strategie differenti per affrontare l'ultimo dittatore d'Europa, Aljaksandr Lukashenko
di Margherita Forni, Serena Zanirato, Elisabetta Zanoni
Il 23 settembre si è svolta a Minsk, senza alcun preavviso, la cerimonia di insediamento di Aljaksandr Lukashenko quale presidente della Bielorussia, che ha giurato per il sesto mandato.
L’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Javier Borrell, ha sottolineato in una nota che il giuramento di Lukashenko «manca di qualsiasi legittimazione democratica».
Le elezioni svoltesi il 9 agosto 2020 in Bielorussia «non rispettano gli standard internazionali richiesti da uno stato membro dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce)». Le elezioni non sono state «né libere, né eque», così emerge dal sito ufficiale del Consiglio europeo.
La risposta dell’Ue alle elezioni presidenziali in Bielorussia
Molteplici ma univoche sono state le reazioni dei diversi leader europei ai risultati delle scorse elezioni e che hanno (nuovamente) visto vincitore “l’ultimo dittatore d’Europa”, Lukashenko.
Il 14 agosto si è tenuta una video conferenza tra i 27 ministri degli Affari esteri dei paesi dell’Unione europea (Ue) che hanno chiaramente invitato le autorità bielorusse a fermare la violenza sproporzionata e inaccettabile contro i manifestanti pacifici e a rilasciare i detenuti.
In linea con queste prime reazioni, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha convocato una sessione straordinaria per discutere l’attuale situazione in Bielorussia. A seguito della seduta del 19 agosto, che ha visto la presenza dei 27 capi di stato e di governo dei paesi membri, il presidente ha affermato che «l’Ue non riconosce i risultati elettorali presentati dalle autorità bielorusse». Inoltre, i leader europei hanno fermamente condannato le violenze contro i manifestanti pacifici ed hanno espresso solidarietà con il popolo bielorusso.
La solidarietà è stata anche espressa dalla presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, che ha dichiarato che l’Ue avrebbe stanziato 53 milioni di euro per sostenere il popolo bielorusso, di cui 2 milioni per assistere le vittime della violenza di Stato e 1 milione per sostenere i media indipendenti; il restante sarà devoluto alla nazione per far fronte all’emergenza di Covid-19. La presidente ha poi affermato l’importanza di destinare l’aiuto economico non alle istituzioni, quanto alla società civile e ai gruppi più vulnerabili.
Leggi anche:
• Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: ignorate quattro sentenze su dieci
• Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria
Misure restrittive per responsabili di brogli e violenze negli scontri
Come affermato dal presidente del Consiglio europeo al termine del vertice straordinario del 19 agosto, «l’Ue imporrà presto sanzioni contro un importante numero di persone responsabili di violenze, repressioni e frodi elettorali». Si tratterà di misure individuali e mirate, che non avranno ricadute sui cittadini.
La riunione informale Gymnich tra i ministri degli Esteri dei 27 Paesi Membri,tenuta il 27 e 28 agosto, si è conclusa con un accordo per stilare un elenco di funzionari di alto livello che si ritiene abbiano svolto un ruolo chiave nelle frodi commesse durante le elezioni del 9 agosto e nelle repressioni violente delle successive proteste.
Tra queste, la sparizione di una delle leader dell’opposizione, Maria Kolesnikova, avvenuta il 7 settembre, oggi detenuta in una prigione di Minsk con l’accusa di tentato colpo di stato.
Le sanzioni adottate in autonomia dall’Ue, in assenza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sono misure restrittive che hanno lo scopo di spingere Stati terzi a mutare comportamenti o atteggiamenti contrari ai valori fondanti dell’Ue, quali democrazia e Stato di diritto, e codificati all’art. 2 del Trattato unico europeo (Tue). Oltre alla loro tutela, l’Ue ha l’obbligo di promuoverli nel resto del mondo, così come previsto all’art. 24 Tue.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Una lunga storia: le sanzioni Ue non sono cominciate con le elezioni truccate del 2020
Le prime sanzioni introdotte dall’Ue nei confronti della Bielorussia risalgono al 2004 e sono connesse alle sparizioni di Yuri Zakharenko, Viktor Gonchar, Anatoly Krasovski e Dmitri Zavadski, avvenute nel 1999 e nel 2000.
Successivamente, sono state applicate ulteriori sanzioni connesse alle violazioni della normativa internazionale in materia elettorale, dei diritti umani, e a seguito di atti violenti di repressione della società civile e dell’opposizione democratica. Nel 2011, tramite una decisione del Consiglio dell’Unione 2011/357/Pesc (Politica estera e di sicurezza comune), è stato imposto l’embargo sulle armi.
Il 15 febbraio 2016, in l’assenza di violenze connesse alle elezioni presidenziali e parlamentari del 2015 e 2016, e con il rilascio di sei prigionieri politici, l’Ue ha abrogato le sanzioni contro il presidente, 169 funzionari bielorussi e tre società. Ad influenzare tale decisione, i positivi passi compiuti dal Paese, anche in termini di pena di morte. Erano, infatti, quasi due anni che Minsk non emetteva una sentenze capitale.
Le nuove misure restrittive che l’Ue è intenzionata a imporre andrebbero, quindi, a sommarsi a quelle tuttora in vigore: l’embargo sulle armi, incluso il divieto di esportare beni utilizzabili a fini di repressione interna, e il congelamento dei beni e il divieto di viaggio nei confronti delle quattro persone implicate nelle sparizioni irrisolte del 1999 e del 2000.
Leggi anche:
• Diritto umanitario di guerra e diritti umani: ecco come possono convivere
• Azerbaijan: gli osservatori denunciano «brogli» alle ultime elezioni
Consiglio d’Europa – Bielorussia: un’integrazione difficile
La Bielorussia è l’unico Stato europeo in senso lato non parte del Consiglio d’Europa (CdE). Questo è dovuto, per lo più, all’applicazione della pena capitale nel Paese – inaccettabile per un’organizzazione nata allo scopo di proteggere i diritti umani.
Ciononostante, il CdE ha siglato, nel luglio 2019, insieme alle autorità bielorusse, un Action Plan per la Bielorussia 2019-2021. Il tentativo di cooperazione con la Bielorussia si struttura sulla base dei tre pilastri principali dell’organizzazione, ossia diritti umani, democrazia e stato di diritto. Lo scopo è quello di garantire un approccio inclusivo e strutturato.
Il post-elezioni: la lotta per lo spazio post-sovietico
A più di un mese di distanza dalle elezioni in Bielorussia e dalle successive proteste tuttora in corso, il governo russo non si è ancora espresso sulla politica da perseguire.
Tuttavia, la posizione strategica della Bielorussia, collocata sull’asse che unisce e separa l’Ue dalla Russia, rende molto rilevante per Mosca come per l’occidente, la questione della successione del presidente Lukashenko. Infatti, come dichiarato il 19 agosto dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov: «Si sta parlando di una questione di geopolitica, della lotta per il controllo dello spazio post-sovietico».
Russia e Bielorussia sono due paesi legati da storia, cultura, relazioni diplomatiche amichevoli e da trattati commerciali e militari. Pertanto, la conversazione telefonica tenutasi il 16 agosto tra Lukashenko e il presidente russo Vladimir Putin, che assicurava la «necessaria assistenza» al governo bielorusso, ha allarmato diversi paesi occidentali, preoccupati per una possibile invasione russa del paese.
Dopo l’intervento militare russo nella crisi ucraina del 2014, sfociata con l’annessione della Crimea e il deterioramento dei rapporti tra Mosca e Kiev, il Cremlino pare intenzionato ad ostacolare l’insorgere di un nuovo paese filo-europeo e filo-Nato nei suoi confini occidentali e preservare, così, un’alleanza affidabile e un buon rapporto di vicinato. Non è ancora chiaro, però, come la Russia voglia procedere.
Leggi anche:
• Grecia-Turchia: tensioni al confine mettono a rischio i diritti dei migranti
• La Dichiarazione universale dei diritti umani dal 1948 ai nostri giorni
Lukashenko – Putin: il deterioramento dei rapporti
Sebbene l’ipotesi di un intervento militare in Bielorussia abbia già trovato sostenitori influenti in Russia, il deterioramento dei rapporti tra i due paesi sta spingendo Mosca a valutare altre soluzioni.
In aggiunta, intervenire a favore di Lukashenko potrebbero essere controproducente per la Russia, che si renderebbe complice di un regime ormai in crisi, inimicandosi il popolo bielorusso e rischiando, così, un avvicinamento del paese all’Europa.
Il presidente Lukashenko, in carica dal 1994, era stato un grande sostenitore del restauro dell’Unione Sovietica durante il suo primo decennio di mandato Tuttavia, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo 2014, Lukashenko ha cominciato a rimarcare con forza l’autonomia della Bielorussia da Mosca.
Inoltre, undici giorni prima del voto, i servizi segreti bielorussi hanno arrestato 33 presunti mercenari russi della compagnia militare Wagner, accusati di essere stati mandati a Minsk per seminare disordini in occasione delle presidenziali. Il Cremlino ha ritenuto che si trattasse di una mossa del presidente per inasprire la retorica della sovranità nazionale bielorussa e per ottenere l’appoggio dei paesi occidentali attraverso una campagna anti-russa.
A quel punto, come scrive il direttore del Carnegie Moscow Center, Dmitrij Trenin, «Mosca ha perso la scarsa fiducia residua nei confronti di Lukashenko».
Russia: opzioni rimaste dopo le elezioni in Bielorussia
Ad oggi, l’opzione più praticabile per il governo russo sembra quella di guidare una transizione politica che deponga Lukashenko e che lo sostituisca con una figura che goda della fiducia di Mosca, così da evitare la formazione di un governo filo-occidentale.
D’altra parte, lo scenario che potrebbe prospettarsi in Bielorussia è più simile alla cosiddetta “rivoluzione di velluto” avvenuta in Armenia nel 2018, che alla crisi ucraina del 2014, durante la quale uno Stato post-sovietico ha rovesciato il regime sostituendolo con un leader sostenitore di politiche e posizioni filo-russe.
A differenza del dissenso espresso in Ucraina, infatti, le proteste in Bielorussia non hanno mostrato forti sentimenti nazionalisti anti-russi, quanto piuttosto la richiesta a gran voce della fine del regime di Lukashenko.