Venezuela, ecco cosa sta succedendo nel Paese in crisi

In Venezuela la gente si mangia pure gli animali dello zoo per la fame. L'inflazione oscilla tra il 700 e il 1100 per cento. Mancano medicine, benzina, tutto. Un paese allo sbando nel racconto di Rita, una donna venezuelana. Che dice: «Sembra Auschwitz: anziani pelle e ossa»

«Il problema del Venezuela è la fame, una fame che fa morire la gente. Mi è capitato tante volte di vedere bambini che cercano nella spazzatura e lottano con i cani per prendere gli scarti di cibo. I cani e i gatti per strada sono sempre meno, chi non sa come sopravvivere li usa per sfamarsi. La gente è arrivata a mangiarsi anche gli animali dello zoo di Caracas».

Rita (il nome è di fantasia) ha 62 anni ed è arrivata da Caracas il giorno di Natale per venire a trovare sua figlia che vive in Italia. Seduta al tavolino del bar di fronte alla stazione di Bologna, sorride davanti a un cappuccino e una brioche alla crema: «Se mi vedevi qualche settimana fa ero più smunta, adesso ho ripreso peso. I venezuelani hanno perso in media dieci chili ognuno».

Da un punto di vista politico, il Paese potrebbe affrontare presto una novità importante. Nelle scorse ore, infatti, l’Assemblea Nazionale Costituente ha deciso che entro aprile ci saranno nuove elezioni presidenziali. Formalmente manca ancora la firma del presidente, Nicolás Maduro, che dovrebbe comunque arrivare a breve.

A Caracas economia in crisi da ormai quattro anni

Dal 2014 il Venezuela vive una crisi economica che ha messo in ginocchio il paese. L’inflazione oscilla tra il 700 e il 1.100% annuo e il bolivar, la moneta nazionale, è ormai carta straccia. Alla base di questa crisi è stata la caduta del prezzo del petrolio, risorsa su cui il Venezuela basa il 95% della sua economia. L’esportazione del greggio forniva le entrate necessarie per mantenere i costi dei servizi sociali messi in piedi ai tempi del governo socialista di Hugo Chavez.

«Oggi in Venezuela manca tutto: cibo, medicine, materie prime. Nei supermercati ci si aggira fra distese di scaffali vuoti, la gente si mette in fila all’alba per trovare qualcosa nei negozi, ma spesso è inutile».

Secondo le stime della Caritas, nel paese ci sono circa 280.000 bambini denutriti e un bambino su tre presenta danni fisici e mentali irreversibili. Il governo incolpa le potenze occidentali per la crisi in corso e ha deciso di non accettare aiuti umanitari.

«Il Venezuela sembra Auschwitz: anziani pelle e ossa»

Rita prende 6 dollari al mese di pensione. Per sopravvivere è aiutata dai figli emigrati all’estero: «Senza di loro non ce la farei. Per comprare un litro di latte avrei bisogno di 5 pensioni, una confezione da 30 uova mi costa una pensione e mezzo. Tutto questo se ho la fortuna di trovarli, perché la maggior parte delle volte il cibo non c’è. Per fortuna, noi abbiamo un piccolo orto dietro casa, ma ormai non si trovano più semi né prodotti contro gli insetti». E infatti tanta gente ha deciso di lasciare il Paese.

Nelle farmacie è disponibile solo il 38% delle medicine di base. «Il peggio è che, con questa povertà, le cure sono inutili. A cosa servono le medicine, se nessuno ha da mangiare?». Rita era un’infermiera e ora fa la volontaria in due case di cura per anziani.

«Sembra di essere ad Auschwitz. Gli anziani ormai sono pelle e ossa, mangiano solo vellutata di zucca allungata con l’acqua. Ogni settimana muoiono tre, quattro persone, a volte cinque. E non muoiono di malattia, muoiono di fame».

Nel paese del petrolio manca pure la benzina

Rita quando racconta non fa pause. Un torrente di parole sgorga dalla sua bocca, inarrestabile, come se le cose da dire fossero troppe e il tempo troppo poco. «Sembra paradossale, ma un altro problema è la benzina: nel paese del petrolio siamo rimasti senza. Solo a Caracas si trovano ancora distributori, ma si possono fare anche due giorni di coda per un pieno. Gli autobus sono stati dimezzati e la mattina la gente si spintona per riuscire a salire e andare al lavoro».

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Manifestazioni in Venezuela

Rita ha una piccola agenda dove si è appuntata alcune cose da dirmi, ma il suo racconto è così concitato che ben presto se ne dimentica. «Pensa che la mia patente è scaduta da mesi, ma gli uffici non l’hanno ancora rinnovata perché non hanno neanche la plastica per rifarmi la tessera. E anche la carta è finita, così oggi è nato un mercato nero di fogli scritti solo da una parte».

Crisi Venezuela: il presidente Maduro e la repressione

La crisi economica e sociale è legata a una crisi politica acuta. A marzo dell’anno scorso, il governo di Nicolás Maduro ha esautorato il parlamento controllato dalle opposizioni. Il 16 luglio, circa 7 milioni di venezuelani hanno votato in un referendum simbolico contro il presidente, ma i risultati sono stati ignorati.

Violentissime proteste hanno provocato più di cento morti e centinaia di feriti e arresti. «Non sono state morti accidentali, è stato un massacro selezionato: i cadaveri avevano un colpo di pistola in mezzo agli occhi».

Rita ha partecipato alle manifestazioni dello scorso anno ed è rimasta ferita lei stessa: «Ci hanno lanciato i lacrimogeni contro il petto, sui piedi, in faccia. Una volta sono caduta per terra e ho pensato: basta, più di così non ce la faccio. Per fortuna poi sono arrivati gli studenti di medicina dell’università che mi hanno soccorso, ma l’esercito ha lanciato lacrimogeni anche dentro le ambulanze».

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Manifestazioni in Venezuela

Fa una pausa, sospira, guarda da un’altra parte come se cercasse le parole. «Quando ero giovane ero una militante, credevo tantissimo nel modello socialista, non avrei mai pensato che quello stesso modello ci avrebbe portato fin qui».

Per disperdere le manifestazioni, oltre all’esercito agiscono i colectivos, gruppi paramilitari filogovernativi che si sono resi responsabili di molte violenze. «I colectivos si comportano come se fossero l’esercito personale di Maduro. Sono composti da persone senza scrupoli, ex delinquenti che si credono dio solo perché tengono in mano un’arma».

Secondo il New York Times, la situazione peggiorerà ancora nel corso nel 2018: l’inflazione è destinata ad aumentare e il governo difficilmente chiederà aiuti internazionali o accetterà di farsi da parte. Nel frattempo, sono sempre più gli osservatori che chiedono l’intervento della comunità internazionale.

Situazione a rischio anarchia in Paese «senza legge»

Nonostante tutto, a marzo Rita tornerà a Caracas. Sa che potrebbe chiedere asilo politico in Italia, ma non è quello che vuole. «Là c’è la mia casa. Non voglio fare l’eroe, il fatto è che qui morirei di ansia e di tristezza».

La cosa che teme di trovare al suo ritorno è la totale anarchia. Dopo le razzie nei negozi, da qualche settimana sono infatti iniziati i saccheggi nelle case. «Ormai tutte le scorte rimaste si trovano nelle case della gente, che appena può compra grandi quantità di beni da conservare anche per il futuro. Ad esempio, io ho ancora la carta igienica comprata 5 anni fa, oggi non se ne trova più».

Ma la cosa che la preoccupa di più sono le medicine. Ha una malattia cronica e ha bisogno di fare una cura, per questo in Italia ha comprato una grande quantità di medicinali da portare a Caracas, sperando che alla dogana non glieli sequestrino. «Le medicine hanno un grande valore nel mercato nero e i poliziotti fanno quello che gli pare, ormai non c’è più legge».

Rita è molto determinata a voler tornare in Venezuela, contrariamente a molti connazionali che stanno fuggendo in Brasile. E se sa benissimo cosa la aspetta: «La corrente a volte manca, si sono rubati anche i cavi elettrici, io non ho più il telefono da anni. L’acqua nel sistema idrico arriva solo una volta alla settimana, abbiamo due cisterne per conservarla. E poi è un’acqua schifosa, nera, va filtrata e poi bollita. Eppure non posso restarmene qui, a Caracas c’è mio marito, ci sono i miei connazionali. Ho lottato tutta la vita per il mio paese, ora non starò qui con le braccia incrociate».

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