Dal Venezuela all’Italia per curare il figlio: la battaglia di Angela
Questa è la storia di Angela, una donna che di fronte al caos politico in cui si trova il Venezuela di Maduro ha deciso di lasciare il paese, abbandonando i suoi cari e una vita tranquilla alla ricerca di cure per suo figlio
Questa è la storia di Angela (tutti i nomi sono di fantasia, mentre i contenuti rispecchiano fatti realmente accaduti). Ma poteva essere il racconto di Maria, Carolina o Monica. Storie di donne venezuelane, di madri, che di fronte al caos politico e sociale in cui si trova il Venezuela hanno deciso di lasciare il paese, abbandonando i loro cari e lasciandosi una vita alle spalle.
Non è una decisione facile, presa al volo, ma è la loro unica via di uscita per cercare di salvare chi non avrebbe avuto opportunità di cura se fosse rimasto nel paese del presidente Maduro. Lasciare ogni certezza per diventare uno dei tanti richiedenti asilo in Italia.
Da Caracas a Padova: il primo contatto con l’Italia
Angela è una donna solare, madre di Carlo e Antonio, e lavorava come infermiera in un’ospedale di Caracas. Per dirla in un altro modo, apparteneva alla classe media venezuelana.
Il suo primo contatto con l’ Italia risale al 2014. Il piccolo Antonio stava male, gli avevano diagnosticato un tumore. Per curarsi aveva bisogno di un trapianto di midollo osseo. Attivate le conoscenze e tutti i canali possibili, Angela riuscì tramite una fondazione a portare il figlio all’ospedale di Padova, dove fu operato.
Venezuela: ospedale della capitale senza medicine
Circa otto mesi dopo l’operazione, Angela e il figlio ritornarono in Venezuela. Ma dopo quasi un anno in Italia, la vita nel loro paese era diventata insostenibile. Antonio aveva bisogno di cure, di prendere le sue medicine, ma a Caracas erano finite, così come in quasi tutto il paese.
Angela e il marito dovettero affrontare diverse volte un lungo viaggio fino in Colombia per comprare le medicine di Antonio. Finché un giorno furono costretti a ricoverarlo. Angela, grazie al suo lavoro di infermiera, riuscì a portare il figlio nel migliore ospedale di Caracas.
Tuttavia, se vivi in un paese sull’orlo del collasso, essere la migliore struttura non significa nulla. Anche lì, infatti, mancava tutto ed era un ambiente sporco. Si vedevano montagne di scarafaggi che camminavano per le stanze e formavano un esercito di insetti, tanto da obbligare il marito di Angela a portarsi da casa la varechina per disinfettare la camera dove si trovava il loro bambino.
Dall’America Latina all’Italia: di nuovo in viaggio
In mezzo a questo scenario, che ricorda la guerra che ufficialmente non esiste, Antonio fu costretto a fare un altro prelievo di midollo alla spina dorsale. Un prelievo fatto senza anestesia, troppo per il fragile corpo di un bambino di 10 anni.
In quell’occasione si ruppe la sottile linea che separava la sopportazione dalla disperazione. E così Angela, non potendo più vedere le lacrime di Antonio, capì che se fosse rimasta nel suo Venezuela Antonio non ce l’avrebbe fatta. E per la seconda volta partì in direzione Italia, portando i bambini con sé. Mentre il marito rimase per curare i nonni. Lei lasciò il paese sudamericano senza sapere quando, né se, sarebbe tornata.
L’ospitalità ad Arquà Polesine (Rovigo)
Angela e i suoi figli furono ospitati ad Arquà Polesine, un piccolo paese in provincia di Rovigo, in Veneto, da Marco. Si erano conosciuti nel 2014 nell’ospedale di Padova, dove il figlio di Marco condivideva la stanza con Antonio.
Il figlio dell’uomo italiano non era sopravvissuto alla malattia, e così la sofferenza aveva avvicinato i due genitori. Tanto che Marco aveva firmato una lettera di ospitalità in cui dichiarava che Angela e i bimbi erano a casa sua.
Una settimana di ricovero in pediatria a 10 mila euro
Tutto sembrava essere cominciato per il verso giusto, finché Antonio venne punto da un’ape e portato al pronto soccorso dell’ospedale di Rovigo a causa delle reazioni avute: pus, febbre e gonfiore in faccia.
Dopo le prime cure in pronto soccorso, il personale ospedaliero avvisò Angela che suo figlio aveva bisogno di essere ricoverato per sei giorni. E la spesa prevista era di 10 mila euro.
Niente assistenza per il bambino “irregolare”
Per Chiara Parolin, avvocato di Angela, «all’ospedale hanno qualificato Antonio come irregolare negando la dovuta assistenza». E per tutelarsi hanno fatto firmare un documento in cui Angela dichiarava di rifiutare di eseguire le visite infettivologica e oncoematologica.
Eppure la legge italiana è chiara: un minore anche irregolare ha diritto al ricovero ospedaliero. Lui invece venne rimandato a casa, tanto che la terapia antibiotica fu somministrata dalla mamma. In quel momento Angela capì che era arrivata l’ora di fare richiesta di protezione internazionale.
Donna vittima di violenze psicologiche e umiliazioni
Nel frattempo le dinamiche nella casa di Marco cominciarono a cambiare. Anche se si conoscevano ed erano legati da un’esperiena di dolore, erano persone diverse. E pare che Marco nascondesse qualcosa.
Angela scoprì di essere la terza venezuelana ospitata in quella casa. Le violenze psicologiche e le umiliazioni entrarono nella sua vita quotidiana. Marco voleva una serva, una donna per cucinare, lavare i panni e stirare. Angela non sapeva dove andare e non aveva un soldo in tasca. Loro campavano con lo stipendio di Marco. Un circolo vizioso complicato da cui uscire.
Alla ricerca d’aiuto: Caritas, prefettura, servizi sociali
A questo punto Angela cominciò a cercare una casa, rivolgendosi alla Caritas, alla prefettura (dove chiese di essere messa sotto un programma del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e ai servizi sociali del Comune in cui risiedeva. E finalmente trovò un avvocato.
«Arrivò da me soprattutto perché il 31 ottobre scadeva la dichiarazione di ospitalità di Marco e il 7 novembre scadevano anche le loro tessere sanitarie».
L’esposto in procura e l’accoglienza in uno Sprar
L’avvocata chiamò quindi il servizio sociale del Comune dove viveva e fece un esposto in procura, presso il Tribunale dei minori, denunciando l’inerzia delle istituzioni di fronte al caso. Ma il tempo passava senza che le risposte arrivassero.
Alla fine Parolin decise di chiamare la segretaria del prefetto di Rovigo. E appena due giorni dopo fu contattata dal responsabile dell’ufficio Immigrazione, che la avvisò che il prefetto aveva fatto richiesta di collocamento del minore in uno Sprar.
Dopo tutto questo, così, la famiglia venezuelana è entrata nella rete di protezione ed è andata a vivere a Trieste, in una struttura speciale per bambini, visto che ad Arquà Polesine non c’era posto. Anche se Angela è in attesa del visto, finalmente può vivere tranquilla, dato che suo figlio Antonio sarà curato.
Crisi umanitaria: la situazione nel Venezuela di Maduro
La fuga di decine di migliaia di persone dal Venezuela per la grave crisi umanitaria in corso era stata denunciata ad aprile scorso dall’organizzazione non governativa Human Rights Watch, che aveva già pubblicato a ottobre del 2016 un rapporto sulla scarsità di cibo e medicine nel paese, le cui foto sono state pubblicate in questa pagina.
Al luglio scorso anche l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha presentato il conto. Soltanto nei primi sei mesi del 2017, più di 52 mila persone provenienti da quel Paese hanno fatto richiesta di asilo a livello mondiale.
Lo scorso anno sono stati circa 27 mila e le principali destinazioni sono stati gli Stati Uniti (18.300), il Brasile (12.960), l’Argentina (11.735), la Spagna (4.300), l’Uruguay (2.072) e il Messico (1.044).
«L’Italia dichiari il Venezuela uno Stato non sicuro»
Chiara ricorda come sia importante che l’Italia riconosca il Venezuela come un stato non sicuro e che venga applicato ai cittadini venezuelani il principio di non-refoulement, cioè, che non vengano ricacciati indietro. «Il caso di Angela potrebbe aprire uno spiraglio importante per tutti gli altri venezuelani che chiedono protezione al nostro paese».
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