Abusi, processi di piazza, suicidi
Nei giorni scorsi un uomo, accusato di avere abusato di una figlia minorenne, si è suicidato mediante impiccagione. Forse un finale già scritto. Il genitore, agente della polizia penitenziaria, con un passato tormentato, è stato posto agli arresti domiciliari, dotato di braccialetto elettronico e lasciato da solo a casa. In balia dei suoi fantasmi, delle sue paure e del pressing disumano messo in atto dalla stampa, nazionale e locale.
In un tema scolastico, orientato scientemente dal dirigente dell’istituto e da un’insegnante, che già avevano intuito qualcosa, la ragazza era riuscita in qualche modo a fare comprendere ciò che le era accaduto. Questo è l’aspetto positivo della tristissima vicenda, una scuola che tiene le antenne vigili.
Una storia tremenda, insopportabile, angosciante, ma il presunto colpevole era comunque stato individuato e recluso. Ci sarebbe stato un processo, avrebbe scontato la sua pena. L’unica che dev’essere inflitta a un reo, quella stabilita dalle leggi. Così dovrebbe funzionare in uno stato di diritto.
Poi è arrivata la stampa, l’ansia di raccontare tutto, per giorni e giorni, in prima pagina ovviamente. Un’altra condanna, peggiore della prima, e l’esito è diventato obbligato, perché se si può sopravvivere alla prigione, non si può sopravvivere al senso di colpa e alla vergogna, soprattutto se si è fragili, come verosimilmente lo era il presunto colpevole.
Un cittadino che sbaglia dev’essere indagato, processato, se colpevole condannato e poi obbligato a pagare il prezzo previsto. Sarebbe bello se il carcere servisse anche a rieducarlo e, quando necessario, curarlo. L’uomo suicidatosi certamente avrebbe beneficiato di un aiuto, soprattutto in questo momento, quello in cui tutto il mondo incombeva su di lui. Un aiuto subito, certo, magari avrebbe potuto raccontare in che condizioni è cresciuto, se esso stesso era stato abusato da piccolo.
Questo non avrebbe mai potuto giustificare le sue azioni, ma perlomeno avrebbe dato a noi, alla società, la consolazione di esserci comportati meglio di lui.
L’esito di questa tragedia familiare dice che potevamo fare di meglio.