Giornata contro la violenza sulle donne: il sistema di contrasto è inadeguato
Nella Giornata contro la violenza sulle donne 2020 istituzioni e operatori lanciano l'allarme. ActionAid sottolinea la mancanza di fondi. Di.Re., Donne in rete contro la violenza, chiede nuovi criteri per i centri antiviolenza. Mentre Istat, Polizia criminale e altri diffondono dati sulla situazione nel 2019 e 2020
Sono ormai moltissime le panchine rosse nei parchi e lungo le strade italiane, in ricordo di donne brutalmente uccise proprio in quanto donne, per mano di uomini. Sono talmente tante che il rischio è quello di non notarle più e di rendere così le vittime di femminicidio per l’ennesima volta invisibili.
Su di loro, infatti, troppo spesso il faro si accende solo oggi, 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne.
Giornata contro la violenza sulle donne: perché si è scelto come giorno il 25 novembre
Questa ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e la data è stata scelta in ricordo dell’assassinio, avvenuto il 25 novembre 1960, delle sorelle Mirabal che nella Repubblica Dominicana tentarono di contrastare il regime del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, ma vennero sequestrate da agenti del Servizio di informazione militare e stuprate, torturate e uccise.
Un episodio di violenza più che mai attuale, visto anche che secondo il rapporto Onu “Global Study on Homicide 2019” (scarica il Pdf) nel mondo si verificano mediamente circa 140 femminicidi ogni giorno, uno ogni 10 minuti.
La violenza sulle donne in Italia nel 2020: i dati della Polizia criminale
Nel nostro Paese le cose non vanno meglio. Nel primo semestre del 2020 sono infatti calati gli omicidi rispetto allo stesso periodo del 2019, ma non quelli di genere perpetuati contro le donne.
A dirlo è un report realizzato dal servizio analisi criminale della direzione della Polizia Criminale su Violenza di genere e omicidi volontari con vittime donne: il numero di assassinii volontari nei primi sei mesi del 2020 è sceso a 131, contro i 161 dello scorso anno, ma quello di donne uccise è salito da 56 a 59.
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Oltre la Giornata contro la violenza sulle donne: le mille forme di soprusi
La morte è il prezzo più alto pagato dalle donne che si trovano ad avere a che fare con violenza maschile, ma non è l’unico. I soprusi, infatti, hanno molte forme e quando si manifestano per la prima volta sono spesso quasi irriconoscibili. Anche perché, nella maggior parte dei casi, il carnefice è colui che dice di amare: un marito o un fidanzato.
Stalking e aggressioni verbali e psicologiche sono i primi campanelli d’allarme. Il controllo ossessivo del cellulare e delle frequentazioni segue a ruota, non meno grave di soprusi fisici o sessuali.
Forme di supremazia che affondano le radici in un patriarcato sistemico, che convince molti uomini di poter disporre come meglio credono di compagne, e non solo, che non possono contraddirli né lasciarli.
Pena la vendetta, che nel 2020 passa anche dal digitale, e da quel revenge porn che con un click può segnare per sempre la vita di una donna.
Difficile denunciare le violenze subite
Le donne spesso faticano a rivolgersi alle forze dell’ordine per paura di ritorsioni ulteriori, perché convinte in qualche modo di meritarsi quello che subiscono, per paura di non essere credute o perché non si sentono abbastanza tutelate dalla legge.
Il passo avanti fatto dal nostro Paese con l’approvazione della legge 69/2019, ovvero il famoso Codice Rosso, infatti, non basta. Nonostante la legge rafforzi il quadro giuridico globale, a scoraggiare la denuncia è anche la non certezza della pena, la lunghezza dei processi e l’alto numero di archiviazioni di casi, spesso dovuti alle inadempienze dei tribunali e a un sistema giuridico e burocratico che, nel suo insieme, non tutela la donna e i suoi diritti.
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Iniziative per le vittime di violenza sulle donne: centri antiviolenza e case rifugio
Quando però riescono a farsi coraggio e a denunciare, i punti di approdo sono quasi sempre Centri Antiviolenza e Case Rifugio, strutture di protezione e salvaguardia in cui le vittime sono accolte gratuitamente e segretamente insieme a eventuali figli minorenni.
Richieste d’aiuto in aumento: l’immagine che emerge dai dati Istat
Secondo l’Istat, al 31 dicembre 2018 sono 302 i Centri Antiviolenza segnalati dalle Regioni (che hanno aderito all’Intesa Stato-Regioni del 2014). Di questi, 30 hanno iniziato la loro attività nel 2018.
Nello stesso anno le donne che si sono rivolte ai Cav sono state 49.394, +13,6% rispetto al 2017.
Quelle avviate a un percorso di uscita dalla violenza sono 30.056, delle quali il 63,5% lo ha iniziato nel 2018. Il 63% di loro ha figli, minorenni nel 67,7% dei casi. Le straniere sono il 28%.
I servizi garantiti dai centri antiviolenza
I servizi più frequenti offerti dai centri sono: ascolto e accoglienza, orientamento e accompagnamento ad altri servizi della rete territoriale (96,5%), supporto legale (93,8%), supporto e consulenza psicologica (92,2%), sostegno all’autonomia (87,5%), percorso di allontanamento (84,0%) e orientamento lavorativo (80,5%).
La forma di finanziamento principale prevede un mix di fondi pubblici e privati (51,4% dei casi). Il 39,3% riceve esclusivamente finanziamenti pubblici, il 2,7% solo finanziamenti privati. In totale, i finanziamenti pubblici alimentano l’attività del 90% dei Centri antiviolenza.
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I dati 2019 diffusi in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne 2020
Proprio oggi, 25 novembre 2020, l’agenzia Di.Re., Donne in Rete contro la violenza, ha reso noti i dati dell’indagine per l’anno 2019 condotta su 93 dei suoi 103 Centri Antiviolenza. Oltre la metà (56%) ha almeno una struttura di ospitalità (nel 2018 erano 50). Circa il 91%, oltre ad accoglienza e consulenza legale, offre supporto psicologico e percorsi di orientamento al lavoro. Il 56% sostiene le donne con gruppi di auto-aiuto (65%) e consulenza genitoriale (58%).
Quasi l’80% è in grado di offrire consulenza alle donne immigrate non in regola.
Settantuno centri su 93 hanno la possibilità di beneficiare di finanziamenti pubblici regionali, il 61% comunali e il 40% provenienti dal Dpo per una media annuale rispettivamente di 38.855 euro, 39.831 euro e 15.742 euro. I finanziamenti privati costituiscono una fonte per 62 centri, ma si tratta di cifre più basse, mediamente 15.317 euro all’anno.
Nel 2019 sono state accolte complessivamente 20.432 donne con un incremento, rispetto al 2018 (19.715), di 717. Si tratta quasi sempre di italiane (solo il 26,5% straniere), il 48,5% ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni, il 33,8% è a reddito zero e il 36% può contare su un reddito sicuro (36%).
La violenza più frequente è quella psicologica, subita dal 79,5% delle vittime, seguita da quella fisica (60%), economica (35%), sessuale (15,3%) e stalking (14,7%).
L’autore è nel 79% dei casi italiano, nel 46% ha tra i 30 e i 59 anni e nel 40% ha un lavoro stabile. Quasi sempre si tratta del partner (55% dei casi) o ex partner (quasi il 20%).
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Antonella Veltri (Di.Re.): «Da rivedere i criteri minimi dei centri antiviolenza»
La presidente di Di.Re., Antonella Veltri, commenta così i risultati di questa indagine: «Ancora una volta i dati ci confermano il ruolo imprescindibile dei centri antiviolenza in quello che vorremmo chiamare “sistema antiviolenza”, ma che in Italia fatica ancora a strutturarsi in maniera organica ed efficiente. È ancora difficile per le donne chiedere aiuto, come conferma il numero leggermente in calo rispetto al 2018 di coloro che si sono rivolte a uno dei nostri centri antiviolenza per la prima volta durante l’anno 2019, passato da 15.456 a 14.431».
Cosa significano queste variazioni? Dice ancora Antonella Veltri: «Questo leggero calo può essere anche letto in un quadro complessivo che ha visto crescere l’offerta di servizi antiviolenza neutri, che offrono magari solo assistenza legale o supporto psicologico, mentre i centri antiviolenza nascono per essere spazi di supporto alle donne che le accompagnano verso la ripresa della propria vita in autonomia, dall’accoglienza telefonica all’inserimento lavorativo, nel pieno rispetto delle scelte, dei desideri e dei tempi delle donne. Questo è anche quanto dispone – per la definizione di centro antiviolenza – la Convezione di Istanbul. Per questo stiamo chiedendo da tempo, e continueremo a chiedere, la revisione dei criteri minimi per i centri antiviolenza così come definiti dall’Intesa Stato-Regioni del 2014 che sta alla base del sistema di governance dei centri antiviolenza».
Nella Giornata mondiale contro la violenza sulle donne scatta l’allarme: troppi i fondi stanziati e non liquidati
Sempre in materia di Centri Antiviolenza, ActionAid lancia l’allarme attraverso l’annuale analisi “Tra retorica e realtà – Dati e proposte sul sistema antiviolenza in Italia” (scarica il Pdf).
Al 15 ottobre 2020, le risorse ripartite dal Dipartimento Pari Opportunità (Dpo) per il biennio 2015-2016 sono state liquidate dalle Regioni per il 72%, per il 67% per quelle del 2017 e per il 39% per il 2018, ovvero circa 7,6 milioni di euro a fronte dei 19,6 stanziati.
Per l’annualità 2019, il Dpo ha ripartito alle Regioni 20 milioni da destinare al funzionamento ordinario di case rifugio e centri antiviolenza e 10 milioni per il Piano antiviolenza, ma le risorse effettivamente liquidate per l’annualità 2019 sono pari al 10 per cento.
Per quanto riguarda il 2020 è notizia del 10 novembre che la Conferenza Stato-Regioni abbia dato il via libera alla ripartizione di 28 milioni di euro da destinare ai Centri Antiviolenza, alle Case Rifugio e alle altre iniziative di competenza regionale in materia di violenza maschile contro le donne.
Dopo la firma dell’apposito decreto, la cifra si andrà ad aggiungere ai 5,5 milioni già stanziati per il finanziamento di interventi urgenti a seguito della pandemia da coronavirus, che ha inasprito ulteriormente la spirale di violenza.
Le richieste di intervento al numero gratuito d’emergenza, 1522, tra marzo e giugno 2020, infatti, se inizialmente hanno visto un calo drastico dovuto alla convivenza forzata tra vittima e carnefice che impediva qualunque denuncia, successivamente si sono impennate.