Violenza sulle donne: nel 2019 registrate 88 vittime al giorno
Oggi, 25 novembre, è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Ecco gli ultimi dati diffusi da Istat e Polizia, insieme al commento di Lella Palladino, presidente di "D.i.Re - donne in rete contro la violenza"
«La violenza maschile sulle donne è democratica». A parlare è Lella Palladino, presidente di D.i.Re – donne in rete contro la violenza, la prima associazione italiana a carattere nazionale di centri anti-violenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne. Di violenza sulle donne e discriminazione di genere se ne parla, «male – sostiene la Palladino – ma sempre di più». L’ultimo report diffuso dalla Polizia di Stato Questo non è amore, con i dati aggiornati al 2019, parla di 88 vittime ogni giorno: una donna ogni 15 minuti.
Ma a che punto siamo culturalmente? A un paradosso, sembra. «Siamo di fronte a una contraddizione: da una parte l’orologio del tempo va avanti, dall’altra parte c’è il tentativo di azzerare tutto e tornare indietro. Si pensi solo al Congresso delle famiglie di Verona. Si cede ancora e sempre di più allo stereotipo della donna fragile, dimenticando – nella narrazione della violenza – che la violenza è volano per lo sfruttamento delle donne», dice la Palladino.
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Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: un’ondata di eventi dal 25 novembre al 10 dicembre
La Giornata mondiale contro la violenza sulle donne è stata istituita dalle Nazioni Unite e si svolge ogni anno il 25 novembre. Questi atti sono considerati dall’Onu una violazione dei diritti umani.
Da oggi fino al 10 dicembre, ossia fino alla Giornata mondiale dei diritti umani, saranno caratterizzati dalla campagna globale #RatifyILO190 che mira innanzitutto a mobilitare donne e movimenti per spingere verso la ratifica e l’implementazione degli ultimi strumenti adottati dall’Ilo: la Convenzione su Violenza e molestie (C190) e la Raccomandazione su Violenza e molestie (R206).
Violenza sulle donne 2019: dati Istat sui centri anti-violenza
L’Istat – in collaborazione con il Dipartimento per le pari opportunità e le Regioni – ha condotto la prima indagine sui 281 centri anti-violenza in Italia, diffusa a fine ottobre, secondo la quale nel 2017 si sono rivolte ai centri anti-violenza 43.467 donne (15,5 ogni 10 mila). Il 67,2% ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10 mila). Tra quelle che hanno iniziato questo percorso, il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi.
L’analisi Istat mette in luce un elemento su tutti: l’insufficienza dell’offerta dei centri anti-violenza. La legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013, infatti, individua come obiettivo quello di avere un centro anti-violenza ogni 10 mila abitanti. Al 31 dicembre 2017 sono attivi in Italia 281 centri anti-violenza, pari a 0,05 centri per 10 mila abitanti.
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Entrando nel dettaglio dei dati, l’indagine rileva che ogni centro anti-violenza ha accolto in media 172 donne e lavora con un numero medio di 115 donne che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. La variabilità territoriale è elevatissima: 22,5 per 10 mila le donne accolte dai centri del Nord-est, 18,8 per 10 mila nel Centro. Anche sulle donne che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza, il Nord-est presenta tassi più elevati: 16,6 contro 10,7 per 10 mila donne della media nazionale.
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Le donne straniere costituiscono il 27% delle utenti prese in carico dai centri. Quelle che hanno figli minori sono il 46,4%; percentuali più elevate si registrano nelle Isole (54,8%) e nel Centro (51,3%) e, a livello regionale, in Campania (66%) e Sardegna (60%).
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Violenza psicologica sulle donne: le statistiche di D.i.Re
D.i.Re ha condotto un’analisi comparata tra i dati Istat e i dati raccolti nei centri anti-violenza della rete D.i.Re. A colpire, passando in rassegna i dati contenuti nel rapporto, è che la percentuale più alta rispetto alle forme di violenza subita dalle donne che si rivolgono ai centri anti-violenza è rappresentata dalla violenza psicologica sulle donne, che rappresenta il 73,6 per cento.
«Chiariamo – fa presente la Palladino – in primo luogo, che la violenza fisica è episodica, e non sempre cronicizzata. Mentre la violenza psicologica è quotidiana, fatta di denigrazione, svalutazione e umiliazioni continue. Molte delle donne che si rivolgono a noi, per quanto vittime di violenza anche fisica, ricordano più le offese del partner che uno schiaffo. Molte di queste donne, inserite nei nostri percorsi di recupero, non sono mai state brutalmente picchiate. Di sangue ce n’è, purtroppo, e negli ultimi anni sempre di più. Ma il punto è capire che il problema è il potere, la sopraffazione, l’intenzione degli uomini di mettere un limite alla vita delle donne».
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Giornata contro la violenza sulle donne 2019: 88 vittime al giorno
Nell’82% dei casi chi fa violenza su una donna ha le chiavi di casa. È quanto si legge nel rapporto diffuso dalla Polizia di Stato “Questo non è amore”, con i drammatici dati aggiornati al 2019 sulla violenza sulle donne. Un report che parla di 88 donne vittime di atti di violenza ogni giorno: solo nel mesi di marzo di quest’anno, ogni 15 minuti è stata registrata una vittima di violenza di genere di sesso femminile. Maltrattamenti, atti di stalking, violenze sessuali, percosse, nel 60% dei casi sono commessi dall’ex partner.
Le vittime sono italiane in altissima percentuale, si parla dell’80,2% dei casi, con colpevoli italiani nel 74% dei casi. L’affermazione che per alcuni reati come i maltrattamenti, le percosse o la violenza sessuale il genere assuma un ruolo preponderante, è dimostrata dai dati: nel periodo gennaio 2016-agosto 2019, le vittime di sesso femminile sono aumentate, passando dal 68% del 2016 al 71% del 2019.
E, superando uno stereotipo, non esiste distinzione di latitudine: l’incidenza della violenza denunciata dalla vittime alle forze dell’ordine mostra gli stessi valori in Piemonte come in Sicilia. Inoltre, le vittime e gli aggressori appartengono a tutte le classi sociali e culturali e a tutti i ceti economici.
Violenza sulle donne 2019: percorsi per donne straniere
La maggior parte delle donne che si rivolgono ai centri anti-violenza è rappresentata da donne italiane (il 68%) e chi la agisce per la maggior parte è ugualmente rappresentato da uomini italiani (il 65%). Esistono però anche percorsi specifici che riguardano le donne straniere.
«Abbiamo mediatrici culturali formate – spiega la Palladino – che lavorano in modo mirato e specifico con donne straniere. Una parte del percorso è uguale, ma esistono differenze specifiche. Si pensi a una dimensione come quella dei matrimoni forzati, alle mutilazioni genitali e alle donne migranti vittime di tratta».
Si stima che oltre il 90% delle donne migranti richiedenti asilo e rifugiate che sono arrivate in Italia passando dalla Libia e dal Mediterraneo abbiano subito violenza: stupri, rapimenti, segregazione, lavoro forzato, torture. Molte di loro hanno assisto all’uccisione di altre donne e uomini, alla morte dei loro figli, dei mariti, di fratelli e sorelle, di amiche.
Molte di loro sono vittime di tratta e sono state costrette alla prostituzione, lungo il percorso e in Italia. Per questo da circa quattro anni la rete D.i.Re ha avviato, in partnership con l’Unhcr, un percorso per accogliere nei centri anti-violenza le donne migranti richiedenti asilo e rifugiate sopravvissute alla violenza.
Il ciclo della violenza: stereotipi e pregiudizi
«Perché non lo lasci?». In questa frase è racchiuso il senso dello stereotipo per eccellenza quando si tratta di violenza sulle donne. Alle donne che trovano il coraggio di confessarsi, spesso, infatti, viene fatta questa domanda, che ha l’effetto di far sentire la donna ancora più sola e incompresa.
«Lo stereotipo – spiega la Palladino – per eccellenza è l’idea della fragilità delle donne vittime di violenza. Mentre dovremmo raccontare la forza delle donne che sopravvivono in una relazione violenta e successivamente di uscirne e ricostruire la propria vita».
C’è tanta disinformazione: è il ciclo della violenza che avviluppa le donne e le fa avere difficoltà a uscirne. La violenza, infatti, non viene messa in atto tutti i giorni. Ha alti e bassi. «È proprio questo ciclo della violenza – aggiunge la Palladino – a far entrare le donne nella spirale negativa, fatta di inadeguatezza e senso si colpa, che le portano a vedersi con occhi di maltrattante».
Ancora si crede, inoltre, che la violenza sia appannaggio delle classi sociali più basse o che esista un profilo di donna o uomo che più facilmente possa subire o fare violenza. «La violenza è trasversale. Noi accogliamo donne di ogni tipo e classe sociale, vittime di violenza agita da uomini di ogni genere. È democratica la violenza maschile», dice la Palladino.
Violenza sulle donne 2019: denuncia e vittimizzazione secondaria
Un punto critico è la denuncia. Da una parte la donna ha paura di denunciare, dall’altra si sente in colpa di non farlo. Ma denunciare è la soluzione? Non sempre. «Ci fa tristezza dirlo, ma spesso chiediamo alle donne di riflettere con calma prima di scegliere di denunciare, perché con essa si apre il pericolo di una vittimizzazione secondaria», rivela la Palladino.
Spesso le donne si trovano dinanzi a magistrati, avvocati e consulenti tecnici che vittimizzano le donne. C’è la messa in discussione di una donna come madre. Le donne nei tribunali sempre di più sono sottoposte a una consulenza tecnica per valutarne la competenza genitoriale.
«E si sentono in trappola. Se denunciano tardi il padre violento sono considerate madri poco tutelanti, se denunciato per tutelare i propri figli sono considerate madri alienanti e i figli non vengono affidati alle madri. C’è un arretramento in questo senso. Anni fa non ne parlava nessuno, la violenza era difficilmente riconosciuta e riuscivamo paradossalmente a proteggere di più le donne, nonostante le minori risorse. Ora che se ne parla ed esistono strumenti normativi nuovi, la situazione è peggiorata, per le donne e per i bambini, che non vengono ascoltati. Prima dei diritti dei bambini vengono i diritti dei padri», aggiunge.
Violenza “assistita”: bambini vittime di padri violenti
In Italia, secondo gli ultimi dati diffusi da Save The Children sulla violenza “assistita”, si stima che 427 mila minori, in soli cinque anni, abbiano vissuto la violenza tra le mura di casa nei confronti delle loro mamme, nella quasi totalità dei casi compiute per mano dell’uomo. In quasi la metà dei casi di violenza domestica (48,5%), i figli hanno assistito direttamente ai maltrattamenti, una percentuale che supera la soglia del 50% al nord-ovest, al nord-est e al sud, mentre in più di 1 caso su 10 (12,7%) le donne dichiarano che i propri bambini sono stati a loro volta vittime dirette dei soprusi per mano dei loro padri.
Per quanto riguarda gli autori delle violenze, i dati sulle condanne con sentenza irrevocabile per maltrattamento in famiglia evidenziano che nella quasi totalità dei casi (94%) i condannati sono uomini e che la fascia di età maggiormente interessata è quella tra i 25 e i 54 anni, l’arco temporale nel quale solitamente si diventa padri o lo si è già.
«Dovremmo raccontare di più del dolore dei bambini. Racconto spesso la storia di un bambino accolto nelle nostre case rifugio con la mamma. Quando è arrivato era felice, ha smesso di fare pipì a letto. Aveva scritto un tema bellissimo in cui parlava delle sue paure, dove diceva che aveva superato la paura di suo papà. E poi un giorno, una psicologa ha sostenuto che il bambino non voleva vedere il padre perché la madre lo istigava contro il padre ed è stato costretto a vedere quest’uomo. Credo che si possa parlare senza remore di una forte violazioni dei diritti dei bambini in casi come questo», conclude la Palladino.
Numeri dei femminicidi: in 6 casi su 10 è stato il partner
Nel 2019, il 34% delle vittime di omicidio è donna e in sei casi su dieci l’assassino è il partner o l’ex partner. Scorrendo le statistiche contenute nel report della Polizia di Stato colpisce, in particolare, il numero di donne straniere uccise, il 67 per cento. Una su due lascia figli piccoli e nel 18% dei casi l’autore si toglie la vita. Armi da taglio e oggetti contundenti sono le armi più utilizzate nel 2019, mentre si sono dimezzati i femminicidi commessi con armi da fuoco.
«Alla base dei femminicidi – si legge nel report – ci sono, nella maggior parte dei casi, motivi legati a un’idea malata di possesso, mancanza di accettazione di una separazione, gelosia incontrollabile anche successivamente al divorzio, non accettazione di una nuova storia d’amore dell’ex partner».
Manca un dettaglio: le false denunce delle donne che servendosi di chiacchiere accusano uomini di reati spregevoli e vengono protette a discapito di prove documentate degli uomini che per il fatto di essere uomini sono colpevoli. Le false denunce accolte e le condanne ingiuste generano mostri sia negli uomini che nelle donne.