Sudan, la guerra civile affama la popolazione

Uccisioni di civili, violenze, saccheggi, attacchi a chiese e ospedali. In Sudan sono 4,7 milioni le persone fuggite a causa degli scontri scoppiati ad aprile, di cui un milione si è rifugiato nei Paesi vicini. Gli appelli delle ong e dell'Unhcr per fermare il conflitto

Sono passati più di quattro mesi da quando a Khartoum, la capitale del Sudan, sono iniziati gli scontri tra le truppe (Forze armate sudanesi, Fas) fedeli al capo di stato maggiore del Paese, il generale Abdel Fattah al-Burhan, e la milizia paramilitare guidata da Mohammed Hamdan Dagalo (Forze di supporto rapido, Fsr). E gli scontri non accennano a finire.

Nel fuoco incrociato dei due schieramenti, e delle milizie a essi affiliate, che si contendono il controllo del territorio e il potere, sono finiti uomini, donne e bambini. Uccisi in attacchi deliberati verso abitazioni, chiese, ospedali, mentre cercano cibo, acqua, medicine o una via di fuga.

Secondo i dati riportati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite aggiornati al 1° settembre 2023, sono più di 4,7 milioni i sudanesi costretti a scappare, lasciando la propria casa. Sono 3,6 milioni gli sfollati rimasti nel Paese, mentre circa un milione si è rifugiato in Ciad, Egitto, Sud Sudan, Etiopia, Repubblica Centrafricana.

Il 15 agosto i responsabili del comitato interagenzie delle Nazioni Unite hanno chiesto la cessazione immediata del conflitto, sottolineandone l’urgenza: chi è rimasto nel Paese rischia di morire di fame. La dichiarazione è stata firmata anche dai referenti delle ong impegnate attivamente sul territorio sudanese per assistere la popolazione.

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Tambura, Sud Sudan – Foto: su gentile concessione di Ammnesty International Sudan

In Sudan crescono violenze e crimini di guerra contro i civili

«Mia figlia e i miei figli sono usciti di corsa da casa all’inizio degli scontri. I miei due figli minori e mio nipote erano troppo piccoli per correre velocemente. Non so chi personalmente li abbia uccisi. La guerra li ha uccisi».

La testimonianza di Kodi Abbas, un insegnante di 55 anni, è stata raccolta insieme a quella di altre 180 persone da Amnesty International all’inizio dell’estate ed è contenuta nel rapporto sul conflitto che l’organizzazione ha pubblicato ad agosto. Il documento si intitola La morte è arrivata a casa nostra e riguarda in particolare Khartoum e il Darfur occidentale. Nelle sue pagine l’organizzazione per i diritti umani denuncia le uccisioni deliberate di civili, i saccheggi, la violenza, gli stupri, gli attacchi ad abitazioni, chiese e ospedali.

«Ogni singolo giorno, mentre le Fsr e le Fas combattono per il controllo del territorio, la popolazione civile sudanese soffre orrori inimmaginabili. I civili vengono uccisi all’interno delle loro abitazioni o mentre cercano disperatamente cibo, acqua e medicinali. Finiscono in mezzo al fuoco incrociato quando provano a fuggire e vengono intenzionalmente assassinati in attacchi mirati. Decine di donne e ragazze, alcune di soli 12 anni, sono state stuprate o sottoposte ad altre forme di violenza sessuale. Nessun luogo è sicuro», ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale dell’organizzazione.

Violenza sessuale come arma di guerra: la situazione in Sudan

Amnesty riferisce di numerosi casi di violenze sessuali nei confronti di donne e ragazze, tra cui anche bambine molto piccole, da parte di uomini appartenenti alle parti in conflitto. Nella maggior parte dei casi documentati dall’organizzazione nel suo rapporto, i responsabili sono membri delle Fsr e delle milizie arabe loro alleate.

In uno di questi, 24 donne sono state rapite da membri delle Fsr e portate in un albergo dove sono state trattenute per parecchi giorni in condizioni di schiavitù sessuale. Molte di loro hanno riferito di non aver avuto accesso in seguito né a cure mediche né a servizi di sostegno psicologico.

Le strutture sanitarie e umanitarie sono state, infatti, danneggiate in tutto il Paese, privando la popolazione di cibo e medicine e aggravando una situazione già drammatica.

«Le Fsr, le Fas e i gruppi armati affiliati alle une e alle altre, devono porre fine agli attacchi contro i civili e garantire percorsi sicuri in uscita per chi cerca salvezza. Occorrono misure urgenti per assicurare giustizia e riparazione per le vittime e le persone sopravvissute», ha aggiunto Callamard.

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Manifestazioni contro le violenze in Darfur, Sudan – Foto: Alisdare Hickson (via Flickr)

La guerra civile oggi in Sudan: gli ospedali divetano obiettivi

Il 22 agosto Emergency ha scritto sul suo sito che i combattimenti sono ripresi a Nyala, nel Darfur meridionale, vicino al Centro pediatrico gestito dall’associazione: «Un razzo è arrivato nel giardino del compound: fortunatamente non ci sono stati feriti ma la sicurezza del nostro staff e dei nostri pazienti è a rischio come mai dall’inizio della guerra». Sui social network l’organizzazione chiede alle parti del conflitto di rispettare gli ospedali perché possano continuare a curare chi ne ha bisogno.

Anche Medici senza frontiere parla di attacchi a strutture civili e alla popolazione. Sul sito dell’organizzazione il 24 agosto si segnalava che l’ospedale di Kas, nella zona di Nyala nel Sud Darfur, è ora controllato dai gruppi armati e i civili hanno scarse o nessuna possibilità di ricevere cure mediche.

«È una corsa contro il tempo per salvare le persone rimaste ferite negli ultimi combattimenti, poiché tutte le strade da e per Nyala sono sotto assedio e non permettono il passaggio di civili né di rifornimenti. Se non ci sarà una tregua nei prossimi giorni, temiamo per la sicurezza del nostro staff e dei civili che sono rimasti bloccati in un limbo tra i combattenti armati», ha detto Anna Bylund, coordinatrice di Medici senza frontiere per l’emergenza nel Darfur meridionale.

Due milioni di bambini costretti a fuggire: lo denuncia l’Unicef

L’Unicef stima che oltre 1,7 milioni di bambini si stiano spostando all’interno del Sudan e che più di 470 mila abbiano attraversato i confini, rifugiandosi nei Paesi vicini.

Sul sito del comitato italiano del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, si legge che sono quasi 14 milioni i bambini che hanno urgente bisognodi sostegno umanitario in Sudan e che l’insicurezza alimentare è in aumento. Una condizione che potrebbe riguardare più di 20 milioni di persone tra luglio e settembre 2023, di cui la metà bambini.

«Con oltre due milioni di bambini sradicati a causa del conflitto in pochi mesi e innumerevoli altri intrappolati nella sua spietata morsa, l’urgenza della nostra risposta collettiva non può essere sopravvalutata. Stiamo ascoltando storie inimmaginabili di bambini e famiglie, alcuni dei quali hanno perso tutto e hanno dovuto vedere i loro cari morire davanti ai loro occhi. Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: abbiamo bisogno di pace ora perché i bambini possano sopravvivere», ha detto Mandeep O’Brien, rappresentante dell’Unicef in Sudan.

A tutto questo si aggiunge la stagione delle piogge che, in alcune aree, ha causato inondazioni che hanno distrutto le case, costringendo gli abitanti a fuggire e aumentando il rischio di epidemie come colera e dengue.

Solo un terzo delle strutture sanitarie è pienamente funzionante nelle regioni del Darfur e del Kordofan e a Khartoum, l’accesso a ospedali è molto difficile sia per i pazienti sia per gli operatori. Nel resto del Paese i servizi sanitari sono sovraccarichi e registrano carenze di medicinali.

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Tambura, Sud Sudan – Foto: su gentile concessione di Ammnesty International Sudan

Dopo quattro mesi di guerra, il rischio oggi è la fame

Secondo Concern International, un’organizzazione irlandese che si occupa in particolare di combattere la fame nei Paesi in via di sviluppo, il conflitto in Sudan e il conseguente declino dell’economia del Paese stanno mettendo a rischio 20 milioni di persone (pari a più del 42% della popolazione del Paese).

«Dobbiamo fare tutto quello che possiamo per prevenire la carestia ed evitare che le persone muoiano di fame. I livelli di fame nel Paese sono molto preoccupanti e se non migliora l’accesso all’assistenza umanitaria, gli effetti saranno catastrofici», ha detto Amina Abdulla, direttrice di Concern per il Corno d’Africa.

In un comunicato del 21 agosto 2023, l’organizzazione ha sottolineato che i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati, che la produzione di cibo si è drasticamente ridotta, che l’accesso agli aiuti umanitari è limitato e le previsioni di piogge sotto la media per quest’anno, oltre a danneggiare i raccolti, porteranno a una riduzione della disponibilità di acqua.

Per Abdulla, «è solo una questione di tempo prima che finiscano i rifornimenti nelle strutture sanitarie che sosteniamo e che i servizi siano costretti a fermarsi malgrado le richieste di aiuto stiano crescendo nel Paese».

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