Congo: cobalto, i minatori denunciano le compagnie minerarie

Gruppi di lavoratori impegnati nell'estrazione del cobalto in Congo, sostenuti da avvocati tenaci, stanno trascinando in tribunale le imprese che non rispettano i loro diritti. E stanno vincendo. Ecco l'analisi di Raid

Nella Repubblica democratica del Congo i lavoratori del settore minerario chiedono un cambio di passo nelle politiche delle multinazionali che operano nel Paese nell’estrazione del cobalto. Grazie al supporto di avvocati coraggiosi, i minatori stanno portando le compagnie e le aziende subappaltatrici in tribunale.

E, come racconta Raid, un’organizzazione internazionale impegnata a smascherare illeciti, danni ambientali e violazione dei diritti umani, stanno vincendo.

Congo: i minatori del cobalto non beneficiano della transizione energetica

Città del Capo (Sudafrica) a febbraio ha ospitato Africa‘s 2024 Mining Indaba, una manifestazione in cui multinazionali, investitori e politici hanno discusso del cambiamento positivo che la transizione energetica – ossia il progressivo abbandono dei combustibili fossili per passare a fonti energetiche a basse emissioni, come le rinnovabili – può portare all’industria mineraria. Un cambiamento che, purtroppo, non riguarda i lavoratori che estraggono i minerali indispensabili per sostenere questa transizione, come il cobalto.

Il 70% della produzione mondiale di cobalto, uno dei minerali impiegati per le batterie (come quelle dei veicoli elettrici, per esempio), arriva dal Congo. Si calcola che, con il passaggio dai combustibili fossili all’elettrico, nei prossimi anni aumenterà anche la produzione di veicoli elettrici e, di conseguenza, aumenterà la richiesta di cobalto.

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cobalto congo batterie
Foto: via Pixabay

Lo sfruttamento di chi estrae cobalto in Congo

L’estrazione dei cobalto è legata a gravi abusi nei confronti dei lavoratori, come è emerso dall’indagine realizzata nel 2021 da Raid insieme al Centro di aiuto giuridico-giudiziario, un’organizzazione che in Congo offre assistenza legale a persone vittime di violazione dei diritti umani.

Dall’indagine, che si intitola “La strada per la rovina? I veicoli elettrici e la violazione dei diritti dei lavoratori nelle miniere di cobalto del Congo”, è emerso infatti che i lavoratori delle miniere di cobalto sono vittime di discriminazione, lavorano in pessime situazioni e ricevono uno stipendio molto basso. Le condizioni di lavoro sono ancora peggiori per i lavoratori in subappalto che rappresentano quasi il 60% del totale.

«Non soltanto ricevono uno stipendio ben al di sotto del salario minimo, che è calcolato in 480 dollari al mese, ma i lavoratori raccontano turni di lavoro lunghissimi, assenza di sicurezza sul luogo di lavoro, mancanza di permessi e ferie retribuiti e impossibilità di accedere alle cure sanitarie di base», denuncia Raid.

Repubblica democratica del Congo: battaglie sindacali in miniera

Nel 2022 a finire in tribunale è stata un’azienda subappaltatrice della Sicomines, che vede tra i proprietari anche il governo del Congo e il China railway group (Gruppo ferroviario cinese).

Il motivo? L’azienda negava ai lavoratori il diritto di riunirsi in un sindacato e di eleggere i propri delegati. L’azione legale e una visita dell’ispettorato del lavoro sul sito minerario hanno fatto sì che l’azienda concedesse ai lavoratori di eleggere i rappresentanti sindacali.

Un’azione legale simile è stata intentata con successo contro la Somidez, un’impresa che riunisce il China nonferrous metal mining group (Gruppo minerario cinese per i metalli non ferrosi) e Gécamines, la Compagnia mineraria di stato del Congo.

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miniera cobalto congo
Foto: Afrewatch 2020 (via Flickr)

Estrarre cobalto per le batterie in Congo

Altri casi riportati da Raid riguardano la vicenda di un agente della sicurezza che lavorava in subappalto per l’azienda Balto: era stato ferito durante una rapina nel sito minerario e aveva perso una gamba. Nonostante fosse obbligata a coprire i costi per i danni verificati sul luogo di lavoro, l’azienda si rifiutava di pagare le spese mediche (poco più di 9 mila dollari). Il lavoratore ha fatto causa e ha vinto.

In un altro caso, una compagnia che aveva risolto in modo illegale i contratti di un centinaio di lavoratori e non aveva pagato loro lo stipendio durante una chiusura temporanea della miniera per manutenzione è stata condannata a risarcire i lavoratori.

Prime vittorie in tribunale, «precedenti importanti»

Due casi sono ancora in corso: in uno dieci lavoratori hanno fatto causa all’azienda per trattamenti degradanti e condizioni inumane di lavoro, tra cui comportamenti discriminatori e razzisti, attacchi fisici e insulti verbali e mancanza di sicurezza; l’altro riguarda una class action intentata a novembre 2023 contro un’azienda subappaltatrice, la Elias & Matis Trading, accusata di aver violato la legge sul lavoro, aver impedito la sindacalizzazione dei lavoratori, non aver garantito la tutela sanitaria, aver eseguito dei licenziamenti illegali e non aver fornito ai lavoratori i documenti amministrativi come le buste paga.

«I lavoratori non aspettano che siano le aziende per cui lavorano ad agire volontariamente nell’interesse delle comunità locali. Al contrario, con queste cause stanno mettendo alla prova le leggi dello Stato e stanno dimostrando che loro stessi possono essere parte della transizione energetica. Le compagnie minerarie e il governo dovrebbero prenderne nota. Questo è il cambiamento positivo necessario per una transizione che ci allontani dai combustibili fossili e di cui possano beneficiare tutti», conclude Raid.

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