Israele: divieti di viaggio arbitrari e «apartheid» contro i palestinesi
Nel 2021 lo stato di Israele ha emesso più di 10 mila divieti di viaggio nei confronti di palestinesi della Cisgiordania, impedendo così a migliaia di persone di recarsi all’estero. I dati arrivano solo qualche settimana dopo le accuse di apartheid mosse da Amnesty International
I palestinesi che vivono in Cisgiordania non possono utilizzare gli aeroporti israeliani e per recarsi all’estero devono passare attraverso tre diversi uffici d’immigrazione: quello dell’Autorità Palestinese, quello israeliano e quello della Giordania.
L’uscita dal Paese può avvenire solo attraverso il ponte Al-Karameh, noto come ponte di Allenby in Israele, unico attraversamento di terra concesso ai palestinesi della West Bank verso la Giordania.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, l’organizzazione israeliana per i diritti umani HaMoked ha presentato una richiesta per la libertà di informazione al coordinatore delle attività governative nei territori del ministero della Difesa israeliano e, secondo i dati, sono ben 10.594 i palestinesi che nel 2021 hanno ricevuto divieti di viaggio.
In molti casi il divieto scatta automaticamente, come nel caso di parenti di persone coinvolte in casi di terrorismo, e in appello molti divieti alla fine vengono revocati. Nel corso degli anni molti palestinesi sono arrivati al valico con la Giordania ignari del fatto che gli era stato impedito di viaggiare. Il controllo del territorio e della libertà di movimento dei palestinesi è una delle caratteristiche principali di quello che Amnesty International ha classificato come regime di apartheid imposto dallo Stato di Israele alla popolazione palestinese.
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Amnesty: «L’apartheid di Israele contro i palestinesi»
«Frammentazione territoriale, segregazione e controllo, espropriazione dei terreni e delle proprietà dei palestinesi e negazione dei diritti economici e sociali»: sono questi i componenti principali individuati da Amnesty alla base del «sistema di oppressione e dominio sui palestinesi». Elementi che hanno spinto l’organizzazione a parlare di «apartheid», termine che storicamente fa riferimento alle politiche di discriminazione razziale applicate dalla minoranza bianca nella Repubblica del Sudafrica dal 1948 al 1991.
«Israele deve smantellare questo sistema crudele e la comunità internazionale deve esercitare pressioni affinché lo faccia», si legge nelle conclusioni dell’ultimo report di Amnesty, “L’apartheid di Israele contro i palestinesi: sistema crudele di dominio e crimine contro l’umanità”.
Lungi dal voler tracciare un parallelismo diretto con quella che era la situazione in Sudafrica, nel documento si accusa Israele di crimini contro l’umanità secondo le leggi internazionali, tra cui la Convenzione sull’apartheid del 1973 e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, che definisce l’apartheid come dominio razziale sistematico.
Ascolta “L’apartheid di Israele contro i palestinesi. Myanmar a un anno dal golpe” su Spreaker.
Israele – Palestina oggi: il sistema di controllo
L’organizzazione ha documento l’illegittimità degli atti commessi da Israele contro i palestinesi, il cui intento sarebbe quello di mantenere uno status quo fatto di trasferimenti forzati, uso della detenzione amministrativa, negazione dei diritti e delle libertà fondamentali. La conclusione è che l’insieme di questi atti, che caratterizzano non solo la quotidianità dei cittadini palestinesi di Gaza e Cisgiordania ma anche degli arabo israeliani che vivono in Israele, costituisce un crimine contro l’umanità.
Nelle 280 pagine del report sono descritti e analizzati i massicci sequestri di terreni e abitazioni dei palestinesi, i numerosi casi di demolizioni di unità abitative ma anche di scuole e infrastrutture, le drastiche restrizioni alla libertà di movimento che i cittadini dei Territori palestinesi occupati (Opt) devono sopportare ogni giorno.
«Il nostro rapporto rivela la reale portata del regime di apartheid di Israele. Sia che vivano a Gaza, a Gerusalemme est, nel resto della Cisgiordania o nello stesso Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sistematicamente privati dei loro diritti. Abbiamo scoperto che le crudeli politiche di segregazione, espropriazione ed esclusione di Israele in tutti i territori sotto il suo controllo equivalgono chiaramente a un sistema di apartheid», ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty.
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La “mappa” della denuncia: anche Human Rights Watch accusa Israele di apartheid verso i palestinesi
Il rapporto di Amnesty International si unisce all’accusa di apartheid già rivolta a Israele nell’aprile 2021 da Human Rights Watch. Nel documento, “Una soglia superata. Le autorità israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione”, la ong sottolineava come negli ultimi 54 anni le autorità israeliane abbiano promosso il trasferimento di ebrei israeliani all’interno degli Opt e abbiano concesso loro uno status legale superiore, in termini di diritti civili, rispetto ai palestinesi che vivevano e vivono ancora nello stesso territorio.
Tra questi diritti ci sono l’accesso alla terra, la libertà di movimento e il conferimento dei diritti di residenza a parenti stretti. Le autorità israeliane detengono inoltre il controllo sui confini, sullo spazio aereo, sul movimento di persone e merci e sulla gestione della sicurezza all’interno degli Opt.
«Leggi, politiche e dichiarazioni di importanti funzionari israeliani chiariscono che l’obiettivo di mantenere il controllo ebraico israeliano sulla demografia, sul potere politico e sulla terra ha guidato a lungo la politica del governo. Nel perseguimento di questo obiettivo, le autorità hanno espropriato terre e proprietà dei palestinesi, confinandoli con la forza e soggiogandoli in virtù della loro identità, con vari gradi di intensità. In alcune aree queste privazioni sono così gravi da costituire crimini contro l’umanità come apartheid e persecuzione», si legge nel report di Human Rights Watch.
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I punti chiave dell’apartheid israeliano
Anche la ong israeliana per i diritti umani B’Tselem aveva redatto, nel gennaio 2021, un report dal titolo “Questa è apartheid“, con riferimento all’insieme di leggi applicate dalle autorità israeliane all’interno dei territori controllati. Il documento individuava nella gestione dello spazio al livello geografico, politico e demografico lo strumento principale usato da Israele per attuare il principio della supremazia ebraica.
«Gli ebrei vivono la loro vita in uno spazio unico e contiguo in cui godono dei pieni diritti e dell’autodeterminazione. Al contrario, i palestinesi vivono in uno spazio frammentato in più unità, ciascuna con un diverso insieme di diritti, dati o negati da Israele, ma sempre inferiori ai diritti concessi agli ebrei», si legge nel report.
Le reazioni alle accuse di apartheid: nessuna solidarietà ai palestinesi
Nonostante Amnesty abbia invitato «gli Stati Uniti, gli Stati membri dell’Unione europea e il Regno Unito a riconoscere il crimine di apartheid e gli altri crimini internazionali commessi da Israele», per il momento non sono arrivati riscontri in tal senso dalle diplomazie occidentali.
Anzi, l’ultimo report ha suscitato fortissime reazioni avverse, dentro e fuori Israele. Il ministro degli Affari esteri israeliano, Yair Lapid, ha accusato Amnesty International di dar voce a bugie diffuse da organizzazioni terroristiche e di antisemitismo. Anche i gruppi statunitensi filo-israeliani, tra cui la potente lobby American Israel Public Affairs Committee (Aipac), hanno accusato Amnesty di cercare di demonizzare e delegittimare lo Stato ebraico e democratico di Israele. Si è unito al coro delle critiche anche il governo tedesco, con il ministro degli Esteri che ha specificato come Berlino rifiuti «termini come l’apartheid e un focus unilaterale su Israele», aggiungendo che accuse del genere non sono utili per una soluzione al conflitto.
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