Palestinesi: situazione umanitaria «disperata» nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania

Dopo 44 anni dall’istituzione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese la situazione economico-fiscale e umanitaria all’interno dei Territori palestinesi occupati è "disperata" secondo le Nazioni Unite: ecco cosa sta accadendo nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme

«Un approccio frammentario alle attuali sfide politiche, economiche e di sicurezza all’interno dei Territori palestinesi occupati (Opt) rischia solo di perpetuare una crisi continua». È quanto emerge dall’ultimo report pubblicato dall’ufficio del Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente (Unsco).

Anni di stagnazione economica all’interno della Cisgiordania sono stati seguiti, nel 2020, da un forte calo del Pil pro capite. Situazione che peggiora se passiamo alla Striscia di Gaza, dove l’economia continua nel suo declino pluridecennale con tassi di disoccupazione preoccupanti, soprattutto per quanto riguarda le donne.

Territorio palestinesi occupati: economia vicina al collasso

«È sempre più difficile per l’Autorità Palestinese coprire le sue spese minime, per non parlare degli investimenti essenziali per l’economia e per il popolo palestinese», ha dichiarato Tor Wennesland, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente.

«La situazione fiscale dell’Autorità Palestinese sta arrivando al punto di rottura», ha aggiunto Wennesland, citando le stime secondo cui l’Autorità sta raggiungendo nel 2021 un deficit di bilancio di 800 milioni di dollari, divario quasi raddoppiato rispetto al 2020.

La «crisi fiscale e finanziaria senza precedenti» ha indotto la necessità di «riforme significative e cambiamenti politici, sia da parte israeliana che palestinese», ha concluso l’inviato delle Nazioni Unite. Si avverte inoltre che la situazione negli Opt è particolarmente fragile e preoccupante a causa delle tensioni a Gerusalemme Est, dove si verificano ancora scontri notturni tra cittadini israeliani e palestinesi, delle continue demolizioni di case e sequestri di proprietà palestinesi e alla crescita degli insediamenti israeliani. Le operazioni di sicurezza israeliane nell’Area A, che dovrebbe essere sotto il pieno controllo dell’Autorità Palestinese secondo gli Accordi di Oslo, continuano inoltre a minare le istituzioni palestinesi e diminuiscono le prospettive per qualsiasi soluzione a due Stati. Una «realtà sempre più disperata», modellata da estremismi e azioni unilaterali che minacciano di aumentare i rischi per palestinesi, israeliani e per l’intera regione.

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Bambini nella Striscia di Gaza – Foto: Pixabay

Giornata internazionale di solidarietà con il popolo Palestinese: perché proprio il 29 novembre

Sono passati ormai 44 anni da quel 2 dicembre del 1977, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite richiese di istituire il 29 novembre la Giornata Internazionale di solidarietà con il popolo Palestinese come impegno della comunità internazionale per sostenere i diritti dei palestinesi.

La data scelta, infatti, non era casuale ma serviva a ricordare quel 29 novembre del 1947, giorno dell’adozione della Risoluzione 181 (II) che stabiliva la creazione di uno «Stato ebraico» e di uno «Stato arabo», con Gerusalemme come corpus separatum sottoposto a un regime internazionale speciale. Dei due Stati citati solo uno, quello di Israele, è diventato realtà.

Ascolta “Territori palestinesi, Onu: “Israele calpesta i diritti umani”” su Spreaker.

Cisgiordania e Striscia di Gaza: crisi umanitaria senza fine

I palestinesi stanno affrontando una moltitudine di crisi, tra cui persistenti escalation di violenza, un collasso socio-economico e la pandemia di Covid-19 nel contesto di un’occupazione che dura ormai da più di settant’anni.

Le infrastrutture critiche, tra cui le reti idriche ed elettriche, si stanno erodendo in molte aree. Milioni di persone non sono in grado di soddisfare i bisogni più elementari a causa della grave carenza di cibo e acqua, di carburante e medicinali, soprattutto a Gaza, dove vige il blocco imposto dal governo israeliano.

È questo il quadro descritto dalla Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (Ifrc). Inoltre, secondo l’ultimo report dell’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, più di 2,4 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.

Le stime dell’Ocha indicano inoltre che nel 2021 le forze israeliane hanno ucciso 68 palestinesi nella Cisgiordania, in netto aumento rispetto agli anni precedenti. Numeri che crescono se parliamo della Striscia di Gaza, dove i morti sono 264. Dall’inizio dell’anno sono invece quasi 14 mila i palestinesi feriti dalle forze israeliane negli Opt, 190 nel solo mese di novembre.

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Uomo nella Striscia di Gaza – Foto: Pixabay

Palestinesi e Israele: una storia di soprusi contro civili e bambini

A causa di questo aumento esponenziale di morti e feriti palestinesi, l’Unrwa, Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente, ha chiesto alle forze israeliane di cessare l’uso di munizioni vere contro civili disarmati, che non rappresentano un pericolo immediato per la vita, e di esercitare la massima moderazione nell’uso della forza di altre armi non letali.

«L’uso eccessivo della forza e di proiettili veri contro i bambini deve cessare. Tutti i bambini hanno diritto alla vita e devono essere protetti», si legge nel comunicato stampa del 19 novembre.

L’Unrwa ha chiesto inoltre al governo di Israele di indagare su queste vittime e di ritenere responsabili coloro che violano gli standard internazionali. In quanto forza di occupazione, le forze militari israeliane sono «obbligate a proteggere le vite e a garantire la dignità dei palestinesi che vivono sotto il loro controllo».

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Il muro tra Israele e Palestina – Foto: Pixabay

Insediamenti e violenza dei coloni israeliani

Lo stato di Israele ha costruito in questi anni più di 280 insediamenti in Cisgiordania, che ospitano più di 440.000 coloni. Di questi insediamenti, 138 sono stati ufficialmente istituiti e riconosciuti, mentre circa 150 sono avamposti non ufficialmente riconosciuti dallo Stato di Israele.

Negli ultimi dieci anni sono stati costruiti circa un terzo degli avamposti, la maggior parte dei quali viene denominata “fattorie“. I dati contenuti nell’ultimo report stilato dalla ong israeliana B’Tselem non lasciano dubbi: gli insediamenti israeliani in Cisgiordania dominano ormai centinaia di migliaia di dunam (dove 1 dunam equivale a mille metri quadri) a cui i palestinesi hanno accesso limitato o non ne hanno affatto.

Il documento, dal titolo “Affari di Stato: appropriazione indebita di terra da parte di Israele in Cisgiordania attraverso la violenza dei coloni”, presenta cinque casi studio che illustrano inoltre come la violenza, continua e sistemica inflitta dai coloni israeliani, sia parte della politica ufficiale di Israele che guida l’acquisizione massiccia di terreni agricoli e pascoli palestinesi.

Nelle testimonianze raccolte nell’ambito della ricerca, i palestinesi descrivono come questa violenza minacci le fondamenta della vita quotidiana. Le comunità palestinesi si vedono infatti costrette ad abbandonare o ridimensionare attività come l’allevamento di pecore e capre, o delle varie colture stagionali, che hanno permesso loro di vivere dignitosamente per generazioni

Sempre l’inviato delle Nazioni Unite Wennesland ha recentemente ricordato come «tutti gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale e rimangono un ostacolo sostanziale alla pace». Ha inoltre evidenziato come i piani israeliani per la costruzione di unità abitative nella zona E1, adiacente alla parte nord-est di Gerusalemme Est, “reciderebbero il collegamento tra il nord e il sud della Cisgiordania, minando in modo significativo le possibilità di stabilire uno Stato palestinese vitale e contiguo come parte di una soluzione negoziata a due Stati”.

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