Israele-Palestina: l’annessione della Cisgiordania allontana la pace

L’annessione unilaterale della Cisgiordania annunciata da Israele è sempre più vicina e la violenza contro i palestinesi continua a fare vittime. Mentre l'Onu parla di "apartheid" e l'Europa reagisce in ordine sparso

Non solo “Black lives matter”, ma anche “Palestinian lives matter”. Due vite lontane e diverse, quelle di George Floyd e Iyad Hallaq, spezzate dallo stesso tragico destino. Il 30 maggio scorso Iyad è stato ucciso dai soldati israeliani mentre si trovava vicino alla scuola per disabili che frequentava, nella città vecchia di Gerusalemme. Il giovane 32enne era affetto da autismo ed era terrorizzato dalla presenza dei militari. Per questa ragione non si sarebbe fermato all’alt intimato dalla polizia israeliana al check point della Porta dei Leoni.

La reazione è sembrata sospetta ai soldati che l’hanno inseguito, convinti che fosse armato. Iyad è stato colpito alle spalle in un vicolo da un ufficiale israeliano con un fucile M-16, senza nessun tentativo di arresto o verifica dei sospetti. Perquisito dopo la morte, non gli è stata trovata addosso alcuna arma.

Il sabato dopo l’uccisione di Yiad, oltre 6 mila persone si sono riunite nella Rabin Square di Tel Aviv al grido di “Giustizia per Iyad, giustizia per George” e per protestare contro i piani di annessione della Valle del Giordano.

La manifestazione è stata organizzata dal partito israeliano di sinistra Meretz e da Hadash, della Lista Unita a maggioranza araba, insieme a parecchi altri gruppi della sinistra israeliana. In tanti si sono riuniti in protesta anche a Betlemme, davanti alla Chiesa della Natività.

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Protesta a Nabi Saleh, Cisgiordania – Foto: © Irene Masala

Palestina: la violenza dell’occupazione israeliana

Quello di Iyad non è però un incidente isolato, ma una prassi che si è consolidata sotto l’occupazione israeliana. Il Centro israeliano per i diritti umani nei territori occupati, B’Tselm, ha pubblicato un report lo scorso gennaio nel quale documenta l’uccisione di 133 palestinesi, tra cui 28 minori, da parte di agenti dell’Israel defence forces (Idf), le forze di difesa israeliane, nel solo 2019.

Delle vittime, 104 sono state uccise nella Striscia di Gaza e di queste 7 erano donne e 22 minori di età. Più della metà delle persone uccise non aveva preso in alcun modo parte alle ostilità.

In Cisgiordania invece, compresa la parte est di Gerusalemme, sarebbero 26 i palestinesi uccisi dall’Idf, di cui 5 minorenni. Tra questi, anche un paramedico palestinese di 17 anni, Sajed Muzhhar, ucciso con colpi di arma da fuoco mentre si avvicinava a curare un ferito nel campo profughi di Dheisheh, a sud di Betlemme.

Sempre nel 2019, i palestinesi hanno ucciso due soldati e 7 civili israeliani, tra cui la diciasettenne Rina Shnerb.

Stando all’indagine effettuata da B’Tselem, «quasi tutti gli incidenti in cui le forze israeliane hanno ucciso i palestinesi nel 2019 sono stati il ​​risultato della spericolata politica dell’open fire (fuoco aperto) che Israele attua nei territori occupati. Nella Striscia di Gaza, ciò include anche il bombardamento di aree densamente popolate e il conferimento di ordini palesemente illegali che consentono di sparare contro i manifestanti disarmati».

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Israele oggi più vicina all’annessione unilaterale della Cisgiordania

Il governo di unità nazionale, nato il 17 maggio 2020 dalla colazione tra il Likud di Benjamin Netanyahu e il partito Blu e Bianco di Benny Gantz, ha di fatto dato il via libera ai piani di annessione della destra israeliana. Il ministro degli Esteri israeliano Gabi Ashkenazi ha dichiarato che l’annessione avverrà «in pieno coordinamento con gli Usa», rimandando così al piano di pace proposto da Donald Trump lo scorso gennaio. L’annessione unilaterale potrebbe perciò procedere per varie fasi fino ad arrivare a quel 30% della Cisgiordania di cui Netanyahu ha parlato a lungo durante la campagna elettorale.

La prima fase potrebbe prevedere l’annessione dei grandi insediamenti vicini a Gerusalemme e Tel Aviv, come Maale Adumim e Gush Etzion dell’area E1 e Ariel, nel nord della Cisgiordania. L’obiettivo è quello di procedere fino all’annessione dell’intera Valle del Giordano, territorio caratterizzato appunto dalla vallata nella quale scorre il fiume Giordano, regione geografica lunga circa 105 chilometri che va dal mare di Galilea fino al mar Morto e forma parte della grande Rift Valley della Giordania. Luogo particolarmente strategico per le risorse idriche e per questo da anni al centro dell’attenzione israeliana.

La Valle del Giordano è infatti per il 90% in area C secondo la divisione degli accordi di Oslo, perciò sotto il controllo civile e militare israeliano. Attualmente sarebbero almeno 60 mila i palestinesi che resistono in questa vallata dopo anni di demolizioni e trasferimenti forzati da parte delle forze di sicurezza israeliane.

Il governo israeliano ha inoltre chiarito che i palestinesi che attualmente vivono all’interno delle aree che verranno annesse non riceveranno la cittadinanza israeliana, così da mantenere l’equilibrio demografico all’interno della società israeliana.

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Gerico, Valle del Giordano – Foto: © Irene Masala

Israele-Palestina: il conflitto politico sull’annessione

Questa mossa politica, fortemente voluta e attesa dalla destra israeliana, sta creando dissensi tra i partiti di sinistra, che temono l’aggravarsi delle tensioni con i palestinesi e le sanzioni internazionali.

Il leader di Meretz, Nitzan Horowitz, ha dichiarato che l’annessione dovrebbe essere considerata come un «crimine di guerra». Forte la reazione anche da parte palestinese.

«La comunità internazionale può fermare l’annessione, ma solo se applica quelle stesse misure concrete che ha sempre rifiutato di adottare. La fine dell’annessione inizia con l’imposizione di sanzioni nei confronti di un Paese che non ha mai rispettato i suoi obblighi fondamentali in base alle risoluzioni delle Nazioni Unite, agli accordi firmati e ai trattati internazionali», ha dichiarato Saeb Erekat, capo negoziatore dell’Autorità nazionale palestinese (Anp).

Anche il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas ha preso posizione dichiarando ufficialmente la fine degli Accordi di Oslo, compreso il coordinamento sulla sicurezza. Il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha invece annunciato che contestualmente all’annessione sarà proclamato lo Stato di Palestina sui confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale. Appelli all’unità dei palestinesi e alla resistenza anche dalla Striscia di Gaza durante una conferenza stampa di Hamas.

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Mar Morto – Foto: © Irene Masala

Israele-Palestina: l’Onu parla di apartheid

«I piani dichiarati da Israele per l’annessione estenderebbero la sovranità su gran parte della Valle del Giordano e su tutti gli oltre 235 insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania. Ciò equivarrebbe a circa il 30 per cento della Cisgiordania», si legge in un comunicato firmato da diversi esperti delle Nazioni Unite.

«Ciò che rimarrebbe della Cisgiordania sarebbe un Bantustan palestinese, isole di terre sconnesse completamente circondate da Israele e senza alcun legame territoriale con il mondo esterno. Israele ha recentemente promesso che manterrà un controllo di sicurezza permanente tra il Mediterraneo e il fiume Giordano. Quindi, la mattina dopo l’annessione avverrebbe la cristallizzazione di una realtà già ingiusta: due popoli che vivono nello stesso spazio, governati dallo stesso Stato, ma con diritti profondamente diseguali. Questa è una visione di apartheid del 21° secolo», conclude il comunicato con un appello alla comunità internazionale affinché prenda posizione e assuma responsabilità.

Conflitto israelo-palestinese: reazioni in Europa e Giordania

Il sovrano della Giordania, Abdullah II, ha avvertito che l’annessione israeliana potrebbe portare alla sospensione del trattato di pace tra Giordania e Israele siglato nel 1994. Anche diverse nazioni europee, tra cui Francia, Lussemburgo, Irlanda, Spagna e Belgio stanno facendo pressione su Israele e minacciando azioni punitive nel caso decida di procedere unilateralmente con l’annessione.

Nel frattempo la Corte Europea dei Diritti Umani ha emanato una sentenza, lo scorso 11 giugno, nella quale stabilisce che la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) contro Israele non può essere considerata un reato. La condanna emessa nel 2015 dalla Corte suprema francese contro attivisti del movimento Bds violerebbe infatti la Convenzione europea dei diritti umani e, in particolare, la libertà di espressione.

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