
Cosa succede in Kazakistan: dalle proteste alla repressione di Tokayev
I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, dopo l’aumento dei prezzi del gas. Le proteste sono state represse con gas lacrimogeni, idranti e proiettili veri: oltre 160 i morti ufficiali e migliaia gli arresti. Ecco cosa sta succedendo nel Paese asiatico
Nella conferenza stampa di venerdì 7 gennaio il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ha confermato di aver dato l’ordine di sparare sui manifestanti, senza avvertirli. Dopo tre giorni di repressione con gas lacrimogeni e idranti sulle centinaia di persone che nella capitale Nur-Sultan e nel fulcro economico Almaty chiedevano le dimissioni del governo, sono arrivate le pallottole e lo le dimissioni del governo.
Il Paese, che dall’indipendenza del 1991 è stato tenuto in mano da ex oligarchi russi, ora si trova nel caos. «Una rivolta così ampia ed esterna non è mai successa dal 1986, Tokayev non era preparato a questi numeri e ha reagito», dice a Osservatorio Diritti Antonio Stango, presidente della Federazione italiana diritti umani (Fidu).
La situazione in Kazakistan: risorse naturali e diritti umani
L’inizio di gennaio è coinciso con il ritorno delle proteste operaie nelle industrie che nella città di Žanaozen estraggono gas e petrolio. Decine di persone hanno sfilato nelle strade per denunciare il rincaro dei prezzi dei carburanti.
La città è situata nella zona desertica del Paese, sopra uno dei punti più ricchi di gas naturale del mondo e vicino al Mar Caspio. Gli abitanti vivono grazie alle opere estrattive, con stipendi bassi e condizioni di lavoro a rischio.
Le prime proteste per migliori condizioni di vita avevano scosso il Paese nel 2011, ma le autorità aveva ordinato all’esercito di colpire i manifestanti portando alla fine delle proteste.
Dopo dieci anni gli stessi operai sono tornati in strada e il movimento di opposizione pacifica Dck (Scelta Democratica del Kazakistan) ha invitato i cittadini a protestare il 4 gennaio e a sostenere le richieste dei residenti della regione.
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Tante risorse naturali, poche libertà: situazione politica in Kazakistan
Lo stipendio medio dei manifestanti è di 500 euro al mese e negli ultimi due anni la crisi pandemica e altre scelte del governo hanno alzato i prezzi dei beni di prima necessità.
Per la normativa vigente è vietato organizzare manifestazioni politiche contro il governo, l’accusa è di terrorismo, ed è molto difficile fondare un partito politico diverso da quelli già esistenti. «Attualmente è inesistente un’opposizione politica, la legge contro il terrorismo ostacola la creazione di partiti che vadano contro l’attuale dirigenza», dice ancora Stango.
Tutti i media indipendenti sono stati chiusi e i canali Telegram vengono periodicamente cancellati. Uno dei pochi ancora attivi è #ActivistsNotExtremists, coordinato da attivisti ora residenti a Kiev. Dal 2 gennaio però anche Telegram, come tutta la rete di internet, è stato bloccato e non si riesce ad accedere ai social.
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Proteste da Almaty a Nur-Sultan: cosa succede in Kazakistan
Il 4 gennaio oltre 40 città kazake, con in testa la capitale economica Almaty nella parte orientale del Paese, si sono riempite di migliaia di manifestanti che al grido di «Protesta generale» hanno chiesto le dimissioni del governo e nuove elezioni democratiche.
La prima reazione delle forze dell’ordine è stato disperdere la gente con gas lacrimogeni e idranti. Le proteste hanno abbattuto le statue del vecchio presidente Nazarbayev, fino a pochi giorni fa a capo del sistema di sicurezza nazionale, ed è stato organizzato un sit-in davanti al Parlamento.
Pesanti scontri tra militari e manifestanti hanno portato alla devastazione dell’aeroporto della capitale Nur-Sultan, chiuso per alcune ore mentre quello di Almaty è ancora chiuso, al coprifuoco dalle 23 alle 7 del mattino e alla difficile apertura dei negozi.
Il 6 gennaio l’ordine del presidente Tokayev è stato quello di sostituire le pallottole di gomma con proiettili veri e di colpire per uccidere. I manifestanti sono stati definiti terroristi. Sono rimasti a terra ufficialmente 164 corpi, tra cui 3 bambini. Oltre 6 mila gli arresti per manifestazione illegale e accuse di aggressione alle forze dell’ordine.
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Truppe russe in Kazakistan: la situazione attuale
Il presidente Tokayev dopo il 4 gennaio ha chiesto l’intervento della coalizione di cinque Stati ex sovietici che da trent’anni costituisce una rete di protezione militare. Le truppe del Trattato di sicurezza collettivo sono arrivate dalla Russia.
«Tokayev ha scelto di appoggiarsi a Putin, deve aver concordato con lui il via libera nel ridurre il potere di Nazerbayev», continua Stango, che ha visitato il paese nel 2018. La Russia è il primo partner commerciale del paese e dall’indipendenza del 1991 ha sempre avuto interessi estrattivi, imprenditoriali e bancari e secondo Antonio Stango c’è una strategia ben precisa: «Tokayev ha continuato la politica del suo predecessore Nazarbayev verso la Russia, ma tiene molto anche alla Cina avendo studiato lì. Vuole creare una sua oligarchia e tenendosi la Russia e la Cina può lasciare andare i patti con i Paesi occidentali».
La risposta della comunità internazionale
Il comitato per i diritti umani dell’Onu ha richiesto una risoluzione immediata e la fine della repressione. Gli Stati Uniti sono pronti a parlare degli scontri con Putin.
Roberto Rampi è senatore del Partito democratico e nel 2018 ha visitato il Paese, insieme a Stango, come membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. «E’ un paese ricco, la classe dirigente si forma in Occidente e sono molto bravi a tessere relazioni. La risposta a questa nuova crisi dovrebbe essere un dialogo che porti alla democratizzazione della macchina politica, creare una nuova classe dirigente libera».
Rampi ha conosciuto molti attivisti, molte donne che dimostrano la grande partecipazione di tutta la società. «Ci sono grandi donne, come l’avvocata Bota Jardemalie, che conoscono la società e sono riconosciute come leader. Dovrebbe essere nostro compito aiutarle ad avere elezioni e nuovi ruoli». L’Italia per ora però latita, gli interessi economici del nostro Paese sono altissimi visto che siamo i secondì importatori di petrolio kazako e la nostra Eni estrae gas dal 1992.