Israele e Palestina, conflitto all’insegna delle violazioni del diritto
I razzi di Hamas. La risposta sproporzionata di Israele. E una sistematica discriminazione che dura da decenni. Ecco le conseguenze dell'ultima guerra e qual è la situazione oggi in Israele e nei Territori palestinesi occupati
di Roberto Renino
«Tornare allo status quo non è la risposta», scrive in un tweet Philippe Bolopion, vice-direttore dei programmi di advocacy di Human Rights Watch. «La violenza esiste in un sistema di repressione sostenuto da una forza schiacciante e orchestrato dal governo israeliano per assicurare la dominazione della popolazione ebraica».
Nella notte tra il 20 e il 21 maggio 2021 è stato raggiunto un cessate il fuoco tra il governo di Israele e Hamas – il partito militante palestinese stanziato nella Striscia di Gaza – dopo undici giorni di sangue che hanno causato 248 vittime palestinesi a Gaza e 12 in Israele. I feriti sono quasi duemila e anche in Cisgiordania si contano vittime tra i palestinesi a seguito delle aggressioni e degli scontri esplosi in varie città.
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Israele e Palestina dopo il conflitto: tutti vincitori, tutti vinti
Entrambe le fazioni si sono dichiarate vincitrici. Le autorità israeliane hanno dichiarato di aver assestato un colpo decisivo contro Hamas, specificando di aver distrutto le reti dei tunnel sotterranei dell’organizzazione, depositi di armi e di aver ucciso «più di duecento militanti e almeno 25 figure di spicco». Tali numeri sembrano però in contrasto con il numero di vittime totali, di cui gran parte sono state considerate civili.
Dal canto suo, Hamas rivendica una vittoria di Pirro per aver resistito contro un oppressore più forte sia dal punto di vista economico che militare. Posizione sostenuta dall’Iran – che non ha mai smesso di finanziare il partito guidato da Ismail Haniyeh – definita «storica vittoria». Teheran si prepara inoltre a essere tra gli attori della ricostruzione della devastazione che ora governa Gaza.
Secondo la Croce rossa internazionale (Icrc) la ricostruzione richiederà decenni e la situazione è al collasso: mancano cibo, acqua e medicine.
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Striscia di Gaza: l’eredità della guerra e la situazione oggi
Il vero prezzo dello scontro lo pagano ancora una volta i civili. Secondo le Nazioni Unite, più di 70 mila palestinesi di Gaza hanno perso la casa sotto i bombardamenti israeliani. Un disastro umanitario in un contesto già critico: la Striscia di Gaza è infatti sottoposta ad un vero e proprio stato di assedio da quasi 15 anni, giustificato dalla presenza di Hamas, organizzazione considerata terrorista da Israele, Stati Uniti e Unione europea.
Per quanto il supporto di Hamas vari a seconda del luogo e del momento storico, il trattamento che Israele riserva ai palestinesi di Gaza (circa 2 milioni per 40 kmq di estensione della striscia) è per tutti quello di potenziali attori di terrorismo: confinati in una prigione a cielo aperto dove mancano i più basilari servizi, a partire dall’acqua potabile.
Secondo le stime della Commissione per i diritti economici, sociali e culturali, il 96% dell’acqua estratta nei territori di Gaza non è destinabile al consumo umano. L’acqua è infatti contaminata dalle infiltrazioni saline nella falda e del sistema fognario danneggiato dagli attacchi israeliani degli anni scorsi.
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Conflitto israelo-palestinese: Israele ha violato il diritto
Allo stato attuale, danni estesi sono riportati ad ogni tipo di infrastruttura: non sono stati risparmiati impianti di produzione di energia, ospedali (tra cui l’unico centro Covid nella striscia) e scuole, in chiara violazione del diritto umanitario, che vieta espressamente l’utilizzo di strutture civili e necessarie alla sopravvivenza come bersaglio (articoli 52 e 54 del Primo protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra).
Divieto ignorato più volte dall’esercito israeliano, che ha giustificato ogni sua azione come destinata a colpire edifici o aree dove considerava probabile la presenza di uomini o postazioni legate ad Hamas, non sempre rivelatesi veritiere.
Casi emblematici sono i bombardamenti sui campi profughi e – tra i vari – la distruzione del palazzo che ospitava le redazioni di Al-Jazeera, Associated Press e altre agenzie di stampa, colpito poco dopo un avvertimento delle autorità ai giornalisti e operatori presenti nel palazzo. Tuttavia, non è stata fornita alcuna dimostrazione dell’effettiva presenza di miliziani.
I razzi di Hamas e la risposta sproporzionata di Israele
L’azione militare su larga scala, che ha visto impiegati centinaia di velivoli, mezzi terrestri e navali israeliani, risulta in molti dei suoi aspetti in violazione delle norme previste dal diritto umanitario. Oltra la già citata aggressione ai danni dei civili, si aggiunge la sproporzionalità della risposta israeliana al lancio di razzi da parte di Hamas, considerabile una effettiva misura di “punizione collettiva“, altrettanto proibita dall’articolo 33 della quarta Convenzione di Ginevra.
Dal lato di Hamas, il lancio dei razzi Qassam – ordigni rudimentali che colpiscono in maniera discriminata – è anch’esso in aperta violazione di quanto affermato dai protocolli alla stessa Convenzione, che vieta l’uso e lo sviluppo di «armi che non possono essere dirette contro un obiettivo militare determinato» (art. 51 del Primo protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra).
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Israele e Territori palestinesi: una storia di violazioni
La questione va al di là della contingenza odierna. La situazione odierna è frutto di una sistematica oppressione e violazione dei più basilari diritti umani negati alla popolazione palestinese fin dalla proclamazione di indipendenza di Israele nel 1948.
I coloni occupano territori e case con pretesti di proprietà senza concedere appelli. Giusto qualche giorno fa, nel quartiere di Sheikh Jarrah, nel cuore di Gerusalemme, per esempio, un colono è entrato nel giardino di una casa del quartiere dicendo: «Se non la prendo io casa vostra, la prenderà comunque qualcun altro». È accade di frequente che bulldozer e ruspe distruggano pozzi, sradichino ulivi ed ergano muri, restringendo un’intera popolazione in recinti, ad una vita costretta tra un checkpoint e l’altro.
Numerosi sono i rapporti e le risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’Onu e di varie organizzazioni che denunciano tale indiscriminata e sistematica violazione, che passa dal water grabbing alla discriminazione nell’accesso alle cure e alle vaccinazioni nell’ambito del Covid-19.
Il regime israeliano di apartheid e la necessità di riconoscere l’Autorità palestinese
Un ritorno allo status quo ante non è sostenibile. Interrotta l’offensiva militare è necessario affrontare una realtà la cui difficoltà non è la presupposta complicatezza, bensì la sua polarizzazione.
L’immobilismo della comunità internazionale – anche dei paesi arabi prima coinvolti nella difesa della causa palestinese, insieme al tacito appoggio delle varie potenze globali ad Israele – non fa che perpetuare un’impunità generalizzata nell’attuare di fatto un regime di apartheid così come definito dalla cosiddetta Convenzione sull’Apartheid del 1973 e dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 1998.
Quale soluzione dunque? Nessuna via che non offra una vita almeno dignitosa alla controparte palestinese è percorribile, una politica di oppressione non è più né sostenibile né tollerabile e non lo è mai stata. La militarizzazione dei territori occupati non è né la soluzione per delegittimare Hamas né per tentare di annichilire la causa palestinese.
È quantomeno necessario rinegoziare gli accordi violati di Oslo e intraprendere un percorso che porti ad un riconoscimento effettivo della sovranità dell’Autorità palestinese, interrompendo l’opera di colonizzazione e sgombero da parte israeliana. Ricordando che non solo riconoscere, ma anche garantire i diritti umani è un dovere anche in tempo di guerra e di occupazione.