Andrea Segre presenta Ibi al Festival del Cinema Africano
Il regista de "L'ordine delle cose" presenta il film "Ibi" al Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina di Milano. La storia di una donna del Benin arrivata in Italia e costretta a fare i conti con un'assurda burocrazia. Ecco la recensione e il trailer
È un’istante la vita, ma soprattutto la vita di Ibitocho Sehounbiatou, detta Ibi. Nata nel 1960 in Benin, è arrivata in Italia nel 2000 lasciando in Africa, in Benin, tre figli e una madre. La storia della donna inizia con un arresto, perché arriva in Italia come corriere della droga.
Dopo tre anni di detenzione, però, ecco l’estenuante tentativo di rinascita di Ibi. Che cerca di intraprendere una nuova vita a Castel Volturno (Caserta), svolgendo la professione di fotografa e videomaker. E che è costretta a lottare per oltre 10 anni per ottenere un permesso di soggiorno, un nulla osta burocratico, che le permetta di vivere in Italia e allo stesso tempo poter ritornare nella sua terra per rivedere i figli e la madre. Questa è la storia raccontata in Ibi, l’ultimo documentario di Andrea Segre.
Ibi: il trailer del film di Andrea Segre
Ibi e il totalitarismo dei permessi di soggiorno
Il film sarà proiettato il 20 marzo alle 17 allo Spazio Oberdan di Milano all’interno del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, di cui Osservatorio Diritti è media partner.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
In questa occasione è prevista la presenza dello stesso regista, che avrà modo così di spiegare al pubblico un’opera che non ha bisogno di aggettivi perché è un film della realtà nell’accezione più completa e totalizzante. Una testimonianza della nostra epoca. È il nostro presente, diapositiva di un mondo naufragato nel totalitarismo dei permessi di soggiorno e nell’assolutismo della carta anteposta all’ uomo. Un tema, del resto, che era già stato affrontato nel film d’apertura del Festival dei Cinema Africano 2018, “Une saison en France”.
Andrea Segre: il “prima” e il “dopo” nel film Ibi
Non si può anticipare il finale in una recensione cinematografica, ma allertare lo spettatore sì. Ibi è un documentario che mette con le spalle al muro e ciò avviene perché Segre in questo film ha creato un “prima” e un “dopo”.
Il ”prima” è Ibi. Lei che si racconta a noi e lo fa con le immagini che lei stessa ha girato da fotografa e videomaker, in casa sua o alle manifestazioni dei migranti. Attraverso queste diapositive viene messa a nudo la vita di una donna che ha vissuto nell’illegalità burocratica all’interno del super attico Europa.
Ibi racconta la sua quotidianità, il suo amore per il marito, il suo lavoro di fotografa, la nostalgia per i figli e la madre, le sue preghiere e l’ostinazione di non affidare i sogni al suicidio permanente della rassegnazione.
Non c’è retorica, ma realtà, perché lo sguardo e la prospettiva sono quelli di Ibi. Non ci sono filtri, intermediari, o narratori terzi e noi spettatori siamo quindi chiamati a dover conoscere l’uomo in quanto uomo (in questo caso donna in quanto donna): le sue forze, le sue debolezze, il suo io e ciò, implicitamente, obbliga a oltrepassare lo schermo e a creare empatie, e mette, appunto, con le spalle al muro perché costringe, senza vie di fuga, a fare i conti con l’umanità del nostro contingente.
Il ”dopo” che descrive Segre nel suo film è invece tutto quello che oltrepassa la vita di Ibi. È ciò a cui noi assistiamo nel momento in cui non è più lei la protagonista che si racconta al pubblico, ma attore principale diventa il vuoto della sua assenza, paradigma del vuoto d’identità e di esistenza, con cui devono fare i conti gli ”irregolari”. Uomini, donne, certo, ma nell’assolutismo delle catalogazioni: ”irregolari”.
Una mostra fotografica con gli scatti di Ibi
La proiezione del film nato da un’idea di Andrea Segre e Matteo Calore sarà accompagnata dalla visita guidata alla mostra delle foto di Ibi. Immagini che fanno capire quindi perché la vita della donna ”è un istante”.
L’istante, nella sua etimologia, è ciò che sta, che permane. E Ibi, con le sue foto, le sue istantanee, è riuscita a far sì che i racconti della vita di una donna beninese, nel limbo burocratico dell’Italia contemporanea, siano diventati un istante permanente della storia del nostro presente.
Gli altri film di Andrea Segre e i protagonisti di Ibi
Andrea Segre è il regista anche dei film pluripremiati Come un uomo sulla terra (2008), Il sangue verde (2010), Mare Chiuso (2012) e L’ordine delle cose (2017).
In Ibi la fotografia è curata da Matteo Calore e il film, 64 minuti in tutto, è prodotto da Jolefilm con Rai Cinema e ZaLab e il sostegno di Open Society Foundations.