Stai fermo lì: l’odissea di un dissidente iraniano in un film

Nel documentario “Stai fermo lì” della giornalista Clementina Speranza la storia di Babak Monazzami, fuggito dall'Iran verso Italia e Germania per denunciare il regime repressivo del suo Paese

«Tante cose in Iran sono proibite. Le cose che in tutto il mondo sono normali e naturali. Per esempio non si può bere alcol, non si può uscire con una ragazza, non si possono guardare i film occidentali, se hanno scene d’amore. Non si può ascoltare musica occidentale, non si può festeggiare, tante e tante altre cose. Una volta sono stato arrestato, imprigionato e picchiato per tre giorni e quando mi hanno portato dal giudice il reato ascrittomi era che avevo un aspetto che provocava pensieri impuri nelle donne sposate».

Così racconta Babak Monazzami, 38enne attivista persiano, in Stai fermo lì, documentario realizzato dalla giornalista Clementina Speranza che ripercorre parte della vita del giovane iraniano, in Iran e poi in Italia.

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Babak Monazzami protesta a Berlino

La testimonianza della repressione di Babak Monazzami

Dissidente politico, fuggito dal suo Paese nel 2005 prima, poi definitivamente nel 2007, Babak Monazzami è stato intervistato da Osservatorio Diritti il 27 ottobre del 2022, per portare la sua testimonianza sulla repressione da parte del regime di Teheran e riflettere sul movimento di protesta popolare.

Una protesta nata al grido di “Donna, vita, libertà”, che si è scatenata a settembre 2022, dopo l’uccisione della 22enne Mahsa Amini, e che continua a scuotere il Paese, nonostante la durissima reazione del regime che cerca di soffocare il dissenso.

Stai fermo lì, la rivolta iraniana in un film

Originario di Khorramabad, capitale della regione del Lorestan, sulle montagne della zona occidentale dell’Iran, vicino al confine con l‘Iraq, nel documentario Monazzami racconta, con profonda commozione, l’autoritarismo della Repubblica islamica che invade, permea tutti gli aspetti della vita e della società.

La repressione in Iran, spiega, riguarda in primo luogo le donne – primi bersagli di obblighi e divieti, a partire dall’obbligo per legge di indossare il velo islamico – ma anche gli uomini, soprattutto i giovani, e tutti coloro che non si piegano alle rigide regole imposte dalle autorità, che cercano di conservare uno spazio di autonomia critica, che si vestono alla maniera occidentale, ascoltano musica occidentale, portano i capelli troppo lunghi o comunque con tagli considerati estranei ai valori islamici, come è successo a lui.

La rivolta – sottolinea l’attivista – riguarda tutti in Iran, donne e uomini, tutti coloro che aspirano alla libertà.

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Foto: via Pixabay

Carcere, torture, poi la fuga: il calvario di Monazzami

Nel 2005, dopo aver subìto varie vessazioni, Monazzami si trasferisce in Italia per studiare all’università. Nel 2007 rientra in Iran per andare a trovare la sua famiglia. Ma ad Isfahan, dove vivono i suoi, viene arrestato per aver partecipato ad una manifestazione pacifica.

In carcere lo bendano, lo tengono in un seminterrato, per giorni lo sottopongono a feroci torture, all’elettroshock, gli rompono il naso.

L’atroce esperienza della prigionia, dalla quale riesce ad uscire, lo porta alla decisione di fuggire definitivamente dall’Iran, lasciarsi tutto alle spalle, più rapidamente possibile. Tornare in Italia: una scelta necessaria per continuare a vivere.

Con i suoi ricordi, oggi Monazzami dà voce ai tantissimi detenuti nelle carceri iraniane vittime della brutalità del regime, sepolti nelle celle, sottoposti a torture e abusi, avvolti nelle tenebre, senza la speranza di poterne uscire vivi.

Il tentativo di iniziare una nuova vita in Italia

In Italia, l’attivista iraniano si ricostruisce una vita, lavora come modello e come artista. Partecipa al video musicale del brano della cantante Giusy Ferreri “Stai fermo lì”: quella frase è il leitmotiv della sua vita – racconta nel film – e diventa così il titolo del documentario.

Monazzami acquista lo status di rifugiato. Collabora con il Tribunale di Milano, la guardia di finanza, carabinieri e polizia come interprete e traduttore dalla lingua persiana. Ma anche in Italia non trova la pace sognata, anche qui continua a ricevere minacce di morte.

Dall’Italia si sposta in Germania e acquista la cittadinanza tedesca. Non smette di denunciare l’oppressione esercitata dal regime iraniano, cerca di mantenere desta l’attenzione su ciò che accade nel suo Paese.

Quando nasce il movimento di protesta Donna, vita libertà, lui scende in piazza per manifestare contro Teheran, a sostegno degli iraniani che in patria sfidano con coraggio il regime.

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Babak Monazzami protesta a Berlino

A novembre del 2022 il brutale attacco subìto a Berlino

A novembre del 2022 – solo pochi giorni prima aveva rilasciato l’intervista a Osservatorio Diritti – Monazzami viene brutalmente picchiato e gravemente ferito a Berlino, durante una manifestazione contro il governo di Teheran. E per lui comincia una nuova odissea.

Oggi è guarito, fisicamente, ma il senso dell’ingiustizia e del sopruso continua a logorarlo interiormente. Perché, commenta Monazzami, non c’è sicurezza nemmeno per i rifugiati iraniani in Europa, per i dissidenti e gli attivisti che in Occidente si espongono per cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione del loro Paese.

Al documentario “Stai fermo lì” il Premio per la pace al Festival del cinema dei diritti umani

Stai fermo lì è stato proiettato al Festival del cinema dei diritti umani di Napoli, dove ha ricevuto il Premio per la pace conferito dall’Ambasciata della Svizzera in Italia, che ha patrocinato il festival.

«Il Premio per la Pace è particolarmente importante non solo per le condizioni in cui il pianeta si trova in questo momento, con quasi 50 conflitti, di cui due alle porte dell’Europa, ma anche perché il 2023 è il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo», ha spiegato Maurizio Del Bufalo, coordinatore e direttore artistico del Festival.

«Questo premio per la pace vuole essere un premio a chi, nonostante le condizioni in cui il suo Paese si trovi, riesce a lavorare per la pace di tutti anche a costo di pagare per le conseguenze del suo coraggio».

Clementina Speranza invita a non voltare le spalle a chi scappa dalla propria terra

Recuperare i ricordi del passato è stato un processo estremamente sofferto per Monazzami. «Non è stato facile effettuare le riprese, l’emozione ha interrotto numerose volte il girato. Il ripercorrere i ricordi cruenti e tragici, o sentimentali, sui propri cari, impediva a Babak di proseguire», ha raccontato al Festival del cinema dei diritti umani la regista Clementina Speranza, che da anni segue le vicissitudini dell’iraniano.

La giornalista non compare mai nel documentario, se non con la sua voce, alla fine del film, per un brevissimo, laconico commento:

«Molti conoscono questa storia e hanno voluto tacere. Io ve l’ho raccontata».

Al Festival di Napoli ha spiegato: «Obiettivo del film non è solo quello di risvegliare la coscienza del pubblico, ma anche di ricordare quale sia il prezzo che il silenzio può esigere. È un invito a non chiudere gli occhi verso chi è dovuto scappare dalla propria terra anche se mai l’avrebbe voluto».

La regista di “Stai fermo lì”: «Continuerò a parlare per chi non ha voce»

L’attivista iraniano si dice particolarmente grato per il Premio per la pace ricevuto dal film: «Per me è un onore ed è una motivazione in più per continuare a parlare a nome di chi non ha voce», spiega Monazzami.

«Vorrei che questo film servisse a mettere in evidenza le problematiche prima di tutto psicologiche che tantissimi rifugiati vivono, dopo aver subìto atrocità come le torture nei loro Paesi. Tantissime persone che hanno vissuto delle esperienze terribilmente dolorose, proprio come me, non riescono a raccontare, hanno imparato a sfumare i loro ricordi, ma restano bloccati dentro, nella loro anima. Nel documentario ho scelto di raccontare solo alcuni episodi della mia vita. Ma, mentre ripercorrevo il mio passato, una valanga di ricordi dolorosi mi è tornata alla mente».

E chiarisce: «Ho accettato la realizzazione di questo documentario per lanciare un messaggio: libertà, diritti e democrazia vanno difesi con forza perché una volta che vengono persi è molto difficile riconquistarli. Nel mio Paese li abbiamo perduti, si sta lottando per riaverli indietro, ma fino ad oggi non è stato possibile».

La lotta dal carcere di Narges Mohammadi

Stai fermo lì è un richiamo a non far calare l’attenzione su ciò che avviene in Iran. Lo scorso 10 dicembre l’attivista iraniana per i diritti umani Narges Mohammadi, insignita del Nobel per la pace 2023, non ha potuto ritirare personalmente il riconoscimento a Oslo: è rinchiusa in carcere e le autorità di Teheran non le hanno consentito di uscire.

Ma dietro le sbarre l’attivista non smette di combattere contro il regime, coltivare la speranza e far sentire al mondo la sua voce di libertà.

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