Campo profughi di Moria: brucia il centro per migranti più grande d’Europa
Un incendio mette in fuga migliaia di migranti stipati nel campo profughi di Moria, sull'isola di Lesbo, in Grecia. Dove la situazione era già critica: il centro ospita un numero di persone quattro volte superiore a quello per cui era stato progettato ed è in lockdown da quando è stato scoperto il primo caso di Covid-19
Il campo profughi di Moria, a Lesbo, in Grecia, è stato parzialmente evacuato a causa di un grosso incendio. Un evento che complica ancora di più una situazione già ben oltre la soglia di guardia del centro per migranti più grande d’Europa: i richiedenti asilo presenti sono circa 12.700, contro una capienza massima di circa 3 mila persone. E proprio nei giorni scorsi si sono scoperti i primi casi di Covid-19 all’interno del campo.
«L‘effetto immediato della quarantena decisa dalle autorità greche dopo la scoperta del primo caso di coronavirus tra i migranti è un cordone di polizia tutto intorno al campo di Moria che impedisce di entrare e uscire».
A dirlo è Diego Saccora, operatore sociale e vicepresidente dell’associazione Lungo la Rotta Balcanica, che ha trascorso gli ultimi giorni proprio sull’isola di Lesbo. La presenza delle forze dell’ordine con il filo spinato non è bastata, comunque, ad arginare le fiamme che hanno avvolto il campo nella notte tra martedì e mercoledì 9, spingendo molti a scappare senza portare via niente con sé.
«Sembra che ogni parte del campo e delle aree circostanti stia bruciando. È il peggior incendio mai visto a Moria», scrive sul suo account Facebook l’ong Aegean Boat Report.
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Campo profughi Moria: entra il nuovo coronavirus
Il rogo è arrivato in un momento delicato per il campo di Moria e per i migranti. Come in un sadico gioco del destino, infatti, le fiamme sono divampate dopo la decisione delle autorità di mettere in quarantena il campo e le zone limitrofe per arginare la diffusione del coronavirus.
«Ufficialmente il campo ha posto solo per tremila persone, ma nell’area tutto intorno ci sono tende e baracche che ospitano i tanti arrivati dalla Turchia», spiega ancora Saccora. Che denuncia come, «visto l’alto numero di esseri umani concentrati in uno spazio davvero limitato, non stupisce che, dopo il primo, altri casi stiano emergendo tra i migranti fermi a Moria».
Another two positive #COVIDー19 cases got confirmed in Moria camp, after 500 tests were completed. A total of 2000 tests are being carried out #Lesvos #Refugeesgr https://t.co/vvYAM2c1t0
— Lesvos Solidarity (@Lesvosolidarity) September 5, 2020
La situazione era rischiosa già nei giorni precedenti, come denunciato da Medici Senza Frontiere, che ha definito, fin da subito, «sconsiderata, potenzialmente dannosa e pericolosa» la decisione di mettere in quarantena tutta l’area del campo di Moria. Soprattutto, per più di duecento individui «le cui condizioni di salute pregresse e l’età li pone particolarmente a rischio con il Covid-19».
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Grecia: lockdown e tensione sull’isola di Lesbo
Eppure il governo greco non ha fatto passi indietro, seguendo le linee guida europee sull’inutilità della quarantena applicata a campi interi. «Le misure di contenimento pensate nei mesi scorsi ora vengono applicate su vasta scala», spiega Saccora, convinto che la notizia della diffusione del coronavirus all’interno dei campi abbia offerto al governo «l’occasione ideale per trasformare in realtà quella che finora era rimasta solo un’ipotesi: chiuderli». E di fatto imprigionare le persone che all’interno.
Queste misure hanno reso la situazione del campo più esplosiva e i rapporti tra residenti e migranti ancora più incandescenti, come dimostrano alcuni episodi avvenuti in agosto, ancora prima della scoperta dei primi casi di coronavirus, e i tentativi di intralciare la fuga dei migranti, una volta scoppiato l’incendio.
Nonostante il drastico calo degli arrivi via mare, passati nei primi otto mesi dall’anno secondo i dati dell’Alto commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), dai 25.590 del 2019 agli 8.821 del 2020, la presenza dei migranti nel campo e nell’area adiacente provocava le ire dei residenti sull’isola, timorosi sia per le ripercussioni sulla stagione turistica sia per le potenziali minacce sanitarie.
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Campo rifugiati di Moria: l’attacco agli operatori
Il 20 agosto la manifestazione indetta contro l’inaugurazione di una struttura di Medici senza frontiere è sfociata in violenze e in aggressioni contro lo staff, come che ha denunciato l’organizzazione umanitaria: «Un piccolo gruppo si è radunato all’esterno (dell’edificio inaugurato, ndr) urlando, minacciando il nostro team e lanciando pietre contro la struttura». Oltre ai malati e agli operatori umanitari, a finire nel mirino dei manifestanti sono stati gli stessi rifugiati in coda per la distribuzione del cibo.
«Un gruppo di fascisti e di residenti è sceso dalla collina, entrando per la prima volta nel campo», racconta ancora Saccora, evidenziando la potenziale pericolosità della loro azione. «Oltre a lanciare i sassi e a picchiare alcuni migranti senza colpe se non quella di essere lì, hanno appiccato il fuoco a qualche albero intorno che, visto il caldo e la siccità estiva, avrebbe potuto facilmente diventare la camera di combustione dell’intero campo». Come è avvenuto, con effetti disastrosi, nella notte tra l’8 e il 9 settembre 2020.
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In fuga dal campo profughi di Moria e dall’isola di Lesbo
Dall’isola di Lesbo i migranti cercavano di allontanarsi non appena ottenuto un qualunque documento di circolazione. Anche se, come nel caso del quarantenne di origine somala individuato come il primo sospetto caso di coronavirus nel campo, fossero costretti spesso a ritornare dopo che sulla terraferma non trovavano alcuna opportunità.
Anche se quasi due terzi delle richieste di protezione internazionale esaminate finora nel 2020 sono state accolte, per molti beneficiari resta difficile accedere ai programmi di assistenza e sostegno ai rifugiati.
«Affrontano seri ostacoli nell’ottenere i diritti a causa dell’assenza di un piano complessivo che ne permetta l’integrazione nel paese», denuncia l’ong Refugee Support Aegean (Rsa) in uno degli ultimi report.
Privi di sostegno da parte delle istituzioni greche, molti di loro sono finiti durante i mesi estivi ad affollare campi profughi informali che sorgono anche nelle piazze delle città, come quello di Victoria Square, ad Atene. Da cui potrebbe essere transitato anche il quarantenne di origine somala: prima di tornare, senza speranze né prospettive, e positivo al Covid-19, nel campo di Moria. Prima che prendesse fuoco.