Coronavirus Grecia: la pandemia entra nei campi profughi

In Grecia sono in quarantena i primi due centri d'accoglienza per migranti. Mentre la tensione con la Turchia rimane alta, il governo di Atene è arrivato a sospendere il mese scorso alcuni diritti fondamentali, come quello di richiesta d'asilo. E l'Europa tace

Molti paesi in Europa hanno chiuso le frontiere, ma il coronavirus ci sta dimostrando di non conoscere confini. In Grecia, dove ci sono circa 118 mila tra migranti e richiedenti asilo, la preoccupazione che il coronavirus si diffonda nei campi profughi è ormai realtà: a inizio aprile sono stati messi in quarantena i primi due centri d’accoglienza, Malakasa e Ritsona, rispettivamente a 40 e a 70 km a nord della capitale.

Atene ha cercato fin da subito di correre ai ripari, anche a causa dei nuovi arrivi dalla Turchia, ma le misure di emergenza prese dal governo hanno avuto per lo più ricadute in termini di diritti: il 1° marzo il premier Mitsotakis ha deciso unilateralmente di sospendere le domande di asilo per un mese. Provvedimento annunciato via Twitter.

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Migranti in attesa a Pazarkule, confine greco-turco (Foto: Charismaniac, via Wikimedia Commons)

Coronavirus Grecia: paura nei campi profughi

In Grecia i contagi sono al momento contenuti. In tutto il paese se ne contano poco più di 2 mila. I morti sono 93 (dati Oms). Le misure di contenimento sembrerebbero funzionare, ma il vero punto nevralgico rimangono proprio i centri d’accoglienza. Dopo che a metà marzo è stato denunciato un primo caso di contagio da Covid-19 sull’isola di Lesbo senza, al momento, infettare il campo profughi di Moria, a inizio aprile il virus è arrivato nei due centri d’accoglienza sulla terraferma.

A Ritsona sono 23 i positivi. Qui il 2 aprile è scattata la chiusura totale, «che significa guardie private all’interno e polizia all’esterno, 24 ore su 24 e sette giorni su sette», spiega Valentina Giudizio, responsabile di Lighthouse Relief. I volontari dell’ong che fino a poche settimane fa operavano offrendo supporto psicologico agli ospiti, al momento sono stati allontanati per sicurezza.

Da quando è iniziata la quarantena, gli unici rimasti a gestire il campo sono il personale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e della National Public Health Organization, che opera sotto la supervisione del ministro della Sanità.

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Grecia, centro di Ritsona in quarantena per coronavirus

«Al momento a Ritsona i casi positivi conclamati sono 23, ma potrebbero essere molti di più, visto che i tamponi non sono stati fatti a tappeto, ma solo a chi è entrato in contatto con la persona contagiata. Chiusi dentro le loro abitazioni allestite nei container, le persone difficilmente riescono a rispettare il distanziamento sociale. Per quelli che hanno la cucina in comune, il rischio è ovviamente maggiore», dice Valentina Giudizio.

Non potendo più uscire dal campo, neanche per fare la spesa, a garantire l’approvvigionamento ci pensa il personale dell’Oim, che settimanalmente distribuisce cassette di cibo e kit igienici. «Per ora è stata imposta una quarantena di due settimane, ma in realtà non si sa per quanto andrà avanti. Non so quanto possa essere sostenibile una situazione del genere», riflette la responsabile di Lighthouse Relief.

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Una veduta dall’alto del centro d’accoglienza per migranti e rifugiati di Moria, sull’isola di Lesbo (Grecia), in cui è ambientato il video dell’Unicef “Vita nel limbo”

Lesbo: Moria teme casi di contagi di coronavirus

La situazione a Ritsona, nonostante i casi positivi, non è così tragica come sulle isole greche. Nel campo di Moria, a Lesbo, il virus non è ancora entrato, ma i rischi che la situazione degeneri sono alti: la capienza massima è stata ampiamente superata da tempo e le condizioni igieniche sono estremamente precarie. Si parla di 20 mila tra uomini, donne e bambini, in una struttura che ne potrebbe ospitare non più di 5 mila. Un bagno ogni 160 persone, una doccia ogni 500, una fonte d’acqua ogni 325. Come denunciato da Hilde Vochten, coordinatrice medica di Medici Senza Frontiere (Msf):

«Le famiglie di cinque o sei persone devono dormire in spazi non superiori a 3 metri quadrati. Ciò significa che le misure minime di contenimento, come il lavaggio frequente delle mani e il distanziamento sociale per prevenirne la diffusione del virus sono semplicemente impossibili».

Priorità assoluta: evacuare i campi

Proprio per questo l’Unhcr, che già da settembre premeva sul governo greco per l’evacuazione dei campi, oggi insiste con maggiore determinazione: «Bisogna  portare via subito dalle strutture delle isole greche almeno le categorie più vulnerabili (anziani e adulti con patologie pregresse) », ha ribadito a Osservatorio Diritti Styliani Nanou, portavoce locale dell’agenzia delle Nazioni Unite.

Proprio in questi giorni sempre l’Unhcr sta identificando nuove possibili sistemazioni in appartamenti e alberghi, nel quadro del programma Estia, «ma è necessaria un’azione più rapida e decisa per alleggerire il sovraffollamento», continua Nanou. Che ricorda come anche gli altri paesi membri siano chiamati a questo sforzo comune: «Accogliamo con favore i progressi compiuti da Grecia, Germania e Lussemburgo nel ricollocamento di alcuni minori non accompagnati, ma incoraggiamo vivamente anche gli altri paesi dell’Unione a fare lo stesso».

Coronavirus Grecia: negata la richiesta d’asilo

Sul fronte dei diritti, le cose non sono andate meglio. Il premier Mitsotakis per giustificare la decisione di non accettare più domande d’asilo aveva fatto appello all’articolo 78.3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), quello che stabilisce in che modo l’Unione europea gestisce l’asilo in “situazioni di emergenza”.

Ma come ricordato dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), Atene «non può sospendere il diritto riconosciuto a livello internazionale di chiedere asilo e il principio di non respingimento che sono enfatizzati anche dal diritto dell’Ue». Tanto più che la decisione non è stata presa «previa consultazione del Parlamento europeo», come recita lo stesso articolo, oltre a non trovare base giuridica nella convenzione Onu del 1951.

Ong al fianco dei migranti

E infatti il decreto di emergenza non è stato prolungato oltre marzo. Tuttavia la situazione degli ultimi migranti arrivati a Lesbo è critica.

Una responsabile di Relief Lighthouse racconta a Osservatorio Diritti che «nel nord dell’isola ci sono quattro gruppi di persone, attualmente tenuti in luoghi remoti e  all’addiaccio per quello che è stato definito un “periodo di quarantena obbligatorio di due settimane”. 130 persone, tra cui 49 bambini, sono ancora bloccate all’aperto sulla sponda nord e vivono in condizioni precarie, dormendo in tende senza accesso all’elettricità o alle strutture sanitarie. «Alle persone che arrivano a Lesbo per chiedere asilo deve essere garantita una sistemazione sicura, soprattutto considerando la minaccia di Covid-19».

Secondo Human Rights Watch (Hrw) sono stati quasi 2.000 i richiedenti asilo arrivati dopo il 1° marzo a cui è stato inizialmente negato il diritto di presentare domande di asilo. «La sospensione però è scaduta il 1° aprile», dice Nanou dell’Unhcr che garantisce che «le loro domande saranno registrate dall’ufficio preposto, non appena riprenderanno tutte le operazioni di registrazione – il 15 maggio – sospese al momento a causa delle misure anti Covid-19».

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Il Primo Ministro greco, Kyriakos Mitsotakis (via kremlin.ru)

La reazione greca al ricatto della Turchia

Tutto ciò è accaduto anche se nel decreto non c’era alcun riferimento al contenimento dell’epidemia. Questo perché la decisione sembra essere stata presa in reazione all’annuncio del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di voler riaprire le frontiere. Da fine febbraio, infatti, la situazione ai confini tra Grecia e Turchia è tornata incandescente.

Nelle prime due settimane di marzo migliaia di migranti si sono riversati verso questa terra di nessuno. Complici anche le manovre militari nella regione di Idlib, dove è in corso l’operazione Scudo di Primavera, lanciata a fine febbraio da Ankara per contrastare l’offensiva del presidente della Siria, Bashar al-Assad. Mossa che ha spinto tantissimi siriani a cercare rifugio proprio in Turchia.

Il ruolo dell’Europa nella militarizzazione delle frontiere

Di fronte all’ennesimo ricatto di Erdoğan, Atene ha optato per un’ulteriore militarizzazione delle frontiere esterne. Operazione sostenuta dall’agenzia Frontex. «La maggior parte degli Stati membri dell’Ue e dei paesi dell’area Schengen che partecipano alle operazioni di Frontex in Grecia hanno deciso di estenderne il dispiegamento», si legge in una nota del 3 aprile.

Sempre dalla nota si deduce che il giorno precedente, nella zona di frontiera lungo il fiume Evros, sono arrivati 116 funzionari tedeschi e 19 danesi. Scopo: «Assistere le autorità greche nelle operazioni di pattugliamento dei confini».

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