Migranti Grecia: la crisi immigrazione travolge l’isola di Lesbo
Autolesionismo e tentativi di suicidio nei minori sono soltanto le ultime preoccupanti notizie dall'hotspot di Moria, sull'isola di Lesbo, in Grecia. Dove si ammassano 11 mila migranti in condizioni igieniche e sanitarie drammatiche. La testimonianza dell'attivista per i diritti umani Nawal Soufi
È di nuovo emergenza a Lesbo. O, meglio, è emergenza continua nell’isola greca, dove il numero delle persone ospitate nell’hotspot di Moria, a pochi chilometri dal capoluogo Mitilene, continua a crescere: nella prima metà di settembre sono sbarcati 1.500 migranti, che vanno ad aggiungersi ai tanti che da mesi, alcuni da anni, languiscono nel centro governativo in attesa di una soluzione che non arriva.
Al momento a Moria ci sono quasi 11 mila persone. Una situazione ormai insostenibile, come testimonia Nawal Soufi, l’attivista per i diritti umani che dal 2013 diffonde gli Sos dei migranti e che, con il suo impegno, ha contribuito a salvare migliaia di persone nel Mediterraneo.
«Gli sbarchi sono continui, quasi ogni giorno arrivano tanti bambini e donne, molte incinte. Sono soprattutto siriani, ma anche afgani e iracheni: ci sono gruppi di africani che sono qui a Lesbo dal 2016».
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Il reindirizzamento dei rifugiati verso Atene e Salonicco è un’illusione, se non una «presa in giro», dice Nawal. «Quando le autorità si decidono a far partire 500/600 migranti, nell’arco di una settimana sono già stati rimpiazzati da altri arrivati via mare».
Migranti Grecia: Unicef denuncia situazione spaventosa
Anche l’Unicef, poche settimane fa, aveva dipinto un quadro simile. «Mentre il numero di minorenni rifugiati e migranti che arrivano sulle isole della Grecia continua ad aumentare, le condizioni presso i centri che li ospitano diventano sempre più spaventose e pericolose», ha dichiarato Lucio Melandri, coordinatore Unicef per la Risposta alla crisi rifugiati e migranti in Grecia.
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«Tutti i rifugiati e i migranti che vivono in centri di accoglienza e identificazione, soprattutto i minorenni, hanno bisogno di essere trasferiti sulla terraferma senza ulteriori ritardi, in modo che vengano assicurati loro adeguati alloggi, protezione, cure mediche e altri servizi di base».
Sbarchi migranti in Grecia: pronti a fuggire dalla Siria
Un nuovo movimento di persone in fuga dalle bombe verso l’Europa potrebbe essere innescato dalla temuta “operazione finale” del governo di Damasco sull’ultima roccaforte dei ribelli a Idlib, in Siria. Un’azione per ora arginata dall’accordo di metà settembre fra Putin ed Erdogan, che prevede una zona cuscinetto controllata dalle forze russe e turche in funzione anti-Assad.
Secondo dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), oltre 2 milioni di civili sarebbero già pronti a partire verso il confine turco. Nella provincia di Idlib, che prima dell’inizio del conflitto, nel 2011, contava 750 mila abitanti, oggi vivono due milioni e mezzo di persone, di cui più della metà bambini, profughi interni costretti a vivere in campi di accoglienza sovraffollati e privi dei servizi di base.
Rotta migranti: la via del Mediterraneo dal 2015 al 2018
Nel frattempo, la rotta del Mediterraneo è diventata sempre più pericolosa. Siamo lontani dai numeri del 2015, momento di massima crisi in Medio Oriente, con l’espansione dell’Isis in Siria e Iraq e la proclamazione del Califfato, quando 856.723 persone si riversarono in mare per sfuggire alla violenza della guerra e degli estremisti islamici. L’anno prima erano stati “soltanto” 41.038 e, nel 2016, con la chiusura della rotta balcanica, di nuovo gli arrivi scendevano a 173.450, fino ai 29.718 mila del 2017.
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Un trend che si mantiene anche quest’anno, se si considerano i dati Unhcr al 24 settembre 2018: si sono imbarcati 82.543 migranti (verso Italia, Grecia, Spagna e Cipro), con una stima di 1.719 morti. Di questi, 22.486 si sono diretti in Grecia (il 32% sono siriani), di cui 12.039 soltanto a Lesbo.
Crisi migranti tra Grecia, Turchia e Unione europea
L’isola di Saffo, per la sua posizione strategica, è il principale approdo per chi dalla Turchia tenta di raggiungere l’Europa via mare. Nel solo 2015 accolse mezzo milione di rifugiati, perlopiù siriani in fuga dalla guerra. Uomini, donne e bambini che, con giubbotti salvagente di fortuna, su imbarcazioni precarie, attraversavano il mare soprattutto di notte, per ingannare la Guardia Costiera, e in seguito di Frontex, pattugliatori dell’integrità dei confini europei.
Sbarcavano fradici e infreddoliti e da lì, soccorsi dalle organizzazioni umanitarie, venivano portati in un campo di accoglienza in attesa di riprendere il viaggio verso il continente. Tutto questo è finito con il 20 marzo del 2016, con l’accordo stretto fra Unione europea e Turchia, che prevede l’espulsione in Turchia di tutti i migranti entrati irregolarmente in Grecia, “servizio” pagato dall’Europa 6 miliardi di euro.
Per ogni immigrato senza permesso riportato indietro, un rifugiato dovrebbe essere ammesso attraverso canali umanitari. Ma si sa ancora troppo poco di quanti siano riusciti davvero a entrare in Europa così.
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Secondo i dati ufficiali, a fine agosto erano 2.224 i rifugiati rimandati in Turchia dalla Grecia, mentre i siriani ricollocati dalla Turchia verso diversi paesi europei erano 15.652: numeri in ogni caso risibili, se si pensa che la Turchia ospita sul suo territorio 3,5 milioni di rifugiati. Allo stesso tempo, sul versante europeo, la Grecia non riesce a smaltire le pratiche delle richieste di asilo in tempi ragionevoli, costringendo migliaia di persone a vivere in campi che somigliano a prigioni.
Nell’aprile del 2016 la Grecia ha riformato la legge sull’asilo per permettere la detenzione amministrativa dei migranti irregolari in attesa della valutazione della domanda da parte dell’Agenzia europea per l’asilo (Easo). Ci sono stati anche casi di rientri coatti in Turchia bloccati dai ricorsi alla Corte d’Appello, che ha giudicato la Turchia un paese inadatto all’accoglienza dei profughi.
Chiusi i porti e le frontiere, smantellati i campi non ufficiali, drasticamente ridotto l’apporto delle organizzazioni umanitarie e dei volontari che partivano da tutta Europa per dare una mano (per approfondire: Reati di solidarietà: leggi europee colpiscono chi aiuta i migranti), oggi chi arriva a Lesbo non ha altre alternative che finire nell’imbuto di Moria.
Migranti in arrivo nell’abisso dell’hotspot di Moria
Costruito per 3 mila persone, l’hotspot prende il nome dal paese che lo ospita. Nell’indifferenza della comunità internazionale, in questi anni si sono succeduti incendi, aggressioni, interventi brutali della polizia, rivolte e scioperi della fame. A Moria si vive in un continuo stato d’allarme, sia dal punto di vista della sicurezza, sia della salute.
Servizi scarsi e inadeguati, file di ore per ottenere i pasti, assistenza sanitaria insufficiente: gli operatori di Medici senza frontiere hanno dichiarato di assistere ogni settimana a tentativi di suicidio da parte di adolescenti o ad atti di autolesionismo infantile, che riguarderebbero quasi un quarto dei bambini presenti nel campo. L’ong denuncia da tempo la totale inadeguatezza del campo.
Immigrazione Grecia: situazione sanitaria inaccettabile
«Le condizioni di Moria – dice Nawal – sono forse uno dei disastri più grandi che abbia visto in Europa. Al campo c’è di tutto: malattie, eroina, marijuana imbevuta di metadone, violenze sessuali, prostituzione, liti continue nelle file per acqua e cibo. I migranti spesso rinunciano a mettersi in coda per i pasti e vivono di solo pane, più qualche cetriolo o pomodoro acquistato fuori dal centro. Con i 90 euro mensili cercano di comprare anche il riso, che poi cucinano su fornelli elettrici o direttamente sul fuoco, pratica ovviamente pericolosa. Nelle tende ci sono scorpioni e serpenti, tanto che abbiamo avuto diversi casi di morsi».
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La crescita abnorme della popolazione nel centro “temporaneo” di Moria ha di fatto diviso il campo in due aree L’hotspot vero e proprio, da una parte, il proliferare di allestimenti abusivi negli uliveti vicini, dall’altra. «Qui la situazione è ancora più difficile: i servizi igienici sono una bomba a orologeria per la diffusione delle malattie. E il campo, da un punto di vista sanitario, è un disastro: se stai male fai la fila per vedere un medico che alla fine, qualsiasi disturbo di salute tu abbia, ti prescrive solo paracetamolo o ti raccomanda di bere più acqua. La prevenzione è inesistente e non ci sarebbero nemmeno visite ginecologiche se non fosse per Medici Senza Frontiere, che ha allestito un ambulatorio esterno al campo aperto dalle 8 alle 20. Se ti rivolgi all’ospedale di Mitilene, appena il responsabile capisce che “appartieni” a Moria, non manda l’ambulanza e ti riconsegna ai medici del campo, che al massimo ti daranno di nuovo il paracetamolo. In caso di infezione da hiv, le donne non vengono monitorate e non c’è distribuzione di profilattici, con tutti i rischi di contagio che si possono immaginare»,conclude Nawal.