Samos (Grecia): violenze e abusi sui minori nell’hotspot dell’isola
Subiscono abusi fisici, psicologici, emotivi e vivono in container con adulti che non sono i loro genitori, quando dovrebbero andare in case famiglia. Succede ai minori non accompagnati nell'hotspot di Samos, Grecia. Lo denunciano l'ong Still I Rise e il libro di Nicolò Govoni
Abusi fisici, psicologici, ma anche emotivi, nei confronti di bambini e preadolescenti. Brutalità da parte della polizia, aggressioni, container sovraffollati, condizioni igieniche precarie, se non assenti, così come lo sono l’assistenza sanitaria e l‘istruzione formale.
È quello che succede nell’hotspot di Samos in Grecia. Ed è quello che l’ong Still I Rise ha denunciato l’11 giugno, in collaborazione con Help Refugees UK, alla procura della città greca. Portando alla luce la situazione in cui versa una struttura che sulla carta dovrebbe essere un centro d’accoglienza e identificazione rapida dei migranti, ma che, nella maggior parte dei casi, diventa un luogo in cui minori e adulti restano per mesi.
Samos, Grecia: i bambini del campo profughi raccontano gli abusi
Quella della ong è una denuncia importante perché, per la prima volta a Samos, una organizzazione non governativa si fa carico di un procedimento legale mostrando come gli hotspot, voluti dall’Europa nel 2015 per gestire al meglio il fenomeno dei migranti, si trasformano spesso in luoghi di violenza, anche sui bambini.
Una denuncia importante anche per un altro aspetto: la causa è costruita proprio grazie ai minori stessi. Sono stati loro, infatti, a fornire alla ong italo-greca le prove di quello che subiscono ogni giorno.
«Abbiamo messo insieme foto, video e poi fatto lunghe chiacchierate con i bambini», spiega Nicolò Govoni, co-fondatore di Still I Rise, «e visto che loro sono minorenni, siamo stati noi in questi anni a raccogliere le loro testimonianze facendo venire fuori quanto succede lì dentro».
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Separazioni forzate di fratelli all’hotspot di Samos
A dare il là all’azione da parte della ong è stato un episodio di cui Govoni è stato testimone: «Nel mese di gennaio, al porto di Samos ho assistito alla separazione forzata di due fratelli provenienti dall’Afghanistan, di 10 e 15 anni. Erano arrivati in Grecia da soli e hanno vissuto insieme nell’hotspot per 4 mesi. E questo, non come richiede la prassi per i minorenni non accompagnati, ossia in una casa famiglia, ma mescolati agli adulti, in container stretti che potrebbero ospitare al massimo due persone e che invece spesso ne ospitano molte di più. E questo di per sé è già illegale, oltre a tutte le conseguenze che può comportare per un bambino vivere a stretto contatto con qualcuno che non siano i suoi genitori».
Il momento della separazione dei due fratelli è stato uno strazio: «Erano le 3 di notte quando il piccolo, cui era stato trovato un posto all’interno di una casa-famiglia ad Atene, veniva portato via mentre il grande restava a Samos. Adesso neanche il 15enne si trova più nel centro, sono entrambi ad Atene, ma ancora separati. Sappiamo tutto questo perché il maggiore ha un cellulare attraverso cui riesce a comunicare con noi».
Prosegue Govoni:
«Essere un minore non accompagnato che scappa dal proprio Paese è già emotivamente pesante, vedersi separato dall’unico membro della famiglia che hai vicino lo è ancora di più. Ecco perché quella notte mi sono detto che avrei fatto di tutto per smuovere le coscienze.
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Se fosse tuo figlio: l’incontro con un bambino migrante nel libro di Nicolò Govoni
La denuncia da parte della ong alle autorità greche arriva contestualmente alla pubblicazione del libro di Govoni, Se fosse tuo figlio (Rizzoli). Attraverso questo scritto, costruito a mo’ di romanzo, Govoni racconta il suo incontro con un bambino migrante, una storia vera, in cui veri sono anche i racconti di abusi e violenze subiti. Solo i nomi sono di fantasia.
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Come quello di Omar, 16 anni, che vive nel campo e ogni sera racconta delle storie ai bambini più piccoli di lui per fare loro compagnia. Questo finché, una di queste sere, non arriva il camion che porta dei nuovi migranti, scortato da polizia e militari.
L’arrivo di nuove persone provoca una calca, finché tra la folla non si fa strada un poliziotto che tiene stretto in una presa un ragazzo: è Omar, accusato di avere strattonato l’agente. Il poliziotto lo colpisce alla testa, dopodiché insieme agli altri lo prende a calci all’interno della Gabbia, come è chiamato il container della polizia del campo.
Non è stato lui a urtare il poliziotto, come urlano gli altri bambini presenti, ma ai militari non importa.
Quando Omar uscirà dalla Gabbia prenderà un coltello e si inciderà il braccio sinistro, «a segnare la sua pelle di ragazzo che ha visto troppo e conosciuto troppo poco», come si legge nel libro.
«Il fatto che la denuncia sia arrivata contestualmente al libro non è casuale. Noi di Still I rise abbiamo preferito lavorare in modo parallelo: da un lato l’azione legale, dall’altro il testo scritto, ma le due cose sono intimamente collegate», dice ancora Govoni.
Campo profughi di Samos: un libro contro la paura
A Samos, come nel resto della Grecia, operano due tipi di organizzazioni: «Quelle che hanno mandato governativo e pertanto possono entrare nell’hotspot e non farebbero mai causa a chi dà loro lavoro. Le altre, come la nostra, costituite da volontari e gruppi di privati, che non hanno accesso al campo. Con la denuncia e con il libro vogliamo cercare di demolire questa cultura del terrore, profondo, nei confronti dell’amministrazione di questo campo, e in generale di tutti i poteri che ci sono dietro, come l’Europa e l’Onu».
Nel libro, infatti, sono indicati pubblicamente i nomi e i cognomi dei responsabili dell’hotspot, ossia i rappresentanti di istituzioni che dovrebbero tutelare l’incolumità dei richiedenti asilo.
La risposta dei gestori dell’hotspot di Samos, Grecia
Proprio un rappresentante dell’hotspot, «la manager Maria-Dimitra Nioutsikou dopo la denuncia si è attivata immediatamente, ma non per migliorare la situazione», prosegue Govoni.
«A 2 giorni dalla nostra azione legale, giovedì scorso, scopro di essere stato a mia volta stato denunciato per diffamazione e che proprio nel pomeriggio di quella giornata, come mi informa il mio avvocato, vengo cercato dalla polizia per affrontare un processo veloce. Io ero già in Italia, pertanto la causa, vista la mia assenza seguirà il normale iter legislativo. Anche perché una diffamazione andrebbe provata e per questo ci vuole tempo».
Tutta questa velocità per Govoni non è casuale: «È la dimostrazione lampante che la polizia è al soldo dell’amministrazione. Dal canto nostro, sappiamo di avere agito come medium: ossia di avere dato voce a quello che vivono questi bambini».
Cosa succederà dopo? «So bene che un libro non è uno strumento particolarmente potente, ma dipende da come reagirà la gente. Quello che vorremmo è che contribuisse a creare un’opinione popolare così negativa riguardo agli hostpot – gestiti da persone che non sono abilitate a farlo – da arrivare fino a Bruxelles, per far capire che si tratta di un sistema che abusa impunemente dei più deboli. Mi auguro e spero che avvenga un vero e proprio cambiamento dal basso».
La ong nel frattempo continua con la sua attività nell’isola greca, portata avanti dal maggio 2018, quando è stata creata. A Samos è stata creata Mazì, una scuola per i minori non accompagnati per garantire istruzione, formazione dell’individuo e sicurezza.
Di recente c’è stata la mostra Attraverso i nostri occhi, realizzata con le foto scattate dai bambini del campo. E il libro stesso, oltre a cercare di scuotere le coscienze denunciando cosa succede a Samos, contribuirà a raccogliere fondi per costruire una scuola per profughi in Turchia.