The Wasteland: a Venezia 77 il film di Ahmad Bahrami sui lavoratori iraniani
The Wasteland, opera seconda del regista iraniano Ahmad Bahrami, in concorso alla 77esima Edizione del Festival del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, apre una finestra sulla realtà del lavoro nelle zone più remote dell’Iran
In una remota area nell’Iran nord orientale, si intrecciano le storie dei lavoratori di una fabbrica di mattoni. Scissi da divisioni etniche e religiose, gli operai sono tutti uniti da un’unica grande preoccupazione: la paga che non arriva e la paura, ancora peggiore, che lo stabilimento chiuda per fallimento.
The Wasteland (Dashte Khamoush), secondo film del regista iraniano Ahmad Bahrami, in concorso alla 77esima Edizione del Festival del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, apre una finestra sulla desolata realtà del lavoro nelle zone più remote dell’Iran. Dove i diritti dei lavoratori non esistono, i soprusi sono all’ordine del giorno e l’immobilità sociale pesa più di un milione di mattoni.
The Wasteland: il trailer del film
Di che cosa parla The Wasteland, film in concorso a Venezia 77
La remota fabbrica in cui si svolge il film di Ahmad Bahrami è l’unica fonte di reddito per la comunità locale e dà lavoro a famiglie intere: uomini, donne, persino anziani e bambini sono impiegati nel mattonificio. In questo universo in miniatura, si svolge di The Wasteland: una puntigliosa narrazione del lavoro nelle fabbriche della provincia iraniana.
C’è spazio anche per un racconto delle tensioni religiose e etniche. Specie quelle che hanno per bersaglio i curdi che nel film sono coloro che hanno le mansioni più dure (il lavoro di cottura dei mattoni nei forni) e gli unici a provare a ribellarsi alle misere condizioni di lavoro.
Il salario che non arriva. Gli orari massacranti. Il lavoro pericoloso e l’ambiente malsano. La paura di perdere l’unico lavoro possibile. Eppure in The Wasteland non c’è mai un vero momento in cui lo spettatore si illude che la ribellione sia possibile: piuttosto che organizzarsi e rivoltarsi ai padroni, è più facile che gli operai veterani, come il protagonista Lotfollah, rinuncino a qualcosa per fare da scudo ai più fragili. Il male è comune, ma la condizione di qualcuno è peggiore: le più penalizzate, nella fabbrica, sono le donne e il personaggio di Sarvar ne è la rappresentazione.
Leggi anche:
• Giornata della Memoria: film da vedere per non dimenticare la Shoah
• Iran: la lunga lotta delle donne contro il velo obbligatorio
• Sorry we missed you: il nuovo film di Ken Loach denuncia la gig economy
La trama: The Wasteland, film tratto da una storia vera
«Mio padre ha lavorato in fabbrica ed è andato in pensione dopo trent’anni di fatiche. Vado fiero di lui e, da quando ho imparato a girare film, ho sempre voluto realizzarne uno su di lui e sul suo onorevole impegno. Il mio film è un omaggio a mio padre e a tutti coloro che, in ogni parte del mondo, lavorano duramente»
Ahmad Bahrami, allievo del grande regista Abbas Kiarostami, prende spunto dalla propria esperienza personale per questo film. Lo stile di Bahrami è quello che potremmo inquadrare a metà tra il Neorealismo italiano e la Nouvelle Vague Francese: tempi lunghi e dilatati, panoramiche circolari, campi lunghi e un bianco e nero nitidissimo.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Bahrami utilizza spesso le stesse inquadrature, che si ripetono nello stile e nel contenuto, per raccontare le giornate sempre uguali dei protagonisti: riesce così a rendere alla perfezione la monotonia, la ripetitività e la claustrofobia del racconto.
Gli spazi del film partecipano agli umori dei personaggi: l’ufficio del padrone, i cunicoli della fabbrica, gli interni polverosi delle case, la desolata pianura desertica si ripetono anche loro come set di una messa in scena teatrale. The Wasteland è un film non semplice, per spettatori che sono appassionati di cinema iraniano e di un certo cinema d’autore che è ormai (quasi) tramontato.
Leggi anche:
• Festa delle donne dell’8 marzo: storia, significato e diritti violati
• Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria
• Iran, vietato difendere i diritti umani
The Wasteland: i diritti dei lavoratori in Iran nel 2020
Sebbene ambientato in un microcosmo periferico, il film di Ahmad Bahrami è una metafora della società iraniana, dove il potere di pochi è spesso assoluto e immutabile. Sono passati oltre quarant’anni dalla Rivoluzione, ma i diritti dei lavoratori non sembrano mai essere stati il tema all’ordine del giorno.
In Iran gli operai dell’industria, ma anche ai dipendenti del settore pubblico, capita che debbano aspettare anche interi mesi per ricevere la paga. Ancora oggi non esistono nel Paese leggi a sostegno dei lavoratori, mentre le poche in vigore nel settore privato vengono costantemente violate dagli imprenditori, che fanno leva sulla negligenza della loro applicazione da parte delle autorità.
Leggi anche:
• Senza tutele e pagati pochi euro a consegna: chi sono i riders in Italia
• Alla mia piccola Sama: la guerra in Siria raccontata alla figlia
In queste condizioni a vacillare non sono solo gli stipendi, ma anche i diritti fondamentali. Le leggi che tutelano l’occupazione femminile e quella minorile sono le prime a essere violate. Persino nella capitale Teheran i bambini vengono ancora impiegati in attività degradanti e pericolose, come lo smistamento dei rifiuti, e la loro paga è mediamente il 70% in meno di quella di un adulto. A “libera interpretazione” da parte dei datori di lavoro ci sono anche il codice del lavoro iraniano e le norme che regolano le condizioni di sicurezza e salute sul lavoro.
Il codice del lavoro iraniano, inoltre, non garantisce ai cittadini il diritto di formare sindacati indipendenti, nonostante l’Iran faccia parte dell’Organizzazione internazionale del lavoro: è proibito riunirsi, protestare, contestare pubblicamente i contratti e formare sindacati indipendenti.
Negli ultimi anni, inoltre, le sanzioni e il peggioramento dell’economia hanno causato licenziamenti su larga scala e stretto di più la morsa dei datori di lavoro sugli operai restanti.