Colombia e coronavirus: l’emergenza sanitaria ingrossa le fila dei senzatetto
La diffusione del coronavirus in Colombia e le misure prese dal governo mettono in ginocchio chi già si trovava ai margini della società. E così tante famiglie finiscono in mezzo alla strada a Bogotà
Da Bogotà, Colombia
Il coronavirus sta arrivando in Colombia con alcune settimane di ritardo rispetto all’Europa. Il 15 aprile erano circa 3.105 i contagiati e 131 i morti. Dal 12 marzo scorso il paese ha chiuso i voli internazionali e stabilito un confinamento obbligatorio che durerà almeno fino al 27 aprile.
Nonostante la buona volontà dimostrata da molti colombiani nel rimanere in casa e ridurre i contatti sociali, le misure d’emergenza prese dal governo di Ivan Duque rendono evidente lo stato di povertà in cui vive parte della popolazione. Come denuncia l’associazione Venezuela Proactiva, sono decine le famiglie sfrattate di casa nel quartiere di Santa Fe, a Bogotà.
Economia informale e disuguaglianza in Colombia
L’economia colombiana è caratterizzata da un alto tasso di informalità, la maggior parte dei piccoli acquisti e degli scambi economici si fanno per strada. Le vie del centro sono spesso affollate dai banchetti di piccoli venditori ambulanti, che offrono succhi di frutta, snack, fast food, riparazione di vestiti e scarpe, borse e piccoli manufatti artistici: altro non è in realtà che la manifestazione della disuguaglianza che colpisce il paese, uno dei più poveri dell’America Latina.
In mancanza di un censimento ufficiale, non è possibile sapere quante persone vivano dell’economia informale. Sono migranti venezuelani, ma anche colombiani o ecuadoregni, che sopravvivono grazie ai miseri introiti delle loro attività per strada o sugli autobus.
Il confinamento obbligatorio per prevenire la propagazione del coronavirus impedisce di uscire e questo, per i tanti venditori ambulanti, significa non aver più soldi per un alloggio.
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Colombia e coronavirus: senza lavoro si finisce per strada
Si chiamano pagadiarios le pensioni che offrono alloggio a questo tipo di lavoratori, si trovano principalmente nel quartiere di Santa Fe, a Bogotà. Le stanze sono grandi camerate in comune in cui dormono decine di persone. La permanenza si paga di giorno in giorno e chi non può pagare viene mandato via e messo per strada.
Carlos Gonzalez, portavoce della comunità venezuelana del quartiere di Santa Fe, dice a Osservatorio Diritti: «Il problema principale non è il lavoro, ma l’aspetto sociale: noi non siamo riconosciuti da nessuna istituzione dello Stato colombiano. Semplicemente non possiamo più andare a lavorare, così non ci resta alternativa e siamo obbligati a dormire per strada».
Molti migranti dal Venezuela sono sul territorio colombiano in maniera irregolare. Per loro è impossibile poter pagare per il passaporto o il rinnovo della carta d’identità, che in Venezuela a causa della corruzione hanno raggiunto prezzi esorbitanti. Senza documenti, è impossibile avviare un percorso di migrazione regolare.
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Non sono solo i venezuelani ad essere in questa situazione, ma anche gli ecuadoregni e i colombiani di bassa estrazione sociale. Tutte persone che, in assenza di alternative, si ritrovano dall’inizio dell’epidemia in Colombia a dover dormire con i figli e la famiglia per strada.
José Montero, venditore ambulante di origine venezuelana a Santa Fe, dice a Osservatorio Diritti:
«Ci dicono che dobbiamo proteggerci dal coronavirus, ma come facciamo a evitare il contagio se stiamo dormendo per strada? Io da giorni dormo in un parco con mia moglie e mia figlia. Come facciamo a proteggerci se non abbiamo mascherine, né guanti in lattice o gel antibatterico?».
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«Il problema della Colombia non è il coronavirus, ma la povertà estrema»
Il consiglio comunale del sindaco di Bogotà, Claudia Lopez, ha votato un decreto che vieta gli sfratti dagli hostales pagadiario durante il periodo di emergenza sanitaria e ha organizzato alcune giornate di consegna di alimenti per la popolazione vulnerabile del quartiere. Ma la situazione resta molto complicata: il quartiere di Santa Fe ha un alto tasso di corruzione e le dinamiche sociali ed economiche vengono gestite da piccoli gruppi interni.
Secondo Juan Carlos Celis, direttore della Fundación Procrear, che da oltre 20 anni lavora nel quartiere di Santa Fe, «il vero problema non è il coronavirus, ma che in Colombia esista uno scenario di povertà estrema».
«Santa Fe è uno dei quartieri più antichi della città, è sempre stato un quartiere popolare ma la situazione è cominciata a peggiore con l’arrivo massivo di migranti venezuelani in situazione di estrema povertà a partire dal 2015. A causa della miseria si sono sviluppati i traffici di droga e la prostituzione. Esistono varie categorie sociali nel quartiere, da chi è costretto a dormire in grandi stanzoni con più di 40 posti letto, a chi in qualche modo riesce ad affittare una stanza in un appartamento con uso cucina».
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Un grosso problema è che non tutti figurano nei registri dell’anagrafe colombiana. Chi è iscritto riceve in queste settimane gli aiuti economici e la consegna di alimenti previsti dal comune di Bogotà per il periodo di emergenza. Ma spesso proprio le persone più vulnerabili non figurano in alcun elenco e pagano il prezzo più elevato durante la crisi sanitaria.
«Fino a pochi giorni fa questo virus era visto come qualcosa di lontano, che veniva dalla Cina e si fermava in Europa», conclude Juan Carlos Celis. «Adesso però stiamo assistendo ad un rapido aumento del numero di contagiati e la popolazione comincia ad aver paura».
Coronavirus in Colombia: mancano le informazioni
Secondo quanto osservato durante una visita ad un “inquilinato” della zona, mancano ancora le informazioni basiche sullo sviluppo e sui modi di contagio del virus. Gli spazi angusti obbligano a eccessive interazioni sociali: una sola cucina e sala pranzo, un solo bagno e un’unica doccia vengono condivisi quotidianamente da 30 o 40 persone, una situazione disastrosa per la propagazione del Covid-19.
Nonostante gli appelli di comune e governo nazionale, nessuno ha ancora ben chiaro cosa si debba fare per evitare il contagio, sono poche le mascherine a disposizione e non sempre vengono utilizzate in modo corretto. Una possibile propagazione violenta del coronavirus avrebbe in questi luoghi un effetto più che disastroso.