India: le tigri sfrattano gli indigeni
Survival International denuncia ricollocamenti di popolazioni per fare spazio a tigri e rinoceronti. Secondo il movimento, il diritto alla terra degli indigeni è solo su carta. Nonostante la legge lo preveda. Squadre anti-bracconieri sparano su chi cerca di accedere alla propria terra. E a fornire il supporto ai guardaparco ci sarebbe anche il Wwf
In India dove vivono rinoceronti e tigri non c’è spazio per gli abitanti della foresta. Il loro diritto alla terra è solo su carta. Se provano ad entrare nei loro territori, rischiano persino di essere uccisi. A denunciarlo da tempo è l’organizzazione a tutela dei popoli indigeni Survival International, che ha raccolto le testimonianze di uomini e donne i cui villaggi sono stati ricollocati, fuori dalle aree protette. Nel report 2016 della relatrice speciale delle Nazioni Unite per i popoli indigeni, Victoria Tauli-Corpuz, emerge che in 20 anni, tra il 1980 e il 2000, la superficie delle aree protette è raddoppiata. Il documento sottolinea che, a livello globale, il 50% delle riserve naturali si trova su terre indigene. E l’India non fa eccezione.
Diritto alla terra dei popoli indigeni? Solo sulla carta
«La legge indiana sostiene che per sfrattare i popoli indigeni dalle aree naturali il governo debba fornire prova del loro danno irreparabile alla natura», spiega a Osservatorio Diritti Fiore Longo, ricercatrice di Survival che si è recata in India. «Il paese dal punto di vista legislativo è all’avanguardia: ha approvato il Forest rights act che riconosce il diritto dei popoli indigeni a vivere nelle loro terre ancestrali, comprese le foreste». Il Forest rights act del 2006 riconosce ai singoli e alle comunità il diritto di abitare nella foresta, di raccoglierne i frutti, di seguire le proprie tradizioni e di ricevere una terra in compensazione, qualora lo sfratto sia avvenuto illegalmente.
La legge fornisce anche uno strumento di consultazione e di regolamentazione nell’accesso alle risorse della foresta, attraverso il Gran Sabha, un’assemblea delle comunità tribali. Nessuna decisione che riguardi le terre ancestrali può essere presa senza consultare le popolazioni che le abitano. «Nella realtà però nulla è cambiato», dice Fiore Longo sottolineando come il governo prosegua nella politica di sfrattare i villaggi, in particolare all’interno delle aree di conservazione delle tigri.
Il Critical tiger habitat che tutela i popoli indigeni
Le riserve delle tigri sono nate intorno agli anni 2000 e con esse sono cominciate le ricollocazioni dei popoli indigeni che abitavano nella foresta. «I dati dimostrano che è presente un numero maggiore di tigri nei luoghi in cui abitano gli indigeni», sostiene Fiore Longo. E aggiunge: «Le autorità vogliono sfrattare i villaggi che si trovano all’interno della foresta, perché sostengono che la presenza umana possa nuocere agli animali».
L’Autorità nazionale per la conservazione delle tigri sul suo sito spiega la necessità di proteggere i felini, garantendo un’area inviolata chiamata Critical tiger habitat e una cintura periferica protetta, con funzione di cuscinetto, che tuteli i diritti degli abitanti della foresta. L’istituzione promuove, quindi, i ricollocamenti volontari di villaggi, che si trovano all’interno delle aree destinate ai felini. Si tratta di spostamenti che necessitano del consenso libero e informato dell’assemblea delle tribù. «In India nelle aree ad alta densità di popoli indigeni il consiglio degli anziani dovrebbe poter dare il parere su ogni progetto che riguarda la comunità, ma spesso non viene nemmeno interpellato», afferma la ricercatrice di Survival.
L’autorità cambia rotta in India: meno diritti agli indigeni
Nel mese di marzo di quest’anno il movimento a tutela dei popoli indigeni ha denunciato un cambio di rotta da parte dell’Autorità nazionale per la conservazione delle tigri. Nel documento destinato agli Stati in cui si trovano le riserve, l’istituzione limita il riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene. L’ordine sostiene che i Critical tiger habitat debbano rimanere inviolati, impedendo l’accesso agli esseri umani.
«Una delle persone che ho intervistato mi ha raccontato di essere andata a raccogliere dei funghi all’interno del parco e di essere stata ferita da un proiettile, sparato da una guardia forestale», racconta Fiore Longo. E aggiunge: «Adesso ha paura di recarsi nella foresta o di mandarci suo figlio».
Diritti violati nel parco nazionale Kaziranga
Secondo Survival Inernational in tre anni sono state uccise 50 persone dalle guardie anti-bracconaggio. A finire sotto osservazione dei media internazionali è stato soprattutto il parco nazionale Kaziranga, nello stato orientale dell’Assam, famoso per la presenza del rinoceronte indiano. Il parco è diventato protagonista di un documentario della Bbc, che analizza la pratica di sparare a vista, adottata dalle guardie.
Un rapporto del 2014 pubblicato dal parco nazionale Kaziranga riporta tra le strategie di successo destinate alle squadre anti-bracconaggio due motti significativi: «Non permettere mai accessi non autorizzati e uccidi gli indesiderati». Il documento riporta anche le statistiche del numero di cacciatori di frodo arrestati e uccisi. Secondo i dati riportati del rapporto, tra il 2007 e il 2013, le guardie del parco hanno mandato in carcere in media venti persone all’anno e ne hanno uccise tre.
Anti-bracconieri sparano ai popoli indigeni
«Nel parco di Kaziranga è stata utilizzata la politica dello sparare a vista e della militarizzazione della conservazione», spiega la ricercatrice di Survival sottolineando come le guardie forestali godano dell’immunità e della possibilità di sparare, se la persona che entra nel parco non si ferma dopo le prime intimidazioni. In molti casi le vittime di questa repressione sono abitanti della foresta e popoli indigeni.
Come racconta Fiore Longo: «E’ stato ucciso un ragazzo con disabilità fisiche e mentali perché non si è fermato all’ordine. Un bambino di 7 anni è stato ferito mentre andava al mercato e probabilmente non camminerà più». La ricercatrice di Survival definisce la situazione di militarizzazione una «bomba ad orologeria» anche perché il perimetro del parco non ha barriere chiare e si trova sulla terra ancestrale di due popoli indigeni.
Solo dopo l’uscita del documentario della Bbc le acque si sono calmate dice Fiore Longo: «Il parco si è sentito gli occhi del mondo addosso e ha smesso di sparare». Dopo l’episodio la Bbc è stata bandita per 5 anni dalle riserve delle tigri.
Il Wwf e le guardie anti-bracconaggio
Come si legge nel report del 2014 del Parco Nazionale di Kaziranga, a fornire le attrezzature e le uniformi alle squadre anti-bracconaggio è stato il Wwf. Il parco avrebbe ricevuto anche fondi da diverse organizzazioni della conservazione, tra cui il World wildlife fund.
«Nel parco di Kaziranga Wwf-India ha fornito due mesi di addestramento alle squadre anti-bracconaggio e ha comprato il materiale necessario per le loro attività», dice Fiore Longo a Osservatorio Diritti.
La stessa organizzazione sul suo sito indiano sottolinea di lavorare a stretto contatto con il dipartimento delle foreste per addestrare le squadre di prima linea contro la caccia di frodo.
Wwf International dopo l’uscita del documentario ha pubblicato un comunicato in cui sottolinea di lavorare nel Parco Nazionale di Kaziranga da più di 12 anni per il monitoraggio e la conservazione dei rinoceronti in collaborazione con la popolazione locale.
L’organizzazione rigetta l’accusa che le guardie del parco abbiano adottato «la politica di sparare a vista», come affermato da Bbc e nega che esistano immunità e impunità per le guardie colpevoli di abusi. Il Wwf nella sua dichiarazione sottolinea anche la pericolosità del lavoro dei ranger, e la necessità che possano difendersi quando si trovano in pericolo. Secondo i dati riportati dallo stesso parco, però, tra il 1980 e il 2014, una sola guardia è stata uccisa da bracconieri.
La terra indigena è un diritto
«Per loro la proprietà non è un foglio: è il possesso collettivo della terra, è la loro casa, è il posto dove si trovano le loro divinità, dove svolgono i rituali e dove sono sepolti i morti. Riconoscere, non solo sulla carta, i loro diritti territoriali è il primo passo da compiere per garantire la loro esistenza», sostiene Fiore Longo. La ricercatrice sottolinea come i territori indigeni siano spesso oggetto di sfruttamento industriale e di estrazioni minerarie. E aggiunge: «In alcune aree dell’India i popoli indigeni cominciano a sporgere denuncia contro le violenze e i soprusi che subiscono, ma nel paese vengono ancora considerati l’ultima delle caste».