Internet e la tratta di esseri umani

La tratta di esseri umani può essere considerata come una moderna forma di schiavitù e comporta «il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione a scopo di sfruttamento» (Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini). Le vittime di tratta sono spostate fisicamente da un luogo all’altro e sfruttate a fini sessuali, lavorativi, per schiavitù o prelievo di organi.

Che ruolo giocano internet e i social network in questo crimine? La risposta a questa domanda è stata fornita dal progetto europeo “Surf&Sound“, coordinato dal gruppo di ricerca eCrime (Università di Trento) e svolto in collaborazione con la Teesside University (Regno Unito) e il Center for the Study of Democray (Bulgaria). Il progetto, durato circa tre anni, si è appena concluso ed è stato finanziato dalla Direzione Generale Migrazione e Affari Interni della Commissione europea nell’ambito del programma ISEC 2013.

I risultati hanno evidenziato come in alcune parti del mondo persista ancora una predominanza del reclutamento offline, ad esempio la maggior parte delle vittime di tratta nigeriane sfruttate per la prostituzione. Tuttavia l’emergere del reclutamento online ha ampliato la platea di potenziali vittime, aumentato il numero dei Paesi di provenienza delle vittime stesse e ha abbassato la loro età media (che oggi, molto più spesso di prima, sono minorenni). I social network sono stati i canali che prevalentemente hanno permesso di identificare elementi inerenti al reclutamento. Tra questi Facebook è quello di maggior utilizzo, seguito da Instagram e Twitter.

Proprio su questi social network non sempre è facile distinguere tra annunci leciti con reali offerte di lavoro da quelli che nascondono invece reclutamento a fini di tratta. Per questo durante il progetto sono stati elaborati degli indicatori che potessero guidare ricercatori e ricercatrici (ma anche, in un futuro, le forze dell’ordine o le organizzazioni non governative) nel riconoscere gli annunci più “a rischio”. Tra questi: la pubblicizzazione di lavori offerti locali/aziende con foto diverse in annunci diversi, l’assenza di informazioni dettagliate sulle mansioni da svolgere, sui pagamenti, sul luogo di svolgimento della prestazione e sul datore di lavoro.

La forma di sfruttamento che sembra maggiormente influenzata dall’avvento di internet è quella sessuale. Anche in questo caso il canale principale utilizzato sono i social network, soprattutto Facebook. Sono numerosi i siti e gli annunci online (anche in lingua italiana) in cui vengono pubblicizzati i servizi sessuali delle vittime di tratta, spesso simulati da annunci per altre attività.

L’avvento di Internet sta facendo emergere nuove forme di sfruttamento sessuale interamente online, come le video-chat a sfondo erotico. Come per la fase di reclutamento, non è sempre facile distinguere un annuncio internet che pubblicizza servizi posti in essere da vittime di tratta da uno che pubblicizza prestazioni volontarie. Anche in questo caso sono stati creati degli indicatori ad hoc. Tra questi: l’utilizzo di foto uguali in siti/annunci diversi con informazioni diverse sulla persona e sulle prestazioni (come costi o numeri di telefono), incongruenze tra la persona presente nella foto dell’annuncio e le informazioni presenti (ad esempio nazionalità, o età), l’utilizzo di immagini di persone molto giovani (probabilmente minorenni), annunci che pubblicizzano servizi (soprattutto sessuali) offerti da persone diverse da quella che scrive l’annuncio.

La difficoltà di distinguere tra annunci leciti e annunci che nascondono lo sfruttamento delle vittime di tratta è particolarmente elevata nel caso di sfruttamento a fini lavorativi. Le informazioni prevalenti raccolte su questo punto nel corso del progetto derivano infatti dalle interviste in profondità con gli esperti. I due gruppi etnici che prevalentemente emergono dalle interviste sono quello egiziano, nel caso dei minori, e quello nigeriano, per le donne, con un aumento di casi di persone dall’est Europa.

Gli ambiti di lavoro spaziano in base al genere: per le donne, specialmente dell’est e dall’Africa centrale, è tipico trovare lavori come badante, parrucchiera o babysitter; gli uomini invece è più frequente che vengano utilizzati nel settore dell’edilizia e dell’agricoltura (in special modo quella stagionale) e nel commercio. Una delle interviste, in particolare, solleva la questione dei campi di lavoro siciliani, dove le ragazze rumene, oltre ad essere sfruttate in ambito lavorativo nelle serre, vengono sessualmente abusate e violentate dai propri datori di lavori. Si crea quindi una sovrapposizione tra le due tipologie di sfruttamento.

I risultati del progetto possono aiutare le forze dell’ordine nelle azioni di contrasto e gli altri attori coinvolti (soprattutto le organizzazioni non governative) a condurre attività mirate di prevenzione che allertino le potenziali vittime dai rischi presenti in rete.

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