
Myanmar: la guerra civile spegne internet nell’ex Birmania
La guerra civile in Myanmar ha tagliato la rete in intere province da più di un anno. E nell'ex Birmania l'esercito continua a reprimere il dissenso con violenza
da Chiang Mai (Thailandia)
Un blackout completo di internet sta attraversando il nord dello Stato Rakhine (o Arakan) e Chin, nell’est del Myanmar da oltre un anno. Questa volta i musulmani Rohingya, tornati alla ribalta dei media dopo le atroci violenze che hanno subito nell’agosto del 2017, non c’entrano.
Nel mirino delle truppe governative del Tatmadaw ci sono i guerriglieri dell’Arakan Army (Aa) e, di conseguenza, anche la popolazione civile, accusata di fiancheggiare i ribelli che richiedono l’autonomia da Naypyidaw e che, dopo un lungo periodo di calma apparente e dopo essersi addestrato nello Stato Shan, Karen e Khacin, sono tornati ad imbracciare le armi.
L’ordine di sospendere tutti i servizi internet è arrivato il 21 giugno 2019, quando il ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni del Myanmar ha ordinato a tutti e quattro i fornitori di servizi del Paese di bloccare la linea telefonica nei distretti di Buthidaung, Kyauktaw, Maungdaw, Minbya, Mrauk-U, Myebon, Ponnagyun, Rathedaung e Paletwa.
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Blackout dell’informazione durante la guerra in Birmania
L’azienda di telecomunicazioni norvegese Telenor ha dichiarato che il governo ha imposto a tutte le compagnie che lavorano nella zona di bloccare «temporaneamente» internet in nove comuni. Nella direttiva si legge che questa azione è giustificata a causa dell’uso dei social network da parte dei ribelli per «coordinare attività illegali e mettere così a rischio la pace nel Paese». La chiusura è stata revocata in cinque province alla fine dell’agosto 2019, ma è stata ripristinata nel febbraio 2020.
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Di tutt’altro avviso numerosi gruppi umanitari. «Con questo blackout l’esercito birmano sta coprendo le gravi violazioni dei diritti umani che sta commettendo contro la popolazione civile», aveva dichiarato Yanghee Lee, relatore speciale delle Nazioni Unite nel Paese, subito dopo la decisione delle autorità birmane.
«Nove province sono state oscurate. E oltre all’impossibilità di accedere a internet, sono state emanate gravi restrizioni alle organizzazioni di solidarietà, che così non possono portare aiuto ai civili che stanno scappando dai combattimenti», ha aggiunto.
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Guerra in Myanmar: situazione in peggiornamento dal 2019
E mentre internet rimane chiuso, proseguono violenze e atrocità. «Intanto che le autorità del Myanmar esortano le persone a rimanere a casa per il Covid-19, in Rakhine e Chin i militari stanno bruciando case e uccidendo civili in attacchi indiscriminati che equivalgono a crimini di guerra», ha detto all’inizio di luglio Nicholas Bequelin, direttore regionale del Pacifico di Amnesty International (Ai) che ha pubblicato un report sulla situazione.
«Nonostante le crescenti pressioni internazionali, anche alla Corte internazionale di giustizia, le scioccanti testimonianze raccolte mostrano quanto sia ancora profonda l’impunità nei ranghi militari del Myanmar», ha aggiunto.
Il conflitto si è intensificato dal 4 gennaio 2019, quando i guerriglieri dell’Aa, considerati dei terroristi dalle autorità, hanno colpito diversi posti di polizia, con conseguenti reazioni di Tatmadaw. Gli abitanti dei villaggi locali in una vasta area della regione settentrionale dello Stato Rakhine e meridionale dello Stato Chin, sono stati costretti a fuggire dalle loro case, mentre le forze dell’esercito birmano stanno aumentando la loro offensiva, con l’uso di elicotteri da combattimento e artiglieria pesante.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, fino ad ora si contano centinaia di morti e oltre 160 mila sfollati. Ma nonostante l’aggravarsi del conflitto e le violazioni diffuse dei diritti civili, le notizie sono praticamente nulle, sia per il blackout della rete, sia per il fatto che a nessun giornalista e a nessuna organizzazione umanitaria e ong è concesso l’accesso in queste zone di guerra.
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Guerra civile in Myanmar (ex Birmania): una storia di diritti violati
Amnesty International ha condotto interviste a distanza sulle operazioni militari, attacchi aerei e bombardamenti e ha analizzato filmati di violazioni e nuove immagini satellitari di villaggi bruciati nei due Stati etnici. Le testimonianze raccolte raccontano di interi villaggi dati alle fiamme e denunciano anche arresti indiscriminati tra i civili.
«I soldati governativi hanno arrestato arbitrariamente le persone dei villaggi, ricorrendo anche a torture e altre forme di maltrattamenti», si legge nel rapporto.
Due ex residenti del distretto di Mrauk U, nello stato di Rakhine, hanno riferito ad Amnesty che un loro familiare è stato arrestato e torturato dopo che i militari sono arrivati nel villaggio. La moglie del detenuto, che ha visitato il marito mentre era in prigione, ha riferito che è stato picchiato più volte e che, a causa delle percosse subite, ha difficoltà a respirare.
«Lo hanno preso a calci e colpito con dei fucili alla schiena. Non gli hanno dato né cibo nè acqua. Mio marito era alto e grosso, ma quando l’ho visto era irriconoscibile, visibilmente magro», ha testimoniato la donna.