Haiti: dal terremoto del 2010 l’isola continua a gridare aiuto
Devastato dal sisma del gennaio 2010, il Paese non riesce a ripartire. Colpa dei disastri naturali, dell’instabilità, ma anche di errori e mancanze della comunità internazionale e della cooperazione. Lo denuncia "Haiti: il terremoto senza fine", il libro curato da Roberto Codazzi
È il 12 gennaio del 2010: Haiti, il Paese più povero e disastrato delle Americhe, viene travolto da un evento naturale che cambierà il suo volto e la sua storia, segnando una cesura netta tra il prima e il dopo. È il terribile terremoto, di magnitudo 7 della scala Richter, che si abbatte sull’isola, provocando più di 300 mila vittime, 350 mila feriti, più di un milione e mezzo di profughi e persone colpite dalla calamità. L’epicentro del sisma è a 15 chilometri dalla capitale Port-au-Prince, la città più popolosa dell’isola, con 2 milioni di abitanti. Il disastro è di dimensioni bibliche.
Il volume Haiti: il terremoto senza fine, curato da Roberto Codazzi (edito da People), attraverso i contributi di diversi autori italiani e stranieri, corredati da una dettagliata cronologia storica e da molti dati, ricostruisce la storia e le vicissitudini dell’isola caraibica – primo Stato indipendente dell’America latina e il primo governato da ex schiavi – a partire da quella tremenda tragedia.
Il libro mette in evidenza anche gli errori della cooperazione internazionale, le mancanze degli altri Paesi e degli organismi umanitari intervenuti successivamente all’evento sismico nel Paese che, con la Repubblica dominicana con cui condivide l’isola Hispaniola, è stato segnato da una storia di sofferenza, anche a causa di una posizione geopolitica strategica che l’ha reso continuamente obiettivo di interessi internazionali, vittima di ingerenze straniere e invasioni.
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Haiti, terremoto 2010: la “perla delle Antille” sotto i riflettori del mondo
Subito dopo il terremoto, il mondo ha puntato gli occhi su Haiti. Per alcune settimane i riflettori si sono accesi sull’isola, in quel periodo governata dal presidente René Préval. Ma cosa è avvenuto negli anni successivi? Come è stata condotta la ricostruzione? Che Paese è oggi Haiti, negli anni Cinquanta denominata “la perla delle Antille”?
Si legge nel libro: «Haiti gridava aiuto. Un’intera popolazione distrutta e disorientata andava raggiunta con immediata assistenza medica, aiuti alimentari e operazioni di messa in sicurezza. Era fondamentale, dunque, rispondere ai bisogni più urgenti nel minor tempo possibile e strutturare le operazioni di salvataggio con rapidità ed efficienza».
Le cose, purtroppo, non sono andate così. Come racconta il volume, fin dall’inizio le deficienze e difficoltà della gestione dei soccorsi si sono unite alle difficoltà strutturali. Gli interventi di Stati Uniti e Nazioni Unite sono stati caratterizzati da inefficienza e confusione organizzativa e burocratica. Tanto che, a una settimana dal terremoto, l’Onu ammetteva che gli aiuti umanitari avevano raggiunto solo il 10% dei bisognosi.
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Caschi blu ad Haiti, sfruttamento e abusi sessuali ai Caraibi
Il volume dedica ampio spazio a ripercorrere la vicenda della presenza dei Caschi blu ad Haiti, che viene definita come «uno dei peggiori interventi umanitari della storia». Ad essa è legata la diffusione dell’epidemia di colera – che secondo l’Unicef potrebbe sparire dall’isola entro il 2022, quando oltre l’8% della popolazione sarà stata infettata – e la vergogna degli abusi sessuali perpetrati da alcuni Caschi blu dello Sri Lanka, dal 2004 al 2007, su bambini anche di 12 anni e dello sfruttamento sessuale a pagamento da parte di altri membri delle forze di pace dell’Onu nei confronti di più di 225 donne di Haiti costrette a prostituirsi per fame e mancanza di medicinali.
Queste atrocità hanno avuto una ripercussione internazionale enorme. Secondo i dati, centinaia di donne haitiane sarebbero rimaste incinte in seguito a relazioni con membri della Missione Onu ad Haiti (Minustah) provenienti da numerosi Paesi.
Minustah si è chiusa a ottobre del 2017, dando vita a una missione Onu più piccola per il sostegno alla giustizia, focalizzata sul rafforzamento della polizia nazionale, dello stato di diritto e sulla promozione dei diritti umani.
Ma i membri delle forze di pace Onu non sono stati gli unici stranieri a commettere abusi sessuali sull’isola. Il libro ricorda anche il caso della ong Oxfam, che nel 2011 portò al licenziamento di quattro persone e ad altre tre dimissioni.
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La cooperazione italiana e il caso della portaerei Cavour inviata sull’isola
Il libro non risparmia critiche anche alla cooperazione italiana ad Haiti, affermando come le ong abbiano svolto un lavoro importantissimo e meritorio dopo il terremoto, ma evidenziando anche paradossi e interventi di natura dubbia.
Uno in particolare: il caso della della portaerei Cavour inviata a Port-au-Prince dal governo italiano con dei costi enormi. Scrive Codazzi, educatore che da anni vive in Repubblica dominicana: «Chiunque organizzi una missione umanitaria si chiederà quale sia la forma più economica per poter aiutare la popolazione colpita e quindi massimizzare l’impatto delle risorse spese per risolvere i problemi». Era davvero questa la scelta di cooperazione migliore? «Il costo totale della missione non è mai stato reso noto ma potrebbe attestarsi, per il solo movimento del mezzo, sugli oltre 13 milioni di euro».
Haiti oggi: povertà, diaspora e tratta di donne e bambini
La seconda parte del volume si concentra sul fenomeno della diaspora, in un Paese martoriato da instabilità politica, calamità naturali, povertà. Quello haitiano è tra i popoli più sottoposti a restrizioni e limiti di mobilità regolare, situazione che spinge chi vuole emigrare a rivolgersi alle reti dei trafficanti, che dopo il terremoto del 2010 si sono moltiplicate e rafforzate.
Le donne e i bambini sono le principali vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale. «Il fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef) ha denunciato, nel 2018, una media di 2.500 minori di origine haitiana trafficati in Repubblica Dominicana con falsi documenti per lavorare come restavék (minori inviati a lavorare come domestici presso famiglie estranee) o per mendicare nelle strade delle principali città del vicino Paese». E spesso la tratta avviene in collaborazione con i militari dominicani.
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Il dramma dei 200 mila haitiani apolidi in Repubblica Dominicana
La condizione dei migranti haitiani che si trovano nella confinante Repubblica dominicana è diventata ancora più drammatica dopo il sisma. La riforma costituzionale dominicana del 2010 ha escluso dal diritto allo ius soli tutte le persone nate da immigrati irregolari.
E nel 2013 una sentenza del Tribunale costituzionale dominicano ha stabilito che, a partire dal 1929 (quindi in modo retroattivo), la nazionalità dominicana può essere acquisita solo tramite lo ius sanguinis e non più tramile lo ius soli.
«ll risultato, secondo le prime stime dell’Unhcr, fu la revoca della nazionalità dominicana a oltre 200 mila persone che si ritrovarono improvvisamente apolidi, giàcché lo Stato haitiano, a sua volta, non le riconosceva come suoi cittadini».
Terremoto Haiti: aiuti come strumento di propaganda
Dal terremoto alla pubblicazione del volume (2020) sono passati dieci anni. Il Paese non riparte. Sull’isola permangono i problemi che hanno caratterizzato la sua storia a livello politico, sociale, economico. Gli indici di sviluppo sono negativi.
La colpa è da attribuire a vari fattori: calamità come l’epidemia di colera, il passaggio dell’uragano Matthew e altri disastri che si sono susseguiti. Ma anche, in buona parte, agli errori umanitari e a una comunità internazionale che mirava a intervenire nel Paese più per i suoi interessi strategici che per lottare contro la povertà e aiutare la popolazione a risollevarsi.
Scrive Wilguens Louis, haitiano, autore del capitolo conclusivo: «Bisogna essere riconoscenti per l’aiuto, però a cosa serve questo aiuto se viene usato solo come strumento di propaganda o per giustificare l’interferenza di alcuni negli affari interni di un Paese? Da un Paese trasformato in una specie di laboratorio internazionale è possibile aspettarsi di più?». Tuttavia, conclude Louis, una strada è sempre possibile. Haiti deve trovare la forza di andare avanti e credere nelle sue possibilità di rinascita.