Pfas, ecco chi difende gli inquinanti eterni

Le lobby industriali stanno influenzando le decisioni dell'Unione europea sui Pfas per evitarne il divieto. I costi della mancata regolamentazione sono enormi: oltre 2.000 miliardi di euro per le bonifiche e fino a 84 miliardi all'anno per le spese sanitarie. Lo rivela una nuova inchiesta del gruppo giornalistico Forever Lobbying Project su decenni di disinformazione

La lotta per regolamentare i Pfas, composti chimici noti come «inquinanti eterni», si sta trasformando in un campo di battaglia tra salute pubblica e interessi economici. Mentre l’Unione europea sta valutando una proposta per limitarne l’uso, le lobby industriali sono impegnate in un’intensa campagna per proteggere i propri profitti.

Un’inchiesta internazionale, coordinata dal quotidiano francese Le Monde e basata su migliaia di documenti inediti, ha rivelato decenni di disinformazione e pressioni politiche che mirano a rallentare l’adozione di misure efficaci contro queste sostanze tossiche. Il costo di questa inerzia potrebbe superare i 2.000 miliardi di euro nei prossimi vent’anni, una cifra che include interventi di bonifica e spese sanitarie, ma che non sembra spaventare i grandi colossi chimici.

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Schiuma Pfas sul fiume Huron (Stati Uniti) – Foto: MountaiFae (via Wikimedia Commons)

Pfas in Europa, cosa ha svelato il progetto “Forever Lobbying”

Il nuovo report, Reazione chimica (qui il Pdf), è stato realizzato nell’ambito dell’inchiesta transfrontaliera “Forever Lobbying Project“, in collaborazione con il Corporate Europe Observatory, organizzazione indipendente che monitora l’influenza delle lobby sulle politiche dell’Ue. Lo studio ha visto coinvolti 46 giornalisti e 29 partners mediatici provenienti da 16 Paesi. Per l’Italia hanno partecipato Lavialibera, Radar Magazine e IlBoLive.

Questo lavoro si inserisce nel solco tracciato dal precedente “Forever Pollution Project“, che aveva mappato oltre 23.000 siti contaminati da Pfas in Europa, di cui più di 2.100 classificati come “hotspot” a causa dei livelli elevatissimi di inquinamento.

Attraverso l’analisi di oltre 14.000 documenti riservati, il nuovo studio ha evidenziato come gli interessi economici prevalgano spesso sulla tutela della salute e dell’ambiente. I dati emersi dal report rivelano, inoltre, un incremento medio del 34% nei budget destinati all’attività di lobbying da parte delle principali aziende chimiche nell’ultimo anno.

Al centro del dibattito vi è la proposta dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) di introdurre un divieto esteso sui Pfas, con alcune esenzioni temporanee per usi considerati critici. Sebbene questa iniziativa rappresenti un passo storico, il suo iter legislativo è sotto il fuoco incrociato di pressioni industriali che mirano a influenzare le decisioni finali della Commissione europea e degli Stati membri.

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Cosa sono i Pfas, dove si trovano e cosa provocano

I Pfas, o sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, sono un gruppo di composti chimici sintetici ampiamente utilizzati, fin dagli anni ’40, per le loro proprietà uniche come la resistenza al calore, all’acqua e ai grassi. Queste caratteristiche li hanno resi indispensabili in una vasta gamma di prodotti, dalle pentole antiaderenti ai tessuti impermeabili, passando per schiume antincendio e dispositivi medici. Tuttavia, questa loro resistenza li rende altamente persistenti nell’ambiente, dove si accumulano senza degradarsi.

Studi scientifici hanno documentato il legame tra esposizione ai Pfas e gravi problemi di salute, tra cui tumori, disfunzioni immunitarie, infertilità e disturbi endocrini. Queste sostanze contaminano acqua potabile, cibo e aria, rendendo la loro diffusione un problema globale.

In Europa, i costi annuali legati ai danni sanitari si stimano tra i 52 e gli 84 miliardi di euro, mentre la bonifica dei siti contaminati potrebbe superare i 100 miliardi di euro all’anno.

I Pfas nell’acqua: industrie coinvolte e il ruolo delle lobby

Le principali aziende produttrici di Pfas, tra cui Chemours, DuPont, 3M e Solvay, hanno giocato un ruolo cruciale nella diffusione di queste sostanze, ma anche nell’ostacolare regolamentazioni più severe. La Chemours, nata come spin-off di DuPont, è oggi tra i maggiori produttori di Pfas a livello mondiale e ha recentemente raddoppiato il budget destinato alle attività di lobbying.

Anche i colossi statunitensi DuPont e 3M continuano a esercitare un’influenza significativa, nonostante la promessa di quest’ultima di cessare la produzione di Pfas entro il 2025. Mentre la società belga Solvay, con il suo stabilimento italiano a Spinetta Marengo, è stata al centro di numerose polemiche per l’utilizzo di queste sostanze, soprattutto per la produzione di Aquivion, composto a base di Pfas.

Le pressioni, però, non arrivano solo dai produttori chimici. Settori come l’industria dei semiconduttori e delle batterie, e quello medico-farmaceutico, sostengono che l’uso di Pfas sia indispensabile per alcune tecnologie e chiedono esenzioni specifiche.

Anche associazioni come il Cefic, il Consiglio europeo dell’industria chimica, e Plastics Europe stanno giocando un ruolo chiave nel promuovere studi di impatto e campagne di disinformazione per minimizzare i rischi associati a queste sostanze.

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Conflitti d’interesse e pressione politica

Uno dei punti più critici evidenziati dall’inchiesta riguarda i legami stretti tra le lobby e i decisori politici europei. Documenti riservati hanno rivelato un’intensa attività di incontri e scambi tra rappresentanti industriali e funzionari dell’Ue, che sollevano dubbi sulla trasparenza del processo decisionale.

Tra le strategie adottate dalle lobby vi sono il finanziamento di studi di parte, campagne di disinformazione, pressioni politiche a livello nazionale e regionale e la mobilitazione di alleati per rafforzare le posizioni dell’industria e per rallentare l’introduzione di normative più restrittive.

Pfas in Veneto, Lombardia e Piemonte: un problema nazionale

In Italia, il caso più emblematico è quello dello stabilimento Miteni di Trissino, in Veneto, che ha contaminato le falde acquifere della regione per decenni. Secondo Arpa Veneto, oltre 350.000 abitanti sono stati potenzialmente esposti a Pfas attraverso l’acqua potabile.

Anche Lombardia e Piemonte sono regioni critiche, mentre tracce di contaminazione sono state rilevate in almeno 16 regioni italiane, dimostrando che il problema è diffuso su scala nazionale.

Oltre ai danni alla salute, l’inquinamento da Pfas rappresenta una minaccia per l’agricoltura, poiché queste sostanze possono entrare nella catena alimentare attraverso l’irrigazione. In Veneto, il costo stimato per bonificare le falde acquifere supera i 500 milioni di euro, ma non copre i costi sanitari e gli effetti a lungo termine sulla popolazione.

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