Pfas Piemonte: la ribellione di Alessandria contro il polo industriale

Il sito di Spinetta Marengo, sobborgo di Alessandria, Piemonte, dal 1902 produce sostanze chimiche che hanno contaminato fiumi, terra e aria. I movimenti cittadini che avevano denunciato e vinto un processo per inquinamento da Cromo VI nel 2019, ora iniziano una nuova battaglia contro i famigerati Pfas

Un nuovo studio denuncia la presenza dei famigerati Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche, in Piemonte, ad Alessandria e dintorni. Se ne è parlato lo scorso 8 ottobre in una sala comunale in centro città, dove le associazioni ambientaliste Legambiente, Greenpeace e Wwf hanno presentato alla popolazione i dati sulla contaminazione ambientale prodotta dalla società chimica Solvay Solexis. I ricercatori del Consiglio nazionale per le ricerche (Cnr) hanno spiegato come le sostanze perfluoroalchiliche abbiano contaminato l’ambiente e gli animali vicino allo stabilimento.

Sara Valsecchi, del Cnr, ha presentato una nuova ricerca: «Abbiamo trovato vecchi Pfas nelle uova degli uccelli selvatici presenti in zona. Significa che gli alimenti di cui si nutrono sono contaminati e gli animali stessi contaminano le uova con la loro dieta».

L’incontro, che per la prima volta ha messo insieme tecnici nazionali e attivisti piemontesi, è servito a costruire una rete di conoscenza su queste sostanze ancora poco conosciute e normate. «Il nostro obiettivo è quello di prendere coscienza della situazione e chiedere alle istituzioni locali e nazionali di salvaguardare il nostro ambiente e la nostra salute», commenta Michela Sericano, presidente di Legambiente Ovada.

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Presentazione dei dati sulla contaminazione Pfas ad Alessandria, 8 ottobre 2021 – Foto: ©Laura Fazzini

Pfas: sostanze oltre i limiti, l’allerta nascosta di Arpa Piemonte

Il 1° settembre l’agenzia per l’ambiente regionale (Arpa) ha pubblicato una parte dei campionamenti fatti in acqua per trovare i Pfas, sostanze chimiche dichiarate forever chemicals negli Stati Uniti per la loro persistenza e capacità di accumularsi negli organi vegetali e animali. In America all’inizio degli anni Duemila vennero resi noti i primi studi di come questi composti interferissero con il sistema endocrino e provocassero patologie e tumori.

I dati, pubblicati solo in parte e senza l’indicazione geografica dei campionamenti, hanno dimostrato una presenza fuori dai limiti per una di queste sostanze più tossiche, il Pfoa. Composto chimico necessario per produrre le patine antiaderenti delle padelle, per rendere impermeabili i vestiti e molto altro, il Pfoa è stato vietato come produzione e utilizzo nel 2015.

Il rilascio di questo composto nel torrente Bormida, che confluisce nel fiume Tanaro e poi nel Po, è prodotto dall’azienda Solvay che dal 2002 produce Pfas a Spinetta Marengo. Le associazioni ambientaliste hanno chiesto, ma non ottenuto, la visione di questi ultimi campionamenti. «Abbiamo dovuto fare un accesso agli atti alla Provincia, che detiene per mandato i risultati, perché vogliamo capire come stanno conducendo le analisi», continua la presidente Sericano.

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Ponte sul torrente Bormida, Alessandria – Foto: ©Laura Fazzini

Spinetta Marengo, Alessandria: un secolo di contaminazioni chimiche

La contaminazione da Pfas è l’ultima allerta lanciata dalle reti ambientaliste. Il sito infatti è nato nel 1902 per desiderio di un gruppo di industriali alessandrini. Durante le guerre il polo Marengo, posizionato appositamente sopra una ricarica di acque fluviali necessarie per la lavorazione dei composti chimici, costruì la sua fortuna con solfato di rame e ossigeno.

In pochi anni gli operai arrivarono ad un centinaio di unità e la produzione si specializzò in sostanze fertilizzanti a base di solfato. Acquistato dalla Montedison ad inizio anni ’50, la produzione aumentò con coloranti e acidi e comportò una contaminazione della falda.

I sindacati negli anni ’60 iniziarono a chiedere conto della presenza di cromo nelle acque dello stabilimento, ottenendo alcune bonifiche e chiusure di parti degli impianti.

«Montedison pagava le grondaie delle case alle famiglie che abitavano vicino allo stabilimento perché gli acidi solforici le sbriciolavano in meno di un anno», spiega Claudio Lombardi, ex assessore dell’ambiente di Alessandria e ora attivista di Legambiente.

Quando nel 2002 arrivò Solvay Solexis, famosa produttrice del bicarbonato bianco che rende uniche le spiagge toscane di Rosignano, la contaminazione delle passate società, ultima Ausimont, non era ancora stata denunciata agli enti. Bisogna aspettare il 2007 con l’arrivo di Esselunga.

Processo Ausimont Solvay, un processo lungo dieci anni

Nel 2007 Esselunga acquistò il grande terreno edificato a pochi chilometri dal polo industriale e conosciuto per la sua attività di zuccherificio. Le analisi fatte delle acque sotterranee però dimostrarono altissime concentrazioni di metalli pesanti e cromo esavalente, 288 microgrammi per litro (il limite nazionale è di 5 microgrammi per litro). Una contaminazione considerata eccessiva per la società, che decise di abbandonare il progetto di costruire un grande centro commerciale.

Una scoperta che aiutò gli enti locali, Arpa alessandria e carabinieri, a cominciare nel 2008 un processo per disastro ambientale colposo contro le società considerate responsabili, Ausimont e Solvay.

Solo nel dicembre 2019 tre dirigenti vennero condannati per disastro ambientale colposo, con risarcimento ai cittadini colpiti e  bonifica richiesta dal ministero dell’Ambiente. Durante il processo l’epidemiologo dell’Arpa Ennio Cadum aveva dimostrato come il cromo esavalente e altri 20 veleni rilasciati nelle acque di Spinetta avessero provocato fino all’80% di tumori in più nei tre chilometri vicini allo stabilimento.

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Sit-in delle Mamme No Pfas, Comitato stop Solvay, davanti al ministero dell’Ambiente (Roma, 6 ottobre 2020) – Foto: ©Laura Fazzini

Pfas Piemonte: la nuova contaminazione e l’assenza di limiti nazionali

Dopo la condanna Solvay è stata obbligata alla messa in sicurezza di parte della rete idrica interna allo stabilimento, oltre 50 chilometri di tubi risalenti agli anni ’50, e alla bonifica di alcuni spazi interni. Solvay però non ha denunciato la produzione di alcune sostanze, Pfas, ereditate dalla precedente gestione Ausimont e scoperte come traccianti durante il processo.

«Il processo è servito per capire cosa sta venendo rilasciato ora nella falda, abbiamo trovato la presenza di perfluorurati sia nel torrente usato per lo scarico sia nella falda superficiale», dice Vittorio Spallasso, legale del Wwf. Sostanze non normate a livello nazionale e presenti in tutto il Po, con picchi di 6 mila nanogrammi per litro nel 2012.

Un primo studio solo sul Pfoa nel Po era già stato consegnato nel 2007 dal progetto europeo “Perforce”, nato nel 2000 per monitorare in Europa la presenza nell’ambiente di queste sostanze. Le evidenze di inquinamento date dall’Europa avevano evidenziato come il Po fosse il fiume più contaminato da Pfas, primo tra sette analizzati. La fonte di pressione principale venne indicata come Solvay Solexis e solo grazie alla messa a bando del Pfoa nel 2015 le emissione furono ridotte.

Dal Veneto al Piemonte, uniti contro i Pfas

Le quasi 7 mila persone che abitano intorno al polo chimico nel sobborgo di Spinetta Marengo hanno legami indissolubili con l’industria chimica. «Tutti noi abbiamo almeno un parente che lavora lì dentro, molti la chiamano mamma Solvay perché dà da mangiare ad oltre 800 operai», dice a Osservatorio Diritti Viola Cereda, portavoce del Comitato Stop Solvay.

Da quando però la multinazionale ha chiesto di poter ampliare la produzione di un Pfas, il cC6O4, parte della popolazione ha iniziato a ribellarsi e ha deciso di farsi aiutare dai tanti movimenti anti Pfas nati in Veneto. La regione del Nord Est infatti ha la più grande contaminazione da queste sostanze nel mondo. «La sola forza che abbiamo contro queste industrie siamo noi, uniti possiamo diventare determinanti e decisivi», dice Michela Piccoli durante la serata di confronto con gli attivisti alessandrini di inizio ottobre.

Lo scopo degli attivisti è sensibilizzare le istituzioni regionali per ottenere uno screening sanitario sulla popolazione colpita, a seguito di un primo studio sulla morbosità e mortalità nel 2019 che aveva evidenziato come le patologie tumorali degli abitanti di sesso maschile che vivono nelle vicinanze del polo chimico fossero 50% superiori a quelli della media della popolazione alessandrina.

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